Povertà educativa: una condanna evitabile se si investe nell’istruzione

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L’Italia è tra i Paesi UE che destinano la minor percentuale del PIL all’istruzione

“A me il liceo non è mai stato presentato come una possibilità”. Purtroppo sono moltissimi i giovani studenti che, arrivati in terza media, si trovano davanti due sole strade percorribili, una più deprimente dell’altra: o un istituto professionale o tecnico, o si va a lavorare. Di solito sono i ragazzi delle periferie, magari immigrati di seconda generazione, figli di genitori che a loro volta non hanno potuto sfiorare nemmeno da lontano la possibilità di investire nella propria istruzione. Il problema non sta certo negli istituti tecnici o professionali, spesso a torto presentati come formazione di serie b; la questione è che, in contesti di povertà economica e culturale, la scuola viene spesso vista unicamente come vettore verso un mestiere e non come arricchimento personale. E, comunque, sarebbe già una vittoria se questi ragazzi effettivamente proseguissero gli studi e non si fermassero alla terza media.

La responsabilità non può essere degli stessi giovani che, a soli tredici anni o poco più, si trovano a dover prendere una delle decisioni più importanti della loro vita, spesso senza avere gli strumenti per discernere la scelta più vantaggiosa sul lungo periodo. E nemmeno dei genitori, o almeno non del tutto, dal momento che di solito sono passati dalla stessa situazione e non hanno mai avuto la possibilità di valutare un’alternativa alla loro traiettoria biografica.

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Infatti si tratta di una problematica strutturale: dalla recessione del 2008 l’Italia ha un posto fisso tra i Paesi dell’Unione Europea che destinano la percentuale minore del proprio PIL all’istruzione. In base a un’indagine del 2022 di OpenPolis, rispetto a una media europea del 4,7% di PIL speso in ambito educativo, l’Italia ha un budget di 4,1% per la scuola. Peggio di così solo Bulgaria (3,9%), Grecia (3,8%), Romania (3,2%) e Irlanda (2,7%). Benché questo quadro non rappresenti direttamente il livello qualitativo del sistema educativo nei vari Paesi, fornisce indirettamente una misura dell’importanza del ruolo della scuola nelle politiche nazionali.

Non solo, ma è stata registrata una correlazione tra investimento del Paese in educazione e posizione in classifica dei risultati delle prove OCSE-PISA. Generalmente a maggior percentuale di PIL destinato all’istruzione corrisponde un miglior risultato nel test: l’Estonia, che ha registrato il punteggio più alto (510 punti), è anche il terzo Paese UE in ordine di spesa in educazione (5,8%). Belgio (482 punti) e Svezia (489) superano entrambi il 6% di PIL destinato all’istruzione, Slovenia (485) e Finlandia (484) investono rispettivamente il 5,6 e il 5,5 per cento. All’altro polo della classifica, con punteggi inferiori a 450 punti, Cipro, Grecia, Romania e Bulgaria, tutte nazioni con meno del 4% di PIL assegnato al settore didattico. In questa cornice l’Italia rimane nella mediocrità con 471 punti.

Questi dati sono deludenti di per sé, ma se confrontati con quelli relativi alla povertà assoluta il quadro si fa ancora più cupo: se il 4,6% delle famiglie con almeno un membro diplomato è in condizione di povertà assoluta, la percentuale sale a 12,3% nelle famiglie con al massimo la licenza media. Di queste famiglie, oltre un terzo vive in condizione di deprivazione materiale. La situazione che si crea è un circolo vizioso in cui genitori con bassi titoli di studio rimangono in condizioni di povertà, cosa che si ripercuote sul livello di istruzione dei figli, a cui spesso è precluso l’accesso a risorse culturali e formative —e magari anche l’idea stessa di proseguire gli studi, o di farlo senza l’obiettivo preciso di entrare nel mondo del lavoro, aumentando il rischio di dispersione scolastica. La conseguenza è chiara: la povertà educativa è, per sua stessa natura, una malattia ereditaria.

Tuttavia la cura esiste già ed è evidente: con un investimento di risorse maggiore nell’educazione, il livello di istruzione cresce, e una maggiore istruzione è correlata a una minore povertà. Il ciclo della povertà educativa può e deve essere interrotto da un’implementazione dei fondi destinati a scuola e attività formative che dimostrino ai ragazzi che l’alternativa al destino dei genitori esiste e che il percorso non è così complicato. Lo sanno gli oltre duecento minori che attualmente partecipano alle iniziative di Aracne – La rete che include nel territorio del Municipio III di Roma, un progetto dedicato al contrasto della povertà educativa dei giovani con disabilità. Aracne è solo uno degli oltre 800 progetti realizzati da Con i bambini, l’ente che gestisce il fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. O piuttosto gestiva, dal momento che il fondo non è stato rinnovato nella nuova Legge di Bilancio.

Invece di fare un passo avanti e puntare alla media europea, l’Italia rischia di finire ancora più in basso nella classifica sul livello di istruzione e, di conseguenza, di condannare ancora più giovani a un futuro di povertà, sia educativa che materiale. Una condanna spietata che questi ragazzi non meritano.





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