In pensione sempre più tardi: sotto le promesse niente

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La Ragioneria generale dello Stato, dopo la denuncia della Cgil che aveva acceso i fari ancora una volta su un tema estremamente delicato come quello delle pensioni, lo scorso 15 gennaio ha aggiornato il 25° rapporto Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio- sanitario. Risultato? dal 2027 serviranno 3 mesi in più per accedere al trattamento pensionistico e dal 2029 altri 2 mesi.

Una modifica decisamente importante che dovrà essere poi ufficializzata con un decreto nel corso del 2025. In sostanza, dal 2027 per accedere alla pensione anticipata saranno necessari 43 anni e 1 mese di contributi; mentre dal 2029 il requisito aumenterà ulteriormente a 43 anni e 3 mesi. Per la pensione di vecchiaia si passerà a 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029.

Gli slogan del governo

Cosa succede allora nei giorni successivi? Il governo, per rassicurare gli elettori, esce allo scoperto con le dichiarazioni del ministro dell’Economia che annuncia che non ci sarà alcun aumento dell’età per il pensionamento. In realtà, si tratta dell’ennesima promessa illusoria: sappiamo ormai bene che la verità è un’altra rispetto ai tanti slogan e annunci di questi anni.

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Infatti, dopo aver promesso a tutti e a tutte che la legge Monti-Fornero sarebbe stata superata – consentendo un’uscita anticipata dal mondo del lavoro – l’esecutivo ha introdotto misure che vanno in direzione esattamente opposta, posticipando il pensionamento fino a 70 anni di età. Del resto era già tutto chiaro con il piano strutturale di bilancio che è stato mandato all’Europa, dove sulle pensioni il vero impegno dell’esecutivo era, appunto, lo spostamento in avanti. D’altra parte, il giudizio della Cgil sulla legge di bilancio è chiaro: su tanti temi centrali, come fisco, sanità, lavoro, politiche industriali, welfare e pensioni, non c’è nessuna risposta positiva. Ma entriamo nel merito delle misure previdenziali della Ldb con l’aiuto di Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil nazionale.

Azzeramento della flessibilità in uscita

La proroga per il 2025 di Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 conferma i peggioramenti introdotti negli ultimi anni che certificano l’azzeramento della flessibilità in uscita che i governi precedenti avevano tentato di introdurre. Un taglio che negli ultimi due anni è pari al 60% della platea e che evidenzia la volontà di restringere qualsiasi misura anticipata rispetto ai 67 anni di età. “Possiamo quindi affermare – spiega Cigna – che la legge Fornero non si applicherà solo allo 0,011% della forza lavoro nel nostro Paese; per tutti gli altri, sarà l’unico modo per accedere alla pensione”.

Per essere ancora più precisi, riguardo a Quota 103 con il ricalcolo contributivo e l’estensione delle finestre di accesso al pensionamento previste lo scorso anno, dalla relazione tecnica della legge di bilancio emerge che per il 2024 sono state presentate solo 1.541 domande. Per Cigna “questi dati confermano le nostre stime elaborate subito dopo l’introduzione della misura, che ne evidenziavano l’inutilità”.

Contributi in busta paga (bonus Maroni): più disuguaglianze

Ancora una volta si sceglie di creare disuguaglianze nel sistema previdenziale, incentivando la prosecuzione dell’attività lavorativa attraverso l’esonero del versamento contributivo (bonus Maroni) a carico dei lavoratori che, potendo scegliere se accedere alla pensione o meno, ricevono in busta paga l’importo netto dei contributi. Una misura assolutamente sbagliata, che altera la logica interna del sistema previdenziale e rischia di determinare profonde differenze tra i lavoratori e compromettere la sostenibilità futura del sistema.

Ennesimo attacco ai lavoratori pubblici

Dopo il taglio alle pensioni anticipate dei dipendenti pubblici (per coloro che sono iscritti alle gestioni Cpdel, Cps, Cpi e Cpug) operato lo scorso anno, il governo innalza tutti i limiti ordinamentali delle pubbliche amministrazioni a 67 anni di età. Viene abrogata, quindi, una norma che era rimasta in vigore anche durante la legge Fornero e che affermava che i limiti ordinamentali di 65 anni o dei singoli ordinamenti rimanevano invariati nonostante l’entrata in vigore della riforma.

Di conseguenza l’accesso alla pensione viene ulteriormente ritardato per tutte e tutti e il Tfs/Tfr sarà erogato ancora più tardi. Se prima chi raggiungeva i limiti ordinamentali doveva attendere 12 mesi per la prima rata, adesso dovrà attendere molto di più. Secondo i calcoli dell’Osservatorio Cgil, tutto ciò, in un periodo in cui si è determinata un’impennata inflazionistica cumulata del 17%, su un reddito medio di 40.000 euro con 43 anni di servizio, produce una perdita del potere d’acquisto pari a circa 25.000 euro. Per il responsabile previdenza della Cgil “si tratta di una penalizzazione inaccettabile che colpisce duramente i lavoratori dopo una vita di contributi”.

Altro che Quota 41, per tutti coloro che sono iscritti alle gestioni pubbliche sopra evidenziate, si può arrivare a dover accumulare 48 anni di contribuzione, e anche lo “sconto” previsto per il personale sanitario determinerà comunque una Quota 46, sempre in termini di anni di contribuzione. Questo scenario è in totale contraddizione con le promesse fatte e rappresenta un arretramento delle tutele previdenziali, con un taglio che supererà i 32,9 miliardi nel decennio.

I giovani? In pensione sempre più tardi

Per i giovani nessun intervento migliorativo. Dopo aver innalzato lo scorso anno la soglia di accesso alla pensione anticipata nel sistema contributivo, si introduce un incremento (da 12 a 16 mesi) della possibilità di accesso anticipato alla pensione di vecchiaia (con sistema contributivo) per le lavoratrici con 4 o più figli. Misura questa, che raggiungerà pochissime donne, come evidenziato nella relazione tecnica (0,79% delle donne) considerando il tasso di occupazione femminile.

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Nessuna pensione di garanzia nel contributivo

Anziché costruire una pensione di garanzia nel sistema contributivo ed eliminare le soglie di accesso per la pensione, il governo affida poi alla previdenza complementare la responsabilità di risolvere i problemi della precarietà e dei bassi salari, che avranno inevitabilmente ripercussioni sulle pensioni future. La decisione di poter utilizzare il valore teorico della rendita maturata nell’ambito della previdenza complementare per raggiungere l’importo soglia stabilito per la pensione di vecchiaia a 67 anni riguarderà 100 persone all’anno per i prossimi anni: si conferma insomma un intervento del tutto marginale e inutile.

Altrettanto pericolosa la possibilità di uscita anticipata a 64 anni nel sistema contributivo attraverso il cumulo tra previdenza obbligatoria e complementare. Invece di rimuovere l’importo soglia, come si diceva prima, il governo introduce requisiti più severi: dal 2025 saranno necessari 25 anni di contributi, e dal 2030 addirittura 30 anni, con un importo soglia – che viene innalzato per tutti, anche per coloro che non utilizzano il cumulo con la previdenza complementare – di 3,2 volte l’assegno sociale (circa 1.710 euro, 400 euro in più rispetto al 2022). Questi vincoli, in un mercato del lavoro caratterizzato da bassi salari e carriere discontinue, escluderanno gran parte dei lavoratori dalla possibilità di accedere alla pensione anticipata.

In totale contraddizione con le misure precedenti la possibilità per i neo assunti dal 2025 in avanti di versare fino al 2% della propria contribuzione all’Inps, con la possibilità di dedurre il 50% della contribuzione versata. Lapidario Cigna: “Misura assolutamente non conveniente e quindi totalmente inutile”.

Per i pensionati non andrà meglio

L’incremento delle pensioni minime di 1,8 euro ha dell’incredibile. Dopo mesi di annunci e proclami con numeri altisonanti, l’aumento si traduce in 6 centesimi al giorno. Da tempo la Cgil chiede un intervento sulle pensioni basse, attraverso un rafforzamento e allargamento della quattordicesima, misura che avrebbe un impatto reale sulla vita di milioni di pensionati in difficoltà. Il ripristino della perequazione piena con il 2025 con un indice dello 0,8%, non dà alcun ristoro ai tagli prodotti nel 2023 e 2024, che non saranno più recuperabili per i pensionati.

Ghiglione, Cgil: nessuna risposta per giovani, donne e pensionati

“Nessuna risposta da parte del governo soprattutto per giovani e donne già pesantemente penalizzati nel mondo del lavoro. Di fatto, si sposta il traguardo pensionistico per tutti, altro che riforma del sistema previdenziale con elementi di solidarietà ed equità”, così la segretaria conferedale della Cgil, Lara Ghiglione.
Che attacca: “Si continua a ignorare la necessità di una riforma complessiva che tenga conto delle esigenze di tutte le generazioni, delle donne ancora compresse tra lavoro e responsabilità familiari e delle diverse categorie di lavoratori. Infatti, non si riconosce il lavoro di cura, il lavoro gravoso e usurante. Questa è la verità, dopo anni di bugie su un tema così delicato come quello delle pensioni”.
“Il governo – conclude Ghiglione – dovrebbe iniziare a prendere sul serio questo problema e aprire un confronto con le parti sociali: basta slogan e promesse inutili sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori”.



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