Nonostante le numerose crisi aziendali nel Paese stiano mettendo a rischio quasi 120mila posti di lavoro, entro i prossimi tre mesi le imprese italiane hanno dichiarato all’Unioncamere-Ministero del Lavoro l’intenzione di assumere 1,37 milioni di lavoratori, di cui 380mila circa a tempo indeterminato. Tuttavia, in un caso su due sussiste il rischio di non poter procedere alle assunzioni a causa della carenza di candidati o dell’impreparazione di coloro che si presentano ai colloqui. Le imprese non sarebbero dunque nelle condizioni di coprire, nemmeno offrendo un posto fisso, almeno 190mila posizioni lavorative.
A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia). Il numero dei giovani presenti nel mercato del lavoro è in costante diminuzione, un trend che, comunque, sta interessando la gran parte dei principali paesi del mondo occidentale. In Italia, però, la situazione è molto più critica. Pochi giovani e il conseguente invecchiamento della popolazione in atto nel nostro Paese provocheranno nei prossimi anni moltissime criticità, anche al sistema economico e produttivo del Paese. “Squilibri che nessuno – sottolinea l’associazione – in tempi ragionevolmente brevi sembra avere gli strumenti appropriati per affrontare con successo”. Il fabbisogno occupazionale delle imprese pubbliche e private presenti in Italia nel quinquennio dovrebbe attestarsi attorno ai 3,6 milioni di occupati. Di questi, l’83% circa, pari a quasi 3 milioni di addetti, dovrebbe sostituire chi è destinato a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. Secondo gli imprenditori italiani, tra il 2017 e l’inizio di quest’anno la percentuale di difficoltà nel reperire il personale è più che raddoppiata: 21,5 imprenditori su 100 lo avevano denunciato sette anni; per l’anno in corso la soglia è salita al 49,4%.
L’Umbria è la realtà territoriale maggiormente in crisi: secondo Unioncamere-Ministero del Lavoro il 55,7% degli imprenditori intervistati ha denunciato la difficoltà di reperimento. Seguono le Marche con il 55,6%, il Friuli Venezia Giulia e il Veneto con il 55,1%. Infine, degli 1,37 milioni di nuovi assunti previsti in questi primi tre mesi del 2025, oltre 414.300 unità dovrebbero interessare il Nordovest. Seguono il Sud con 362.400, il Nordest con 315.350 e il Centro con 281.100. Il Nordest dovrebbe essere la ripartizione geografica dove la difficoltà di reperimento del personale è più elevata e pari al 54,3%. Seguono il Centro con il 49,1%, il Nordovest con il 48,8% e il Mezzogiorno con il 46,1%. Le categorie professionali che più delle altre si faticano a trovare sono i dirigenti nel 68,2% dei casi e gli operai specializzati nel 66,9%.
Ad eccezione di Benevento e Chieti, in tutte le province del Mezzogiorno nel primo trimestre di quest’anno è previsto un aumento delle assunzioni rispetto alle previsioni riferite allo stesso periodo del 2024. Nel resto d’Italia, invece, per 45 province del Nord e del Centro avranno segno meno. La situazione più virtuosa è attesa a Siracusa con il +29,8% (+1.770 entrate). Seguono Foggia con il +25,9% (+2.070), Matera con il +23,6% (+670), Vibo Valentia con il +20,1% (+350) e Messina con il +19,1% (+1.700).
Nonostante il depotenziamento previsto per il 2025, la decontribuzione relativa alle assunzioni nella Zona Economica Speciale (Zes) unica per il Mezzogiorno e l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) rappresentano i due elementi fondamentali in grado di “giustificare” l’eccellente performance occupazionale attesa a Sud. Sebbene le ore di Cassa Integrazione Guadagni autorizzate siano in deciso aumento, aggiunge la Cgia, in valore assoluto il numero dei lavoratori dipendenti italiani con il posto fisso ha toccato a novembre il suo record storico, pari a 16.264.000 addetti.
Per contro, i lavoratori a termine sono in flessione; sempre a novembre si attestano attorno alla stessa soglia che avevamo a novembre 2020, vale a dire 2.652.000 occupati. “Un risultato importante – commenta l’ufficio studi – che però va analizzato attentamente.
Il livello retributivo in Italia si presenta mediamente inferiore rispetto a quello riconosciuto ai dipendenti dei Paesi con cui competiamo quotidianamente. E sebbene un lavoratore possa beneficiare del cosiddetto posto fisso, non è da escludere che, a causa di uno stipendio molto contenuto, si trovi invischiato nelle nuove forme di povertà sempre più diffuse soprattutto nelle grandi aree urbane. Fenomeni di profondo disagio che sino a un decennio fa non avvertivamo con la stessa preoccupazione con cui si presentano ora”.
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