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COSA METTE IN GIOCO L’OPERAZIONE NATIXIS?
La risposta è semplice: il risparmio degli italiani. Anzi, una quota rilevantissima di questo risparmio, ben 650 miliardi di euro. Solo per fare un confronto, si tratta di una cifra che equivale a un terzo del Pil del Paese. Il risparmio è uno degli asset più pregiati di cui l’Italia dispone, e da tempo fa gola ai grandi operatori esteri del settore. Alla fine dello scorso anno Bnp Paribas e Axa hanno siglato un accordo proprio per la gestione del risparmio, un’operazione che ha permesso ai francesi di blindare il controllo del risparmio dei connazionali, di cui parleremo più avanti. In Italia, invece, solo pochi anni fa, Unicredit ha venduto Pioneer e i suoi 225 miliardi di risparmio italiano ad Amundi. Oggi come allora una importante fetta del risparmio italiano è finito in mani francesi. E oggi come allora l’operazione è gestita da manager francesi: nel caso di Pioneer dall’allora amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier, nel caso di Generali dall’attuale numero uno, il francese Philippe Donnet. Anche i tedeschi di Allianz stavano trattando con Amundi, ma l’operazione sembrerebbe essersi arenata per gli stessi dubbi. L’effetto paradossale di queste operazioni di cessione della gestione del risparmio italiano all’estero, è che non di rado questo stesso risparmio sia poi utilizzato per finanziare imprese concorrenti a quelle italiane. L’operazione Natixis-Generali va inquadrata in questo trend.
CHE CONSEGUENZE PUÒ AVERE TRASFERIRE ALL’ESTERO LA GESTIONE DI QUESTE MASSE?
La conseguenza principale è che i centri decisionali di investimento si spostano dall’Italia. Il paradosso, come già detto, è che i soldi dei risparmiatori italiani possano finire per alimentare economie estere e la crescita di imprese di altre nazioni. Il risparmio è alla base di investimenti, che a loro volta alimentano lo sviluppo. Basta questo per comprendere quale sia il valore strategico del risparmio per ogni Paese. Le Generali sono anche un importante sottoscrittore del debito pubblico italiano. La quota di Btp detenuta dalla compagnia triestina è di 37 miliardi di euro, ma negli ultimi tre anni sotto la gestione Donnet è stata praticamente dimezzata. Una disaffezione evidente nei confronti del debito italiano. Un gestore estero, senza legami con il Paese, può decidere di inseguire semplicemente il maggior profitto, investendo anche in aree remote, come per esempio un’autostrada in Australia, o un campo fotovoltaico in Arabia, contribuendo in questo modo al prodotto interno di quei Paesi ma a scapito di quello nazionale.
MA GENERALI PUÒ TRASFERIRE LIBERAMENTE QUESTI ASSET A NATIXIS?
In realtà no. Gli asset sono a garanzia delle polizze sottoscritte dai risparmiatori e vincolate a tal fine. La loro gestione viene invece trasferita. Questi asset hanno un profilo di rischio e rendimento adeguato ai risparmiatori italiani che hanno sottoscritto le polizze. Il trasferimento all’estero potrebbe cambiare questo profilo. Sono dunque in gioco componenti significative di rendimento e di rischio.
CHI COMANDERÀ DAVVERO? GLI ITALIANI, I FRANCESI (O TAIWAN)?
È un punto centrale. Apparentemente la nuova piattaforma sarebbe partecipata al 50 per cento dai francesi e al 50 per cento dagli italiani. Ma non è così. Per comprenderlo bisogna accendere un faro su GIH, Generali International Holding. Si tratta di una società creata da Generali per combinare il proprio asset management con quello di Conning, una società di Taiwan, isola del mar cinese conosciuta anche come Formosa. Il capo azienda di Conning è stato per anni Woody Bradford, e una volta combinata la società con Generali, la compagnia italiana ha generosamente lasciato la gestione ai taiwanesi con la guida della nuova entità affidata allo stesso Bradford. Sarà proprio questo manager, espressione per anni del gruppo taiwanese, a guidare per il primo quinquennio la nuova entità che dovrebbe nascere dal matrimonio tra Natixis e Generali. Il management di Trieste non avrà quindi un controllo diretto sulla gestione. La quota di Generali sarà del 42 per cento, i taiwanesi, di cui Bradford è stato per anni manager di riferimento, saranno soci con l’8 per cento della piattaforma comune con Natixis, in cui i francesi saranno il principale azionista con il 50 per cento.
DAL PATTO TRA GENERALI E NATIXIS SI POTRÀ TORNARE INDIETRO?
Al momento non è dato saperlo. Le condizioni dell’operazione saranno rese note soltanto lunedì. Ma da indiscrezioni di stampa l’operazione dovrebbe durare quindici anni. Una clausola inserita in extremis per evitare un matrimonio senza possibilità di divorzio che sarebbe stato un unicum in operazioni del genere. Una via d’uscita più formale che sostanziale, visto che dopo tre lustri sarebbe difficile la ricostituzione dello stato antecedente. Alla fine dello scorso anno Bnp Paribas e Axa Investment Managers sono convolati a nozze. L’accordo in questo caso, ha previsto una scadenza dopo un certo numero di anni e delle verifiche intermedie sui profitti generati, in modo da consentire sempre una via d’uscita nel caso il matrimonio non funzioni. Inoltre in questo caso, c’è stato il riconoscimento di un rilevante corrispettivo di acquisto (oltre 5 miliardi).
DAVVERO SI OTTERRANNO RISPARMI DI COSTI?
Questo aspetto è tutto da verificare. Per prima cosa vale la pena tornare sulle cifre in ballo, che sono enormi. La vita media dei 650 miliardi di asset Generali è di circa otto anni. Vuol dire che ogni anno ci sono da rinnovare investimenti per un’ottantina di miliardi, a cui si aggiungono circa sette miliardi all’anno di nuove polizze. Fanno quasi 90 miliardi di nuovi investimenti ogni anno, 7,5 miliardi al mese. E qui c’è il rischio di un paradosso. L’operazione voluta da Donnet, viene giustificata dalla necessità di fare sinergie, risparmi di costi. Potrebbero dunque essere tagliate le strutture italiane che attualmente si occupano di questa missione. Questo ovviamente comporterebbe un taglio dei posti di lavoro nelle Generali. Se invece il piano Donnet è di mantenere anche la struttura in Italia, ci sarebbe non un risparmio, ma una duplicazione dei costi. Inoltre l’eventuale trasferimento a Parigi delle strutture, farebbe perdere all’Italia il controllo non solo della redditività ma soprattutto del grado di rischio degli investimenti che verrebbero decisi altrove.
QUALI SONO I TEMPI DELL’OPERAZIONE?
Le Generali hanno impresso una fortissima accelerazione all’operazione con i francesi di Natixis. Un’operazione predisposta e gestita da un management in scadenza con l’assemblea di bilancio di quest’anno. Il Comitato investimenti è stato convocato per domani e lunedì è previsto un consiglio di amministrazione. Il paradosso è che se l’amministratore delegato non fosse riconfermato, il successore si troverebbe vincolato ad un accordo sottoscritto dal suo predecessore e vincolante per i prossimi quindici anni. L’operazione, riguardando attività assicurative, in base alla normativa dovrà essere sottoposta al governo per le valutazioni del caso. La decisione sarà subordinata all’analisi del piano che dovrà essere notificato alla Presidenza del Consiglio dopo l’approvazione del memorandum dal parte del cda.
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