La cerimonia di insediamento del presidente americano Donald Trump ha costituito il rito della natura servile e radicalmente antidemocratica del capitalismo, di cui le “nuove” destre sono efficaci interpreti.
A rendere omaggio a Washington al neo-monarca si sono recati i leader delle formazioni più intolleranti e scioviniste del panorama europeo, da Éric Zemmour, guida dell’estrema destra francese, al copresidente di Afd, ai nostalgici del nazismo, a Nigel Farage.
A fianco a loro si sono seduti i super ricchi feudatari del turbocapitalismo, da Mark Zuckerberg a Tim Cook, da Jeff Bezos a Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, alla ricerca di un nuovo accreditamento dopo aver sostenuto a lungo i Democratici.
La presenza ossequiosa di simili personaggi non è del tutto in linea con la posizione dei tre grandi fondi finanziari –Big Three-, principali azionisti delle loro società, preoccupati dalla visione trumpiana di una finanza in cui gli attuali monopoli, sorretti dalla Federal Reserve e dalla Sec, siano sostituiti, o quantomeno integrati, da una nuova élite, interessata alle criptovalute, ai fondi hedge e al private equity.
In altre parole, Zuckerberg, Bezos e compagnia vogliono salvare le proprie posizioni personali, le loro gigantesche fortune, distinguendosi dai fondi che li hanno sorretti, mettendosi alla ricerca di altri finanziatori nell’ambito di una vera e propria sostituzione delle gerarchie della liquidità: la domanda che probabilmente si sono fatti i grandi feudatari è quanto saranno ancora in grado BlackRock, Vanguard e State Street, di raccogliere, da soli, l’intero risparmio gestito degli americani senza avere una chiara copertura politica.
Naturalmente in Campidoglio sono arrivati, con un invito ufficiale, i campioni del liberismo, Javier Milei e Giorgia Meloni, i più affidabili “amici” di Trump, solerti nello svendere le loro economie alla “grande America”, incarnata, in primis, da Musk.
Non ci sono stati invece i capi di Stato europei, non invitati e prossimi destinatari delle guerra commerciale Usa; del resto dopo la guerra di Biden, ora l’Europa subirà anche la guerra di Trump.
C’era invece, invitata solennemente, una rappresentanza molto qualificata della Cina e l’amministratore delegato di TikTok, Shou Zi Chew, a dimostrazione che il capitalismo della destra e dei feudatari non può permettersi alcuna guerra con il comunismo cinese: può impoverire e demolire la vecchia Europa che ha confuso il liberalismo democratico con la sudditanza atlantica, ma non può misurarsi con il nuovo mondo che, guarda caso, ha radici lontane.
D’altra parte, la Cina sta attrezzandosi. Nel 2024 il surplus della bilancia commerciale cinese ha raggiunto il record di poco meno di 1.000 miliardi di dollari. Un risultato enorme che contiene però anche altri dati rilevanti. Il primo è costituito dal fatto che si è dimezzata la quota di commercio cinese costituita dagli Stati Uniti, scesi dal 14 a poco più del 7 per cento.
Il surplus è invece cresciuto negli scambi con i Paesi del Pacifico, con quelli africani, con il Canada, con la Russia e con il Messico. In sintesi Pechino sta mettendosi al sicuro da ogni scelta di Trump e sta costruendo nuove geografie degli scambi globali, mentre con la spesa pubblica sta spingendo il mercato interno che ha superato i 2.500 miliardi di dollari.
Intanto l’ormai ex presidente Joe Biden ha continuato a sostenere che i cinesi “non supereranno mai” gli americani. Forse in una cosa non li supereranno certamente: nella perversione finanziaria della politica.
Il presidente Trump ha creato una propria criptovaluta, celebrativa della vittoria, che ha raggiunto in poche ore i cinque miliardi di dollari di valore. In pratica chi l’ha comprata ha avuto un guadagno del 13mila per cento. Si tratta di una vera e propria perversione del capitalismo; il presidente della “più grande democrazia del mondo” -come la definiscono tanti adoranti liberali- pone in essere una colossale speculazione, costruita su uno strumento finanziario a cui non corrisponde nient’altro che la forza politica dello stesso Trump, e da tale speculazione deriva l’arricchimento di chi ha accettato la scommessa.
Una reliquia del presidente diventa oggetto di culto finanziario e genera ricchezza autosufficiente, dipendente solo dal potere. Naturalmente il veicolo su cui annunciare l’epifania criptovalutaria trumpiana è stato X, il social del proconsole Elon Musk.
La vera domanda è come ciò sia stato possibile, come siamo approdati a questa dimensione che rappresenta la suprema celebrazione del profitto totalmente dipendente dal feticcio del monarca assoluto. I liberali e i democratici soggiogati dall’egemonia del mercato hanno finito per distruggerlo rimuovendo ogni limite all’avidità. E Trump passa all’incasso, in tutti i sensi, seguito da un meme altrettanto venduto della consorte Melania.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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