La giornalista da Fabio Fazio: «La telefonata che ha fatto capire alla mia famiglia come stessi è stata quella in cui ho detto al mio fidanzato Daniele Raineri che avevo paura per la mia testa».«Non mi hanno mai fatto male, non mi toccavano nemmeno»
«Stai riuscendo a dormire?» chiede Fabio Fazio a Cecilia Sala, ospite di «Che tempo che fa», «Aiutata sì, ho dei picchi di euforia bellissimi e dei momenti di ansia che imparerò a gestire – risponde la giornalista -. Sono stata fortunata a stare dentro solo 21 giorni, e di conseguenza il recupero per me è stato più rapido di molte altre persone nella mia condizione. Ero sicura che sarei rimasta più a lungo, questa è stata l’operazione più rapida dagli anni Ottanta, e io conoscevo gli altri casi, sapevo che 21 giorni non erano molti. Le ultime sere quando sono arrivate le lenti a contatto, un libro e una compagna di cella ho pensato “okay, posso stare qui anche di più”».
Ha esordito così Cecilia Sala, ospite domenica sera di «Che tempo che fa», la trasmissione condotta da Fabio Fazio sul Nove. È la prima volta che la giornalista compare in televisione, o in un qualsiasi programma, dalla sua liberazione, avvenuta l’8 gennaio.
Ad oggi Sala ha raccontato il suo tempo trascorso nel carcere di Evin, in Iran, solo una volta, nel podcast «Stories», da lei curato per Chora Media. In quell’occasione ha raccontato quanto successo dal suo fermo – avvenuto a Teheran il 19 dicembre – alla sua liberazione, frutto di un triangolo diplomatico tra Stati Uniti, Italia e Iran.
A Fazio ha aggiunto che «dopo giorni di attesa mi hanno portato un libro, “Kafka on the shore” di Murakami, che hanno scelto loro per me. Io all’inizio avevo chiesto il Corano in inglese perché sapevo che sarebbe stato complicato stare da sola in una cella come quella, ma mi è stato negato e così ho passato il tempo a contarmi le dita, leggere gli ingredienti sulla busta del pane… I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti, la telefonata che ha fatto capire alla mia famiglia come stessi è stata quella in cui ho detto al mio fidanzato Daniele Raineri che avevo paura per la mia testa. Mi hanno tenuto in forza i pensieri belli della mia vita e i sorrisi che avrei rivisto».
Dopodiché Sala racconta degli interrogatori subiti, di spalle e incappucciata: «L’ultimo interrogatorio prima della mia liberazione è durato dieci ore di seguito, con brevi pause e incappucciata. C’è stato un momento in cui sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona che parlava inglese e dalle domande che mi faceva ho capito che conosceva bene l’Italia. Erano persone colte. Non mi hanno mai fatto male, non mi toccavano nemmeno, mi portavano in giro con un bastone perché non li toccassi». Racconta poi che, secondo lei, volevano cercare di tirare fuori qualcosa di utile per dimostrare che non era una giornalista ma che poteva essere scambiata in un caso di sicurezza nazionale. «È stato un lavoro che non si vedeva in tempi così rapidi dagli anni Ottanta».
«Io ero lì con un permesso da giornalista, avevo richiesto le interviste un mese prima. Hanno bussato alla mia camera mentre lavoravo e da qual momento non ho più potuto fare nulla, chiamare l’ambasciata, un avvocato iraniano, nulla. Il giorno dopo mi hanno fatto fare tre chiamate per giustificare la mia sparizione. Ero bendata e con il viso schiacciato al sedile, ma dalla strada ho capito che mi stavano portando a Evin».
«Ho pensato molto e preso in considerazione l’ipotesi che fosse una detenzione illegittima e che lo sapessero anche loro, ma ho anche provato a pensare a cosa potesse avergli dato fastidio. Ma erano interviste annunciate fin da quando ho chiesto il visto. C’era qualcosa che non tornava nel mio arresto. Ho capito che ero un ostaggio quando mi hanno detto che era morto Jimmy Carter – il presidente della crisi degli ostaggi -, l’unica notizia dall’esterno che mi hanno dato».
«Quando mi hanno liberata pensavo volessero portarmi da un’altra parte, perché non si fidavano a lasciarmi lì. Ma quando, all’aeroporto militare, ho visto un uomo che non poteva non essere italiano, ho fatto il sorriso più bello della mia vita» aggiunge.
«Mi spaventava il conto alla rovescia per l’insediamento di Trump perché se fosse cominciata una guerra aperta tra l’America e l’Iran la mia situazione sarebbe diventata molto complicata da sciogliere». Sulla questione se Elon Musk possa aver contribuito alla sua liberazione, Sala commenta che nessuno della sua famiglia si è mai messo in contatto con Musk.
«Se tornerò in Iran? Finché c’è la Repubblica Islamica no» ha concluso Cecilia Sala.
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