La nuova lotta di classe sulle piste da sci

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Le montagne sono luoghi di incontro e scontro di persone e opinioni. Le montagne, o meglio, i luoghi di montagna, vengono spesso sottovalutate nella loro complessità e eterogeneità, soprattutto d’inverno, quando la neve le ricopre di bianco e ne omogeneizza le superfici frastagliate. Il bianco è il colore della purezza, del pulito, della calma, delle camicie stirate, dei matrimoni, delle tovaglie di lino e della santità. Il bianco è un colore difficile. Sulla fatica legata al colore bianco mi sono interrogata spesso in questi giorni di vacanze, guardando la mia For You Page di TikTok, invasa da distese bianchissime, case sepolte da coltri di neve, riprese dalle seggiovie con ombre di sciatori che si allungano su manti innevati. 

Qual è il costo di questo bianco? La domanda mi è sorta quando l’algoritmo ha compreso la mia passione e la nostalgia di casa (vengo da un paese ai piedi delle Dolomiti), agli inizi della stagione invernale, per poi non lasciarmi più. Quel bianco è in realtà puntinato dalle fluorescenze delle tute di chi ostinatamente fa la settimana bianca a Natale, dalle iridescenze delle maschere, i caschi, gli scarponi, gli sci Rossignol, Blizzard, Head, Nordica, Salomon e Völkl. E poi gli après-ski multicolor in cui gli scarponi da sci giustificano a malapena le white dance più sentite dell’anno. Un’ostentazione che non ha nulla di straordinario nella normalità violenta dei social, ma che nelle ultime settimane si è inasprita fino a trasformarsi in manifestazioni aperte di elitismo. «Non ci sono borse di tela, nessuno ha un borsello, nessuno si lamenta che uno spritz costa 10 euro, sei felice e lo sai», scrive uno tra gli esponenti più moderati di questo trend, «Non sono comunista, non sono donna, non sono meridionale e la vita è fantastica», contribuisce un altro in un video con più di 15 mila like. Oppure: «Lo skipass a 70 euro fa selezione naturale. Non sono comunista. Mi piace giudicare». Le declinazioni sono poco fantasiose e sono tutte accomunate dal disprezzo per la cultura di sinistra e i suoi simboli, come le borse di tela, oppure per ciò che richiama a classi sociali meno abbienti, in questo caso i borselli dei maranza, diventati sinonimo del degrado delle periferie e della criminalità di strada. 

Perché sciare e andare sulla neve è diventato sinonimo di una cultura elitaria e di destra? Perché questa ostentazione così aspra, fintamente ironica, sui social? Come ultimo baluardo di un tempo di ricchezza, spensieratezza e temperature gelide che non avremo più, la montagna sembra essere diventata il territorio di confine in cui si combattono le battaglie ignave dei social. Da sempre le località sciistiche più rinomate come Cortina e Courmayeur sono templi dell’ostentazione piccolo-borghese, ma questo sfoggio si è inferocito negli ultimi anni con l’avvento dei social e della performatività costante a cui siamo tutti sottoposti. Da un paio di anni poi il quiet luxury – che, ormai si sa, non ha niente di sottile e quieto – ha reso ancora più desiderabile uno stile di vita lussuoso, di colori tenui ed esclusività. Un lusso in cui non regna solo il bianco, ma anche il beige e il mocha mousse, colore pantone del 2025, come sottolineato da Amy Odell nella sua newsletter Back Row

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TikTok infatti è invaso da ragazze che mostrano le loro tute aderenti, spesso composte da un solo pezzo, dai colori tenui e non quelli che associamo all’abbigliamento tecnico, di brand di fast fashion come Oysho o Zara, oppure di marchi outdoor, che hanno però il denominatore comune di venire utilizzate pochissimo. «Tante persone sciano male e non hanno mai preso lezioni», mi dice Giorgia Esposito, maestra di sci a Cortina, per alcuni anni allenatrice della squadra femminile di sci della nazionale irlandese. «Spesso persone vestite firmate da capo a piedi e con l’attrezzatura appena acquistata mi chiedono lo sconto per le lezioni. Per molti le spese non sono da poco, e tra abbigliamento nuovo e imparare a sciare bene con un maestro scelgono il primo» aggiunge, «i costi degli skipass sono sempre più alti, ma sciare senza avere controllo degli sci e dei propri movimenti diventa pericoloso per sé stessi e per gli altri. E c’è un motivo se il costo lievita ogni anno: mantenere un impianto e sparare la neve artificiale quando ormai a dicembre non nevica più è costoso. A 2500 metri una volta c’era neve, a maggio mio padre andava a fare i fuoripista».  Ora non c’è più niente, solo la pista di neve sparata che si snoda tra le petraie come uno scivolo del parco giochi. 

Se dovessimo guardare alle tendenze in fatto di abbigliamento, però, non è solo il quiet luxury ad aver contribuito a questa corsa allo sci e agli sport invernali in generale. Prima della versione lounge della montagna, c’è stata infatti l’autenticità promossa dal “gorpcore”, una tendenza di nicchia che è poi facilmente diventata popolare anche tra chi in montagna non ci aveva mai messo piede. Vestirsi come gli alpinisti è sdoganato ormai da tempo: sui mezzi pubblici, nei parchi e nelle sale riunioni di grandi aziende si vedono ormai costantemente marchi come Patagonia, Arc’teryx e North Face, marchi che fino ad allora erano stati concepiti solo per l’outdoor. E questo infiltrarsi dell’abbigliamento tecnico nella vita di tutti giorni, sempre più distante dai ritmi romanticizzati della vita bucolica, ha portato a un interesse maggiore per gli sport della montagna come il trekking (le Salomon raramente vedono i terreni per i quali sono state pensate), l’arrampicata (ha di certo contribuito il moschettone per le chiavi appeso ai passanti dei pantaloni) fino ad arrivare allo sci o allo snowboard. È un bisogno che dice molto della nostra epoca, in cui il disagio per la frenesia della città e l’idealizzazione di una vita antica di aria buona e cibo buono si accompagnano a una fiducia infantile nel progresso tecnologico. Una panacea che potrà risolvere l’inquinamento e il cambiamento climatico, trovare il tessuto universalmente perfetto, adatto al clima imprevedibile di questi tempi apocalittici, e prevenire i disastri ambientali, senza obbligarci a ripensare il nostro modo di condurre la vita. 

A proposito di abbigliamento tecnico, ne ho parlato con Giorgia Celante, content creator e fashion designer che da un paio di anni condivide sui social la sua passione per la montagna e un modo nuovo di abitarla e farne esperienza. Cresciuta a Madonna di Campiglio, ha visto il suo paese cambiare con il turismo e i versanti delle montagne modellarsi per accogliere dodici piste da sci, il doppio di quelle di dieci anni fa. Si è trasferita poi in Val di Fassa e ha capito di poter fungere da anello di congiunzione tra chi vive la montagna per il turismo e chi la vive come la propria casa. Chiamata montanara dalla gente di città e turista nel paese in cui era andata a vivere, ha deciso di raccontare sui social la sua scelta di vivere in un luogo alpino per creare un punto di incontro tra due fazioni che spesso fanno fatica a comunicare tra di loro. «Se da una parte l’abbigliamento tecnico è fondamentale per essere comodi – e la comodità in montagna è sinonimo di sicurezza – d’altra parte bisogna considerare che è realizzato con materiali poco sostenibili. Sono tutti capi molto resistenti, pensati per durare. L’ideale sarebbe acquistare un solo capo, ma l’outdoor è diventato una moda e spesso chi va in montagna pochi giorni all’anno ne possiede diversi».

Per questo Giorgia ha deciso di creare una collezione di abiti in lana utilizzando materiali sostenibili come la cera d’api per ottenere l’effetto “shell”. «Li ho testati facendo sport e funzionano tutti perfettamente», mi assicura. Ed è proprio nello sport che ha trovato l’elemento chiave per comunicare un modo diverso di vivere i luoghi di montagna. Giorgia racconta una maniera di fare sci e snowboard in cui la fatica si intreccia alla bellezza dei luoghi, e alla loro conservazione. Da alcuni anni ha smesso di utilizzare gli impianti: sale a piedi con la tavola legata allo zaino per poi scendere sulle piste. Da poco ha iniziato a praticare sci d’alpinismo con una guida. «Lo sci d’alpinismo è molto adrenalinico: sei immerso nella natura e sei esposto al pericolo. Hai un’enorme gratificazione quando arrivi in cima e sai che scenderai, e la discesa ripagherà lo sforzo della salita», dice, «l’adrenalina può andare di pari passo con un modo più etico di vivere gli sport invernali».

Per chi conserva le fantasie candide delle vacanze di Natale dalle nevicate lunghe e pigre, lo stato in cui versano le montagne poco prima dell’apertura della stagione sciistica potrebbe apparire scioccante. Sembra quasi che il desiderio di vivere qualcosa che, in modo più o meno conscio, sappiamo sparirà a breve amplifichi a dismisura i  deliri di performatività di TikTok. Come si fa invertire la tendenza? Come si propone una comunicazione opposta a quella che spopola ora sui social, intrisa di classismo e razzismo o, come la chiamano in molti, di “selezione naturale”? Checché ne dica l’opinione comune che vede la gente di montagna come ostile, la montagna è un luogo che per conformazione presuppone come fondamentale l’incontro: in montagna è sempre meglio andare almeno in due. Nella sua asperità permette solo a pochissime persone esperte di poterne fare esperienza in solitudine e obbliga ad aiutarsi e condividere, stare attento all’altro. La montagna non è mai stata elitaria ma piuttosto severa nel richiedere passione e dedizione. E fa paura a chi la conosce vederla utilizzata come sfondo per video e foto identici, prodotto di quella «invidia democratica» di cui parla Vivienne Westwood in un video diventato recentemente virale sempre su TikTok. Fa paura vedere un ambiente così complesso ridotto a un’immagine bidimensionale, ennesimo strumento utilizzato per farci sentire meglio degli altri e sfoggiare un lusso che presto passerà di moda e invecchierà, molto probabilmente male. Fa tremare pensare a una sua vendetta. Ma forse, nonostante TikTok e le mille tute da sci beige che a una certa altitudine smettono di riscaldare, la montagna non ci travolgerà tutti, rimarrà solo a guardarci beffarda girare per Parco Sempione con giacche sempre più sottili, termiche e obsolete. Magari invece saremo capaci di re-immaginare l’inverno e di separarci dalle nostre fantasie per crearne altre, di un bianco nuovo.





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