Cosa succede ora all’Autonomia differenziata dopo lo stop al referendum

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La Corte costituzionale ha deciso che il referendum per abrogare la legge sull’autonomia differenziata era inammissibile. Quindi, non si andrà a votare. Ma questo non significa che la riforma potrà entrare in vigore senza problemi: servono lunghi lavori parlamentari per darle una forma nuova, dato che la stessa Consulta aveva dichiarato incostituzionali molte parti.

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La battaglia sull’autonomia differenziata delle Regioni è finita, almeno per quanto riguarda il referendum. Lunedì la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il quesito, dunque non si voterà per decidere se abrogare la riforma voluta dal governo Meloni o meno: resterà in vigore. Tuttavia, la legge è ben lontana dal poter essere messa in pratica. A dicembre, infatti, sempre la Corte costituzionale a novembre aveva bocciato numerosi articoli della norma. Quindi andrà in buona parte riscritta, cosa che richiederà parecchio tempo.

Perché la Corte costituzionale ha bocciato il referendum

Il referendum è stato bocciato proprio perché la Consulta ha già dichiarato incostituzionali parti importanti della riforma, e su questo le opposizioni si sono concentrate nelle loro reazioni. In sostanza, dato che la sentenza di novembre aveva ‘smontato’ la legge in molte parti – cancellandole o riscrivendole – non era ben chiaro su cose si dovesse votare con il referendum.

Secondo i giudici costituzionali, dato che la riforma è ormai in buona parte cancellata o comunque da modificare, i cittadini avrebbero finito per votare pro o contro il principio stesso dell’autonomia differenziata. Ma quello è un principio contenuto nella Costituzione, che non può essere cambiata con un referendum. Perciò, niente da fare per la consultazione popolare.

Cosa possono fare adesso le Regioni che vogliono l’Autonomia

Il presidente del Veneto Luca Zaia, tra i principali sostenitori dell’autonomia, ha affermato che “la Corte ha prima affermato la costituzionalità della legge, suggerendo i correttivi, e oggi pone la parola fine al referendum togliendo incertezza alla fase operativa”. È vero che la prima sentenza (quella di novembre) aveva comunque ribadito che la legge in sé era costituzionale, ma le modifiche che ha apportato non sono per niente leggere. Insomma, l’autonomia non è per niente a un passo dall’essere messa in pratica.

Lo ha confermato anche il nuovo presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso. Nella conferenza stampa di insediamento avvenuta ieri, Amoroso ha detto che l’oggetto del referendum (cioè la legge sull’autonomia) “si è fortemente ridimensionato” dopo la sentenza di novembre. Così ridimensionata che “ciò che rimane è poco più che un perno sul quale costruire l’impianto per il trasferimento di specifiche funzioni” dallo Stato alle Regioni. Non c’è neanche la possibilità di partire subito con il trasferimento di alcune materie, come i sostenitori della riforma affermavano: prima che la legge venga riscritta, dovrà restare tutto fermo.

I prossimi passi per l’Autonomia differenziata

Proprio per questo, ora la palla torna al governo e al Parlamento. Bisognerà stendere un nuovo testo che segua le indicazioni della Corte. Nella ‘nuova’ autonomia differenziata, Camera e Senato dovranno essere coinvolti sia sulla definizione dei Lep (i Livelli essenziali delle prestazioni, che tutte le Regioni che devono garantire ai cittadini anche se ottengono l’autonomia), sia su tutti gli altri passaggi più importanti. Ad esempio, quando lo Stato e una Regione raggiungono un accordo sull’assegnazione delle competenze, questo dovrà passare dal Parlamento. Nella prima versione della legge, invece, le Camere erano di fatto escluse.

E ancora: una Regione non si potrà prendere un’intera materia (ad esempio, l’istruzione), ma solo singole competenze specifiche. Infine, tutto il complesso lavoro per definire i Lep dovrà essere svolto in anticipo, e il loro costo dovrà essere inserito nei conti pubblici. Ad esempio, se si stabilisce che tutte le Regioni devono garantire un certo servizio nell’ambito dell’istruzione, poi bisognerà mettere da parte i fondi per garantire che effettivamente lo possano fare.

Il costo potrebbe essere alto, e sarà particolarmente difficile aggiungere nuove spese ai bilancio dello Stato, dato che il governo ha varato alla fine dello scorso anno il Piano strutturale di bilancio che fissa i paletti da seguire per i prossimi sette anni. Infatti, sia Fratelli d’Italia che Forza Italia (meno interessati della Lega alla riforma) hanno fatto capire che i tempi saranno lunghi: “Scriveremo una legge equilibrata”, ha detto Antonio Tajani, senza dare una scadenza.

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