Israele, la liberazione degli ostaggi: il profilo di tre donne e l’ansia delle famiglie. «Scendiamo in piazza»

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di Greta Privitera

L’angoscia di chi deve ancora aspettare. La speranza che i fratellini Bibas, quattro e due anni, siano vivi

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DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – Una frase come questa — «non proseguiremo con il piano finché non riceveremo l’elenco degli ostaggi che saranno liberati da Hamas» — ha un effetto devastante per chi aspetta solo il momento di riabbracciare chi ama e che non vede da 15 mesi perché sequestrato nella Striscia di Gaza. Per quanto «quel non comunicare chi sono le prime tre persone che libereranno sia un atto di terrorismo psicologico frutto di menti diaboliche, noi vogliamo che entrambe le parti rispettino questa tregua», dicono al Corriere dalla base del Forum delle famiglie degli ostaggi.

Fino all’ultimo, anche nella serata di ieri, lo hanno chiesto ovunque fosse possibile farlo. Nelle dichiarazioni ufficiali, nelle interviste, nelle chat di gruppo e a ogni contatto della loro rubrica: «Venite tutti in piazza, partecipate numerosi per chiedere la garanzia della restituzione di ogni ostaggio». Questa è la frase chiave: «Ogni ostaggio». La firma è sempre quella del Forum dei familiari, la più forte opposizione politica di questo anno e mezzo al governo di Benjamin Netanyahu. E dalle 8.30 di domenica mattina, dall’inizio del cessate il fuoco, pretendono che il premier non li tradisca come fece a novembre e che riporti a casa tutte le 98 persone usate come bottino di guerra dai terroristi palestinesi. Oggi, alle 16, tre famiglie rivedranno i loro parenti. La gioia immensa per l’inizio di questa fase di «resurrezione» — non solo delle famiglie coinvolte, ma per un intero popolo che attende dal 7 ottobre 2023 — è attorcigliata all’ansia di scoprire le condizioni dei prigionieri e all’angoscia di chi è costretto ancora ad aspettare. 




















































Anche se non esistono comunicazioni ufficiali, è impossibile non chiedersi chi saranno i primi tre che valicheranno il confine di Gaza. Lo si domanda nei messaggi a chi sembra più informato e non si può far altro che abbozzare supposizioni date da alcune affermazioni degli ultimi giorni. Per esempio: secondo il rapporto della televisione pubblica Kan, si ritiene che i primi tre ostaggi ad essere liberati saranno donne civili. 

Allora, guardando la lista, escludendo le donne che potrebbero essere già morte e le 5 soldate, l’attenzione cade su questi nomi: Doron Steinbrecher, Romi Gonen e Arbel Yehud. Si tratta di una 30enne infermiera veterinaria, di una ragazza di 24 anni ex scout rapita al Nova Festival e di una 28enne appassionata di astronomia. Steinbrecher viveva nel kibbutz Kfar Aza. Prima di essere rapita, ha registrato un messaggio vocale e lo ha inviato a un gruppo di amici: «Sono arrivati, mi portano via». Per una settimana non è stato chiaro se fosse stata uccisa o presa in ostaggio. Gonen è una delle ragazze portate via dal Festival Supernova. Anche lei fino all’ultimo è stata in contatto con la madre. Stava scappando da Hamas e le ha scritto sul cellulare: «Mamma mi hanno sparato. Tutti stanno sanguinando». Yehud era nel kibbutz di Nir Oz con il fidanzato. Suo fratello è stato ucciso, si dice che abbia difeso allo stremo delle forze la sua comunità.

Sono cinque giorni che scriviamo «della lista dei 33», dei primi e le prime liberate. Facciamo proporzioni: per una soldata 50 prigionieri palestinesi. In questa rincorsa a capire quali siano stati i confini tracciati dai negoziatori, torniamo a sorprenderci delle storie di questi «primi» 33 che ci riportano al 7 ottobre, quando abbiamo visto un massacro live. E all’improvviso ci ricordiamo che ogni nome è un simbolo

Come Yarden e Shiri Bibas e i loro figli, Ariel di 4 anni, e Kfir, il più piccolo a Gaza che ieri ha compiuto due anni, il secondo compleanno da prigioniero. Torniamo con la memoria alla foto di loro quattro felici, sul divano, con il pigiama di Batman. Sono stati rapiti a casa, nel kibbutz Nir Oz. Yarden Bibas, il marito, è stato preso in ostaggio separatamente. La donna e i due figli rientrano nella lista dei primi. Qui le informazioni si fanno confuse. Hamas aveva annunciato che erano stati uccisi nei raid israeliani e, ha raccontato un ostaggio liberato, un altro compagno di prigionia era stato costretto a dirlo al padre. L’esercito aveva definito questa vicenda «terrorismo psicologico». In queste ore di ansia e di attesa, il destino della famiglia Bibas tiene molti con il fiato sospeso.

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19 gennaio 2025 ( modifica il 19 gennaio 2025 | 07:03)

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