Don Giusto, il prete «amico dei negri e dei barboni» sotto l’attacco del sindaco «contro tutti»: a rischio il cineforum

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di
Andrea Galli

Il parroco di Rebbio, 63 anni, già missionario in Camerun, accoglie immigrati ed emarginati. Il sindaco Alessandro Rapinese ha anche vietato di portare la colazione ai senzatetto

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DAL NOSTRO INVIATO
COMO –  Qua nella periferia di Rebbio, un tempo paese e ancora si vede, la gente saluta e s’aiuta, insieme a don Giusto Della Valle, il parroco, valtellinese di Le Prese, frazione di Sondalo sulla strada verso Bormio, 63 anni, già missionario in Camerun, che arriva sporco di segatura e terra e polvere reduce da lavori vari come far la legna, si cresce e ancor prima si nasce — l’ultimo venuto al mondo è Mohamed Federico, eccolo che piange e pisola, buona vita piccolo —, e s’imparano l’italiano e i mestieri da manovale, e gli ultimi trenta migranti, nigeriani e maliani, sono approdati a Como attraverso i corridoi umanitari, c’erano quindici minorenni e il locale comprensorio scolastico ha subito provveduto all’inserimento alla materna, alle elementari e alle medie senza menate eccessive, accartocciando la burocrazia, senza il disturbo di genitori di altri bambini schifiltosi, fighetti, che si opponevano. 

Alla fine, a Rebbio, metà della popolazione ha origini straniere, ci si preoccupa di campare e si ringrazia il sole che sorge. Eppure, eppure dinanzi a questa crescita — decine di persone, dieci nazioni nella comunità gestita da don Giusto con operatori e volontari —, sembra quasi ci si diverta a dar battaglia con un processo di sottrazione. L’ultima del Comune è quella di far chiudere il cineforum.




















































Ebbene il cineforum tiene trecento posti, è di proprietà della parrocchia che l’affitta a prezzo contenuto, cinquecento euro per pomeriggi/serate di concerti, spettacoli, eventi culturali e dibattiti, si incassano utili da reinvestire nelle spese, non poche. La medesima parrocchia ha già pagato 21 mila euro per adeguare la struttura alle normative, abbiamo girato il teatro, cinquant’anni, moderno, i sedili ignifughi, le uscite d’emergenza come devono essere, l’impianto elettrico, i bagni, ma invece ogni volta c’è sempre la speciale commissione dell’amministrazione che rileva questo e quello… Per carità, la legge è la legge dice don Giusto, i cui odiatori fan passare per rivoluzionario di carta, un oppositore a prescindere, un «amico dei negri e dei barboni», un fiancheggiatore dei centri sociali, uno che semina zizzania, che rompe le scatole alla borghese e tranquilla Como; quindi la legge è la legge e però non sembra questa la città dell’efficienza estrema, del rigore massimo, coi palazzoni abbandonati e mai riconvertiti, con la povertà crescente, e una povera donna, Nirvana Brkic di anni 57, sul finire dell’anno rinvenuta senza vita a casa sua, morta per un malore, e là rimasta cadavere per nove mesi senza che nessuno, un parente, un vicino, un conoscente, un amico, uno pure per caso, nessuno per davvero, figurarsi i Servizi sociali del Comune che avrebbero dovuto di lei occuparsi, abbia mai segnalato che appunto si era spenta, chi se ne frega. 

La signora Brkic, nativa di Fiume quando c’era la Jugoslavia, e della quale proprio don Giusto ha celebrato i funerali pagati da un cittadino che ha voluto restare anonimo, viveva in quel pieno pienissimo centro dove si moltiplicano i negozi di beni superflui e i posti per mangiare, non lontano dai portici dei senzatetto che il sindaco Alessandro Rapinese vorrebbe fossero liberi immacolati: al dottore non piace che il popolo dia da mangiare ai disgraziati portando vassoi, piatti, buste

Viene l’ora del pranzo, due preghiere prima secondo le differenti fedi dei commensali, la presentazione degli ospiti, cioè noialtri, che ricevono il cibo per primi e poi tocca a tutti gli altri; ci sono i turni per servire, sparecchiare, pulire, non è questo un posto per svaccarsi sul divano smanettando col cellulare. Difatti un ristoratore d’origine cinese chiama uno dei ragazzi marocchini, vorrebbe acquistare della legna per il forno della pizza, ci si organizza per la consegna, forza; e c’è un imprenditore edile comasco che offre impieghi da muratori nei cantieri, ovviamente nessuno regala niente, bisogna star sempre dentro la realtà, e a lui conviene prendersi arabi centrafricani, almeno non litigano, a differenza, siccome siamo tutti provinciali, del tunisino col nigeriano, dell’albanese col romeno, dell’italiano con l’egiziano e via elencando, robe del genere della commedia umana.

I bimbi fanno i compiti, giocano a pallone, uno dei papà, artigiano del cuoio, mostra le creazioni, una volontaria di professione infermiera butta occhiate verificando se qualcuno appaia mogio e abbia necessità di una visita, don Giusto e la sua compagnia di giro — egli la chiama la galleria umana, esposizione di volti, storie, incroci — vanno di corsa.
E comunque s’è parlato per forza di Como («Troppa disgregazione, la città ritrovi la sua anima, ritrovi l’unità anche nelle opinioni divergenti»); s’è parlato dei terroristi di Boko Haram che incendiano i villaggi lasciando spazio alle società di estrazione di minerali super-preziosi; e s’è parlato, certamente, dei ragazzini arrivati per spacciare droga, pendolari tra il Maghreb e l’Italia ai quali non interessano le proposte d’una nuova esistenza.

Don Giusto aveva chiesto al Comune un magazzino, uno qualunque, anche conciato, serve uno spazio per depositarci i mobili poi usati negli appartamenti abitati dai migranti. Non ha avuto nulla di nulla, forse per paura che riempisse di invasori anche il magazzino; si sa mai, sia mai.

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19 gennaio 2025 ( modifica il 19 gennaio 2025 | 10:01)

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