Più libri e saperi, meno tecnologia: ecco come sarà la scuola del futuro

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«Oggi l’Italia è un Paese “vecchio” cresciuto male, bisognoso di riscoprire le ragioni della sua storia. I giovani di oggi hanno bisogno di autorità e di eccellenza e la scuola ha il compito primario di sviluppare questo senso di appartenenza e di identità».

«Per questo il segreto è guardare indietro per andare verso il futuro: e se non abbiamo la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo, quali sono i valori elaborati dalla civiltà occidentale non potremo costruirci un futuro».

A parlare è Loredana Perla, valente pedagogista, ordinario di Pedagogia all’Università «Aldo Moro» di Bari e coordinatrice dei lavori della commissione che ha prodotto le «Nuove indicazioni nazionali» per la scuola primaria di primo e secondo grado (elementari e medie). È la prima volta che un incarico di questo tipo viene affidato a un pedagogista meridionale, proveniente da una Università del Sud. Fanno parte di questo gruppo di lavoro anche altri cattedratici pugliesi (Olimpia Imperio, prof. di Lingua e cultura greca presso l’Università di Bari, Laura Agrati – Unipegaso; Alessia Scarinci-Università di Lecce; Viviana Vinci-Università di Foggia e Vito Rocco Peragine dell’Università di Bari) insieme ad altre massime personalità della cultura.

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Prof. Perla, a che punto sono i lavori della Commissione che le coordina?

«Per quanto riguarda il primo ciclo sono in via di conclusione. I lavori sono cominciati materialmente ad agosto con una commissione costituita da accademici, luminari ed esperti di didattica e di programmi scolastici. Si sono poi insediati i coordinatori delle sottocommissioni disciplinari che si sono occupati della disciplina assegnata. Ho invitato i coordinatori delle sottocommissioni a coinvolgere gli insegnanti per dare il proprio contributo alle discussioni e alla scrittura dei documenti».

Quali sono i criteri che vi hanno guidato la revisione delle Indicazioni Nazionali e delle Linee guida relativa al primo e secondo ciclo d’istruzione

«Purtroppo sono vetusti i documenti vigenti perché sono abbastanza datati. Per quanto riguarda il primo ciclo è dal 2012 che non si toccavano i saperi e, dunque, andava necessariamente aggiornato questo documento come è prassi fare. Si chiamerà “Nuove indicazioni” proprio perché vengono riviste tutte le discipline. Il secondo criterio importante è la crisi dell’istruzione, certificata purtroppo anche dal Censis: quasi uno studente su due delle superiori, il 43,5%, non raggiunge il traguardo di apprendimento in italiano, percentuale che sale a 47,5 se parliamo della matematica. Non va molto meglio alle medie dove la percentuale di studenti che non raggiungono il traguardo in italiano arriva quasi al 40% e con la matematica si sale al 44%. Occorre, dunque, capire le ragioni di questo analfabetismo. La Commissione si è occupata anche di questo».

Che idea vi siete fatti? Da cosa deriva la crisi dell’istruzione?

«Probabilmente dall’avvento un po’ aggressivo delle tecnologie e dal radicamento di una cultura tecnologica nella scuola sotto la spinta di una falsa idea che la tecnologia migliora l’apprendimento e la formazione. La tecnologia è ottusa e quello che aiuta la formazione delle persone sono i fondamentali della cultura, i saperi umanistici che sono stati trascurati negli ultimi 20 anni proprio per rispondere a questa chiamata di massa del mondo della scuola sul fronte delle tecnologie. Sia ben inteso. Non è un ritorno al passato. È un recupero dei fondamentali nella formazione scolastica di base. E tra i fondamentali intendo, per esempio, l’educazione al gusto della lettura che è strettamente legato anche allo scrivere bene. La Scuola deve motivare alla lettura. C’è da fare un lavoro di questo tipo fra tradizione e innovazione».

Ci può fare qualche esempio intervento da voi proposto?

«Claudio Giunta, raffinato letterato attento alla scuola e ai gusti dei ragazzi, ha inserito nel suo programma di scuola primaria testi di Gozzano, Pascoli, Govoni solitamente studiati più in là. Ma i nostri studenti non devono essere vittime di un pregiudizio adulto di non ritenerli capaci di capire. Non è affatto vero: i bambini sanno capire ed apprendere se hanno un maestro che sa loro insegnare. Così come tutta la polemica impiantata sul latino è fuori luogo. Gramsci e Don Milani ma anche Luciano Canfora la pensano come noi. È il pregiudizio di pensare che l’adolescente di altra cultura deve avere un percorso di “semplificazione” mentre si pensa che il latino, essendo una lingua del passato, può essere abolito. Invece è esattamente il contrario. Il latino, invece, aiuta proprio quegli studenti che hanno bisogno di formare il pensiero alla chiarezza, alla logica, alla costruzione morfo-sintattica. Chi lo ha studiato lo sa e purtroppo le conseguenze sono state sperimentate allorché dal ‘78 in poi sciaguratamente il Ministero decise di cancellare il latino dalla scuola media unica. La proposta che abbiamo inserito è quella di un reinserimento opzionale del latino a partire dalla seconda media nella convinzione che questo aiuterà l’apprendimento dell’italiano».

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Quale sarà il ruolo del docente?

«Il docente riprende il timone nel senso che la filosofia attivistica che ha innervato la Scuola ha sempre messo lo studente al centro che resta principale attore ma si cerca anche di restituire autorevolezza al docente attraverso i saperi che incarna e che avrà sempre più il compito di apportare novità contenutistiche. Il docente è un “magis”, un di più e dovrà tornare ad essere il timoniere dell’azione educativa.



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