La difficoltà che proviamo nello stabilire linee etiche nette

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Negli ultimi anni abbiamo assistito, con le crisi economica e pandemica, al crollo di alcune certezze, o illusioni, che avevamo coltivato: il progresso socio-economico illimitato, la pace perenne e la salute assicurata (almeno nell’euro-occidente). Molta confusione sotto il cielo, quindi, e situazione non proprio eccellente. Il corsivo di Battista Falconi

 

La difficoltà nello stabilire linee etiche nette, separando bene e male, è comprensibile, tanto più in un mondo dove, in un arco temporale breve, sono cambiate moltissime condizioni e i parametri che permettevano di giudicare. Società multiculturali e multietniche, secolarizzazione e laicismo, allentamento dei legami famigliari, innovazione tecnologica, pervasività delle comunicazioni sono state rivoluzioni silenti, mitridatizzate, ma profonde. Indotte non da traumi repentini ma da una concausalità fatta di scoperte tecno-scientifiche, interessi economici, serendipità e input intenzionali precisi, come con le campagne referendarie radicali in Italia.

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Negli ultimi anni abbiamo poi assistito, con le crisi economica e pandemica, al crollo di alcune certezze, o illusioni, che avevamo coltivato: il progresso socio-economico illimitato, la pace perenne e la salute assicurata (almeno nell’euro-occidente). Persino tendenze considerate adamantine, come longevità e aumento della vita media, hanno mostrato una faccia complicatissima, mettendo a repentaglio i sistemi socio-sanitari. Molta confusione sotto il cielo, quindi, e situazione non proprio eccellente. In questo, la tregua mediorientale è paradigmatica: come non gioirne e come, al contempo, non esserne perplessi? La potremmo definire una pessima pace, fatta di un turpe mercimonio umano, tra due contendenti che l’hanno subita solo perché meno peggio dell’instabilità provocata dalla guerra (considerazioni simili, peraltro, a quelle che faremo quando ci si siederà a un tavolo russo-ucraino). La guerra rivela sempre più come peggior difetto – assieme alla morte, alla violenza e alla distruzione (40 miliardi e 14 anni previsti) – la sua inutilità. E se si va indietro con la storiografia si noterà che l’esito di battaglie epocali e guerre lampo è stato sempre temporaneo e parziale. Il ripudio della nostra Costituzione non è quindi solo umanitario, è anche saggio.

Passando alle meno cruente controversie di casa nostra, l’incertezza di giudizio non cambia. Alcune trincee vedono una casta – si tratti di medici, magistrati, tassisti o balneari – difendere i propri interessi corporativi. Altrimenti, per fare un esempio, i togati punterebbero le loro armi polemiche contro il flop del sistema informatico avviato dal ministro Nordio, oltre e più che sulla separazione delle carriere. D’altra parte, obbediscono alla medesima logica di interesse anche alcuni fronti trasversali, vedi l’asse favorevole al terzo mandato, costituito da esponenti bipartisan che se ne vorrebbero avvantaggiare.

Altre trincee vedono alcuni media condurre battaglie nello sprezzo di qualunque oggettività, equilibrio, indipendenza. Report ha mandato in onda un servizio sulla gestione turistica della Regione Marche, così come quelli realizzati sulla giunta ligure di Toti, in chiara funzione pre-elettorale. Quando si parla di Rai meloniana viene francamente da ridere… Dall’altro lato c’è però una leadership che non appare impeccabile e conferma la ricorrente narrativa su “Meloni brava, squadra incapace”. Stessa impressione sortita quando si è parlato degli hotspot in Albania e di Caivano (i cui problemi di attuazione si stanno profilando anche al Quarticciolo di Roma).

La squadra di governo nazionale e locale, del resto, non ha avuto modo di formarsi una cultura né le relazioni istituzionali e territoriali necessarie a governare, guidare un’amministrazione, condurre un’operazione strategica, alzare il livello dei servizi pubblici. La scelta tra manager di cui ti fidi per appartenenza politica (legittima) e di chiara fama ma dubbia fedeltà, per esempio, non è affatto facile.

In questa contrapposizione ricorre sempre il sogno di un centro che raccolga i consensi degli insoddisfatti di entrambe le parti. Un tatticismo che avvantaggia probabilmente la maggioranza e aumenta il caos tra le opposizioni, poggiando su slogan vuoti come “riportare le persone al voto” e su ipotetici leader, da Prodi a Ruffini, che mai smuoverebbero un astensionista, magari giovane. L’idea che, di fronte ai toni eccessivi dei due poli, basti parlare in modo pacato è una balla che fa il paio con la ricerca di grandi vecchi da esporre come guru: Prodi, di nuovo, ma anche Toscani, Galimberti, Terzani, Mattarella, Bergoglio (vedasi l’intervista da Fazio a colpi di “le donne sono meglio, i carcerati sono meglio, gli immigrati vanno accolti”). Questa mania del recupero senile conferma come un mondo che cambia spinga a cercare riferimenti nel passato, tant’è che la battuta del ministro Valditara su latino e Bibbia a scuola ha rosicchiato consenso anche tra i nostalgici di sinistra (anche qui, alla prova dei fatti, si rischia però la fuffa).

Per trovare un progressista senza remore bisogna andare su un attore come Lino Guanciale, che qualche giorno fa ha ripetuto il termine come un mantra, mentre assestava bordate alle opposizioni e anche al Pd di Elly Schlein che pure aveva sostenuto come comitato abruzzese. Bravo, preparato, aiutato dalla furbizia che deve aver imparato da quello straordinario imbroglione di Gigi Proietti. Ce lo potremmo ritrovare candidato leader tra qualche anno, così come si potrebbe anche scommettere su George Clooney aspirante presidente democratico, alla fine del mandato trumpiano appena iniziato. La deriva leaderistica e attorale della politica non sarebbe affatto una novità, se ne possono dolere solo coloro che rimproverano a “M” di Scurati: “È fiction, non storia”. Come se il cervello non fosse influenzato molto più dai bei racconti che dalle cose vere. Il che non ci deve portare a inventare menzogne ma a intortare bene i fatti sì, come in una docufiction o in quei programmi di cronaca nera dove compare l’avvertenza che “la scena è stata ricostruita”.



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