Effettua la tua ricerca
More results...
Mutuo 100% per acquisto in asta
assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta
Con Cop29 e il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il biennio 2024-2025 segna la riaffermazione dell’importanza dei combustibili fossili (e del nucleare) a fronte del fallimento della politica energetica europea e dell’Energiewende tedesco in particolare.
Il 2024 si è rivelato un periodo buio per l’Unione europea, segnato da grandi sfide energetiche che hanno messo in luce la continua perdita di competitività del Continente.
Il rapporto di Mario Draghi ha confermato senza ambiguità le conseguenze disastrose dei prezzi elevati dell’energia per l’economia europea, sottolineando che i costi dell’elettricità nell’Ue sono da due a tre volte più alti rispetto agli Stati Uniti.
Ma il 2025 potrebbe essere – per lo meno fuori dell’Ue – l’anno dell’orgoglio rivendicato delle energie convenzionali e in particolare della riaffermazione dei combustibili fossili.
Il crollo dell’economia tedesca
L’Energiewende tedesca si è rivelata un fragoroso fallimento che ha portato alla caduta del governo di Olaf Scholz. La sorprendente chiusura delle efficienti centrali nucleari ammortizzate, combinata con un’eccessiva dipendenza dalle energie rinnovabili intermittenti e variabili, ha portato a un’instabilità cronica della rete elettrica e a costi energetici proibitivi, che producono effetti indesiderati anche al di fuori della Germania.
In dicembre il prezzo dell’elettricità nel sud della Svezia è esploso per l’importazione dalla Germania al fine di evitare il blackout elettrico; il forte differenziale di prezzo all’interno della Svezia ha destato stupore e quindi la ministra svedese dell’energia ha criticato con veemenza il governo tedesco che con la sua politica ha creato questa disparità tra la popolazione svedese.
È ovvio che tutti i consumatori europei pagano per l’errore dell’Energiewende. Questa politica ha fatto sprofondare la Germania, un tempo motore economico dell’Ue, in una profonda recessione che si è aggravata per tutto il 2024 e si protrarrà nel 2025.
La fine delle forniture di gas russo a basso costo ha inferto un duro colpo all’industria chimica tedesca, che dipendeva fortemente da questa risorsa. Le conseguenze sono state devastanti: chiusure di stabilimenti, delocalizzazioni e massicce perdite di posti di lavoro hanno segnato il 2024, scuotendo le fondamenta stesse dell’economia tedesca.
Va notato che i grandi industriali non avranno alcuno scrupolo a investire altrove, lasciando un campo di rovine per le piccole e medie imprese che lavoravano per questi giganti, causando così un’ecatombe sociale per il personale europeo delle grandi aziende come delle Pmi.
L’isolamento dell’Ue sulla scena internazionale
Le statistiche mondiali delle emissioni di CO₂ hanno mostrato l’isolamento dell’Ue. Nonostante gli sforzi accaniti per ridurre la sua impronta di carbonio, le emissioni globali di CO₂ hanno continuato ad aumentare inesorabilmente nel 2024.
In particolare, l’Agenzia internazionale dell’energia ha riportato un ulteriore aumento del consumo mondiale di carbone che ha raggiunto gli 8,8 miliardi di tonnellate (10% di aumento in 10 anni).
Una realtà che ha messo in luce l’isolamento crescente dell’Ue sulla scena internazionale, dove la sua ricerca ossessiva della decarbonizzazione ha trovato poca eco.
La volontà dell’Ue di imporre una decarbonizzazione forzata dell’economia si è scontrata con la dura realtà economica. Le aziende europee, di fronte a costi energetici elevati, hanno perso terreno rispetto ai loro concorrenti americani e asiatici, e non solo nel settore automobilistico. Questa situazione ha portato a una rapida deindustrializzazione del continente, mettendo a rischio interi settori dell’economia europea. Per l’Italia il caso Stellantis è emblematico ma non certo unico.
I cittadini europei, di fronte alle conseguenze concrete di queste politiche, hanno iniziato a esprimere il loro malcontento. Le elezioni per il Parlamento europeo del 2024 hanno visto una significativa riduzione del peso degli ecologisti, costringendo la Commissione europea a rivedere la sua retorica.
Il “Green Deal” è stato ribattezzato “Clean Deal”, in un disperato tentativo di cambiare la percezione pubblica senza tuttavia modificare sostanzialmente le politiche in atto.
Va notato che il rapporto Draghi era disponibile prima delle elezioni europee, ma la sua pubblicazione è stata ritardata, poiché si sapeva che la popolazione avrebbe ulteriormente penalizzato la politica di decarbonizzazione.
La proposta di Draghi di aumentare i sussidi pubblici per sostenere la transizione energetica è un palliativo che fa solo per mascherare temporaneamente i profondi problemi strutturali che affliggono il mercato energetico europeo. Questo approccio è una negazione della realtà vissuta dall’economia europea a causa del prezzo anormalmente elevato dell’energia, mentre il mondo non ha mai avuto così tanta energia abbondante e a buon mercato.
L’Ue al bivio
La Cop29 a Baku ha segnato una svolta decisiva, con l’Ue marginalizzata di fronte a una riaffermazione dell’importanza dei combustibili fossili.
Contrariamente alle aspettative dell’Ue di ottenere un fermo impegno per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, la conferenza ha messo in evidenza il loro ruolo continuo nel mix energetico mondiale. Questa posizione, sostenuta dai paesi esportatori di idrocarburi e dalla presidenza azerbaigiana ha relegato le ambizioni europee di decarbonizzazione in secondo piano, sottolineando il crescente divario tra gli obiettivi dell’Ue e la realtà geopolitica mondiale.
Il 2024 rimarrà negli annali come un anno nero per la politica energetica dell’Ue. Il palese fallimento dell’Energiewende tedesca e la perdita generalizzata di competitività hanno messo in luce i limiti di una politica energetica ideologica scollegata dalle realtà economiche e geopolitiche.
L’Ue si trova ora a un cruciale bivio: può persistere sulla sua strada attuale a rischio di un prolungato declino economico, oppure può intraprendere una drastica rivalutazione della sua strategia energetica, reintegrando in particolare il nucleare come componente essenziale del suo mix energetico e ponendo fine all’ostracismo verso i combustibili fossili che rimarranno indispensabili per molto tempo ancora.
Il nuovo corso energetico degli Stati Uniti nel 2025
Il 2025 si preannuncia come un punto di svolta importante nella geopolitica dell’energia, caratterizzato da un rinnovato orgoglio rivendicato verso le energie convenzionali e da un rallentamento delle ambizioni climatiche mondiali. Il cambiamento di rotta segnato dalla riaffermazione dei combustibili fossili è influenzato dal ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e dalle politiche energetiche che ne derivano, ma era già ben avviato da altri attori.
Al grido “Drill, baby, drill”, il pragmatico Trump prevede di stimolare nuovamente l’industria degli idrocarburi. Incoraggerà l’estrazione di petrolio, lo sfruttamento del gas naturale e promuoverà ulteriormente la tecnica della fratturazione idraulica eliminando la burocrazia che la limita e autorizzandola sulle terre appartenenti al governo federale.
La nomina di Chris Wright, pioniere dello sviluppo della moderna fratturazione idraulica, come segretario all’energia, conferma questa determinazione del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Grazie allo sfruttamento della roccia madre (erroneamente chiamato scisto), gli Stati Uniti sono diventati i maggiori produttori di petrolio al mondo. Una tecnica che ritengo, e non sono l’unico, la sola vera tecnologica dirompente (disruptive) nel campo dell’energia dalla rivoluzione industriale, accanto, naturalmente, all’avvento dell’energia nucleare negli anni ’50.
Queste misure mirano a rafforzare la posizione degli Stati Uniti leader mondiale nella produzione di energia e a soddisfare un’aspirazione vecchia di cinquant’anni: l’indipendenza energetica nazionale. Parallelamente, Trump ha promesso di eliminare i sussidi per le fonti di energia rinnovabile come l’eolico.
Questo nuovo approccio americano rischia di avere importanti ripercussioni sulla scena internazionale, in particolare in termini di equilibrio di potere tra paesi produttori e consumatori di energia, evoluzione dei prezzi delle materie prime energetiche e dinamica dei negoziati climatici mondiali.
Energia abbonante e a basso prezzo
Trump intende allontanarsi radicalmente dalle vincolanti misure ambientali del tipo di quelle imposte nell’Ue, istituite dal suo predecessore, Joe Biden. Come durante il suo primo mandato, gli Stati Uniti si ritireranno dall’Accordo di Parigi sul clima. Questa decisione avrà questa volta un impatto molto maggiore sui leader mondiali che hanno capito che la lotta contro la decarbonizzazione impedirà loro di svilupparsi. Non sarebbe sorprendente se altri seguissero Washington.
Gli enormi investimenti dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti in corso nel settore energetico americano amplificheranno questa tendenza. Questi paesi, determinati a difendere l’uso di petrolio e gas, stanno anche investendo al di fuori dei loro confini – come in Egitto, Israele o altrove in Africa. Questi investimenti strategici rafforzeranno la posizione dominante dei combustibili fossili sul mercato mondiale confermandone la riaffermazione.
Di fronte a questo nuovo scenario, l’Unione europea si troverà in una posizione di debolezza a causa del suo obiettivo di decarbonizzazione. La pressione esercitata dall’afflusso di energie fossili a basso costo sul mercato mondiale renderà più difficile la transizione verso fonti di energia pulita. Inoltre, la crescita del consumo di combustibili fossili in Africa e in altre regioni in via di sviluppo accentuerà questa sfida.
La Russia, alla ricerca di valuta estera, continuerà a vendere il suo petrolio e gas naturale liquefatto (Gnl) a prezzi competitivi, indipendentemente dall’esito del conflitto in Ucraina e nonostante le sanzioni dell’Ue. Questa strategia contribuirà a mantenere bassi i prezzi dei combustibili fossili, complicando ulteriormente gli sforzi di transizione energetica.
Rilancio nucleare
Il 2025 dovrebbe infine confermare il forte ritorno dei reattori nucleari di terza generazione. Di fronte a una crescente domanda di elettricità – e non solo per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale – questi reattori offrono una soluzione immediata. Colmeranno il vuoto in attesa dell’arrivo sul mercato dei reattori di Generazione IV e dei piccoli reattori modulari (SMR), ancora in fase di sviluppo.
In conclusione, il 2025 non segnerà un ritorno alle fonti energetiche convenzionali, dal momento che non sono mai diminuite, ma piuttosto l’emergere di un orgoglio rivendicato verso queste energie. Questa tendenza è stata inaugurata da Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, nel suo discorso di apertura alla Cop 29 in cui ha affermato che “il petrolio è un dono di Dio”.
Le energie rinnovabili continueranno la loro progressione, ma a un ritmo inferiore rispetto ai combustibili fossili, cosicché il divario che esiste attualmente tra l’eolico e il fotovoltaico e le energie convenzionali, anziché ridursi, si amplierà.
Questo cambiamento di rotta, spinto dalla nuova politica energetica americana e sostenuto dagli investimenti del Medio Oriente, ridimensionerà le politiche di transizione energetica mondiale. Cosa farà l’UE? Persisterà o si adatterà? L’arrivo di Teresa Ribera, Dan Jørgensen e Philippe Lambertz nell’entourage di Ursula von der Leyen non sembra propizio a questo ripensamento.
Samuele Furfari è professore di geopolitica dell’energia, ESCP Business School.
Potrebbero interessarti anche
Foto: Landman
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link