Aziende familiari: in ritardo sulla sostenibilità, meno del 10% pubblica un bilancio ESG

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Sono la colonna portante dell’industria italiana, solide e in crescita, ma in ritardo sulla sostenibilità. In Italia le aziende familiari rappresentano l’81% delle imprese e generano il 68% del PIL. Tra il 2010 e il 2022 hanno mostrato un tasso di crescita (CAGR) superiore a quello delle non familiari (rispettivamente 8,9% vs 8,1%), registrando un ritorno sull’investimento (ROI) sempre più elevato (9,8% vs 8,1%) e un livello di indebitamento inferiore. Tuttavia le aziende familiari testimoniano un ritardo sull’adozione di pratiche sostenibili: meno del 10% infatti pubblica un bilancio ESG e la sostenibilità è ancora vista come un vantaggio più reputazionele che di competitività. La strada tuttavia è imboccata, ma il 76% dei CEO italiani richiede una transizione più graduale resa possibile grazie agli investimenti nel digitale.

È questo quanto emerge dal Rapporto Strategico Radici nel futuro, presentato in occasione della prima edizione del Family Business Sustainability Summit, evento dedicato al successo sostenibile delle aziende familiari italiane nato dalla collaborazione tra TEHA e Chiomenti e tenutosi a Palazzo di Varignana, Castel San Pietro Terme (Bologna), sostenuto da BPER, Forvis Mazars Italia, Sopra Steria, Alperia, CAL, De Cecco e Trilantic Europe. Il Rapporto strategico ha indagato in Europa, e in particolare in Italia, la relazione tra aziende familiari e sostenibilità in termini di readiness e sensibilità alle sfide e opportunità della just transition, per identificare punti di forza, barriere e leve per attivare il cambiamento sulla sostenibilità.

“In un mercato insostenibile nessuna azienda può prosperare. Affinché il cambiamento sia efficace, la sostenibilità deve diventare un obiettivo di massa che coinvolga l’intero sistema produttivo. Per farlo, è necessario trovare un equilibrio tra regolamentazioni e incentivi, per evitare che il costo della transizione ricada sui soggetti più vulnerabili, siano essi consumatori o aziende” ha dichiarato Carlo Cici, Partner, Head of Sustainability Practice TEHA. “I costi della transizione devono essere sempre confrontati con i costi dell’inazione, già evidenti: solo in Europa rischiano di passare dagli attuali 50 miliardi a più di un trilione l’anno a fine secolo”.

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I risultati del rapporto strategico

La sostenibilità è la grande sfida contemporanea, ma istituzioni, aziende, lavoratori e società, nei confronti della transizione, hanno una diversa visione: il 42% delle imprese sollecita incentivi finanziari per la sostenibilità e una semplificazione normativa, mentre il 58% degli investitori EU vede nell’assenza di dati ESG di qualità il principale ostacolo alla decarbonizzazione. Il 46% dei lavoratori ritiene di non avere o non conosce le competenze necessarie per sostenere la transizione verde e il 34% dei consumatori in Europa chiede regolamentazioni più stringenti che costringano le aziende a offrire opzioni sostenibili. Un dato che diventa interessante, nella sfida ESG, è che il 22% dei cittadini italiani sono disposti a pagare più tasse per mitigare il costo del cambiamento climatico.

In questo quadro di spinte ed esigenze divergenti, le imprese familiari danno dei risultati non del tutto ottimisti: In Europa, tra le grandi aziende familiari meno di una su 10 pubblica un Bilancio di sostenibilità; in Italia è il 9,2% dato non molto distante dagli altri Paesi europei, come in Francia (7%), Germania (10,8%) e Spagna (10,9%).

Il 41% delle imprese familiari ha dichiarato di non aver ricevuto pressioni in merito alla sostenibilità da parte dei propri portatori di interesse nel miglioramento delle prestazioni e della trasparenza sui temi di sostenibilità, contro il 32% delle non familiari. In ambito ESG, sono i clienti business a esercitare la pressione maggiore, seguiti da settore finanziario e istituzioni.

Per il 92% delle imprese familiari, e l’89% delle non familiari, integrare la sostenibilità nel business comporta benefici più reputazionali che di competitività. Per il 42% delle familiari il miglioramento della reputazione e della fiducia nel brand rappresenta la motivazione principale per cui venga integrata la sostenibilità nel proprio business. Per la costruzione di un modello economico più sostenibile, il 76% delle imprese necessiterebbe di un cambiamento più graduale, contro un 24% che sarebbe disposto ad accettare squilibri nel breve termine per raggiungere risultati concreti e duraturi. Per il 60% delle familiari, la transizione deve essere guidata dalle dinamiche di mercato. Al contrario, per la maggioranza delle non familiari (il 57%) sono le istituzioni a dover guidare il passaggio ad un modello economico sostenibile.

Investimenti digitali, manager esterni, alleanze di filiera

La stabilità finanziaria, l’affidabilità, la visione di lungo termine e i processi decisionali veloci portano le imprese familiari particolarmente resilienti, ma dei cambiamenti saranno inevitabili, nell’ottica di portare a compimento una transizione sostenibile. Sono tre gli elementi che saranno fondamentali nei prossimi anni: gli investimenti digitali, nell’impegno per la sostenibilità; l’apertura delle società a manager esterni, che stimolino l’innovazione aumentando la predisposizione alle tecnologie 4.0, e il rafforzamento delle alleanze di filiera, opportunità per integrare nuove competenze.

Il 52% delle medie imprese italiane, che hanno investito nel periodo 2017-2021 nella twin transition, erano preparate a superare i livelli produttivi da prima del Covid, contro il 21% tra le imprese che non hanno investito in nessuna delle due transizioni. L’82% delle imprese familiari, inoltre, riconosce l’importanza di potenziare le competenze all’interno del CdA, in particolare in merito a business e sostenibilità: il 70% delle imprese familiari ha inserito consiglieri esterni nel CdA.

Il 47% delle imprese familiari considera le alleanze di filiera uno strumento efficace per favorire la transizione sostenibile, grazie alla combinazione di risorse, tecnologie e competenze che abilitano le sinergie produttive e favoriscono economie di scala che possono aumentare la capacità di reattività alle sfide del contesto esterno. Tra il 2020 e il 2022, il 40% delle imprese italiane ha instaurato alleanze di filiera, dato in aumento rispetto al 35% registrato nel triennio 2016-2018.

Lo studio, in conclusione, ha evidenziato come le imprese familiari si stiano avvicinando sempre più alla transizione sostenibile, con alcune difficoltà derivate dalla transizione digitale e il mancato supporto da parte dei mercati e dei sistemi di prezzi, che ancora non valorizzano l’impegno di chi sceglie la via green, insieme all’insufficienza della regolamentazione, che da sola non sarà sufficiente per accelerare in questa direzione. Nonostante queste difficoltà, il margine di miglioramento e la pianificazione di strategie verso strade più sostenibili sembra concreto e consapevole.

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Istituzioni e aziende

Per le istituzioni è necessario accelerare il completamento dei quadri normativi, attraverso l’azione sui policy-maker, per la creazione di un contesto che incentivi gli investimenti a lungo termine. Va inoltre semplificato l’accesso al credito per le PMI, in modo da ridurre la burocrazia e promuovendo investimenti sostenibili, con il supporto delle istituzioni e la collaborazione delle banche. Con la “Twin Transition”, inoltre, si può favorire l’adozione di tecnologie verdi e digitali, attraverso strumenti e politiche adeguate.

Per le aziende familiari risulta funzionale creare delle sinergie che integrino investimenti in sostenibilità e digitalizzazione, in collaborazione con università e centri di ricerca. Le pratiche di governance, che comprendono la formalizzazione degli accordi tra soci, i piani di successione e i processi decisionali, andrebbero adottate affiancandosi da CDA diversificati.

“Le imprese familiari italiane rappresentano un pilastro fondamentale del nostro sistema economico, ma si trovano oggi ad affrontare sfide cruciali legate alla sostenibilità, alla governance e all’accesso ai capitali. Il passaggio generazionale, spesso percepito come una criticità, può invece diventare una leva strategica per introdurre visione a lungo termine e innovazione” ha dichiarato Massimiliano Nitti, Partner Chiomenti, responsabile dell’area Private M&A.



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