Dazi: la guerra commerciale minacciata da Donald Trump

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Per rilanciare gli stati Uniti nello spirito “America First”, Donald Trump ha scelto di puntare su una politica commerciale protezionistica, minacciando durante la campagna elettorale, di introdurre dazi contro la Cina, il principale rivale geopolitico, il Canada e l’Unione Europea, e in particolare tutte quelle nazioni che hanno deficit commerciali con gli Usa. Certo bisognerà poi vedere ciò che realmente metterà in atto, a partire dal 20 gennaio, quando a Washington si terrà la sua cerimonia di insediamento, incoronandolo 47esimo presidente Usa. Stando agli annunci fatti, Trump nel suo secondo mandato, potrebbe proporre dazi universali del 60% e anche del 100% da imporre su tutti i beni cinesi in modo da attuare il decoupling. E del 10% o 20% su tutte le merci provenienti dal resto del mondo, quindi Europa e Italia. Il tycoon ha persino minacciato di introdurre dazi del 100% sulle importazioni dai Paesi che stanno riducendo l’uso del dollaro (i Brics). Inoltre, potrebbero essere in arrivo dazi anche maggiori se non si acquista petrolio e gas dagli Usa, dazi se non si fa circolare la moneta verde, e se non si mette fine al traffico di droga, il fentanyl in particolare, e di migranti illegali (queste misure potrebbero essere del 25% e sono rivolte a Messico e Canada).
Le trattative sono in corso e ogni paese si sta attrezzando per evitare restrizioni commerciali. In Europa, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva lanciato l’idea che le importazioni dagli Stati Uniti potrebbero sostituire il consumo di GNL russo da parte del blocco dei 27. Il GNL “è uno degli argomenti che abbiamo toccato”, spiegò von der Leyen dopo una telefonata con Trump. “Riceviamo ancora molto GNL attraverso la Russia, dalla Russia. E perché non sostituirlo con il GNL americano, che è più economico e abbassa i prezzi dell’energia”. Se le intenzioni del presidente eletto Donald Trump dovessero materializzarsi “la Germania, che ricava il 28% del Pil dal commercio con l’estero, potrebbe essere il paese a soffrire di più”, secondo uno studio dell’istituto Prognos citato dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung. I lavoratori nei settori che esportano con gli Stati Uniti sono circa 1,2 milioni – più di quelli impiegati nel settore delle automobili – di questi “300.000 potrebbero essere distrutti” dai dazi di Trump. Non meno delicata la situazione dell’Italia. Secondo Confartigianato, che ha tradotto in numeri l’allarme lanciato dalla Banca d’Italia sul fatto che la stretta avrebbe effetti significativi sulle aziende italiane che esportano verso il mercato Usa, soprattutto le piccole e le medie, il nostro Paese rischia un calo dell’export di oltre 11 miliardi. Quanto alla Cina, lo scenario considerato più plausibile è che si raggiunga un accordo con gli Stati Uniti vantaggioso per entrambi, soprattutto grazie all’approccio più transazionale adottato da Trump come Presidente. La Cina ha già comunque risposto con misure di stimolo più aggressive al fine di accelerare la crescita interna, il che rappresenta un passo avanti per riportare l’economia nella giusta direzione. Dal canto suo, il Canada, da un lato si sta preparando alla guerra commerciale con gli Stati Uniti con un piano in tre fasi di dazi e restrizioni commerciali nel caso in cui Trump imponesse su tutti i prodotti canadesi importati negli Usa l’imposta del 25 per cento, e dall’altro porta avanti le trattative, con la ministra degli Esteri del Canada, Melanie Joly, che si è recata a Washington per incontrare diversi esponenti del Partito repubblicano. Le ritorsioni canadesi riguarderebbero innanzitutto beni di consumo per un valore di 25,6 miliardi di dollari. Scott Bessent, nominato dal presidente eletto, come prossimo segretario al Tesoro statunitense, ha difeso i dazi che Trump ha intenzione di imporre durante la sua presidenza. Secondo Bessent, per esempio, il dollaro potrebbe apprezzarsi del 4% con dazi del 10%, “così che il 10% non arrivi” ai consumatori. Bessent ha poi detto che il piano di dazi è centrale nell’agenda di Trump, che li userà anche come arma negoziale. Secondo indiscrezioni, Bessent sarebbe stato tra gli artefici di un piano per l’introduzione più graduale dei dazi, partendo da un 2%-5% al mese per i Paesi partner. (AGI)
CRE





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