Donald Trump stacca la spina ma Ursula von der Leyn ci fa prendere la scossa. Il green deal è scoppiato?

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In questo momento storico America ed Europa sembrano aver preso due strade totalmente opposte. Donald Trump alla cerimonia di giuramento come nuovo presidente degli Stati Uniti ha annunciato che staccherà la spina al Green Deal, eliminando le sovvenzioni alle auto elettriche del suo amico Elon Musk, che parrebbe resistere all’urto, e avviando una massiccia campagna per l’uso dei combustibili fossili e gassosi nascosti nel sottosuolo.

L’Europa insiste invece sul New Green Deal, nonostante siano tantissimi i segnali che questa politica sta conducendo alla distruzione di valore e alla drastica riduzione delle vendite delle case automobilistiche, aprendo il mercato alle vetture cinesi. Non so se scoppierà la bolla verde, ma di certo bisognerà stare attenti perché solo di green bond la finanza vale 50 miliardi di dollari e l’economia verde pesa nel mondo per 7.200 miliardi. Lo shock trumpiano indurrà lo storico alleato atlantico a rivedere le proprie politiche o la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyn insisterà nel mantenere il piede in due scarpe, quello ambientale e quello bellico, dove gli indici della difesa schizzano in alto per via della guerra in Ucraina?

Con Trump si torna al Novecento

È difficile dirlo, di certo Trump ha archiviato il primo quarto di millennio tornando al Novecento mentre noi, Italia compresa, galleggiamo nell’incertezza. Sono entrati in crisi alcuni dei settori leader della costruzione del nostro sistema di sviluppo occidentale e in un certo qual modo dello stesso capitalismo: auto, lusso e persino il beverage non tirano più come ai tempi in cui la sigaretta penzoloni dalle labbra dava ad Humphrey Bogart ancora più fascino nel declamare la battuta per noi giornalisti del millennio: è la stampa bellezza e tu non ci puoi fare niente. È la globalizzazione potrebbe dire oggi il celebre attore e noi non possiamo farci niente perché non abbiamo i poteri esecutivi del successore di Joe Biden. Tutto sembra un telefono ma con le ruote.

Lo spiega bene nell’ultimo numero di Milano Finanza in edicola e digitale Fabio Pavesi: anche in borsa la triplice del secolo scorso non piace più: tornerà in auge grazie al presidente americano? Eppure, l’indice guida mondiale, lo S&P500, è passato dal minimo di 3.600 punti dell’ottobre del 2022 ai 5.800 punti attuali, il Nasdaq è salito di oltre il 90% in poco più di 27 mesi e anche Piazza Affari nello stesso periodo è salita del 70%. Rialzi spettacolari, trainati soprattutto negli Usa dalle big tech, mai così pimpanti come in questo momento e schierati in forze al Congresso per baciare la pantofola dell’imprevedibile tycoon. Ma nella corsa verso l’alto è venuta a mancare, quasi del tutto, la spinta dei settori più tradizionali, si direbbe della vecchia old economy d’altro secolo.

In Italia sale il prezzo dell’elettricità

Forse è la fine di un’epoca, di certo alcuni di questi beni sono troppo cari, colpa anche del costo dell’energia. In Italia il prezzo dell’elettricità continua ad essere superiore del 30% rispetto alla Francia e alla Spagna e ha ben poco da fare Confindustria, la quale denuncia che così andando verrà intaccato anche l’export nel 2025. Serve qualcosa di più di un accordo con Abu Dhabi e con l’Albania, stretto dalla premier Giorgia Meloni. I numeri del costo di un banale pieno all’automobile e dell’approvvigionamento per un’azienda sono sconfortanti. Mentre sembra di vivere in un film del futuro tipo Blade Runner con 7.000 satelliti Starlink che quasi oscurano il cielo e auto che si guidano da sole, gli italiani devono fare i conti con l’aumento del prezzo del diesel. Pensate un po’, il carburante con cui si fa più strada, quindi popolare. Non si tratta di una stangata come il celebre Superbollo, che l’esecutivo del tempo si inventò per penalizzare chi guidava motori non a benzina – perché non li produceva la Fiat – ma un lieve rialzo per gli automobilisti ci sarà.

LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

L’esecutivo di centrodestra ha deciso di riequilibrare le imposte che gravano sulle due tipologie di carburanti, benzina e appunto diesel, favorendo il primo perché fiscalmente più caro. I ritocchi arriveranno in virtù della legge di Bilancio 2025: chi ha un’autovettura a benzina pagherà un po’ meno il pieno di carburante, mentre chi dovrà fare un pieno di gasolio per un’auto di media cilindrata tra 5 anni si troverà a sborsare 2 euro e 5 centesimi in più, solo di accise. Sempre ovviamente al netto delle fluttuazioni di prezzo della materia prima.

Ma a preoccupare tutti, famiglie e imprese, c’è anche l’aumento del gas. Unimpresa ha stimato che il rincaro del prezzo di questa materia prima, turbolenta e con alti e bassi per via della guerra in Ucraina, potrebbe costare alle piccole e medie imprese italiane circa 1,6 miliardi di euro in costi aggiuntivi e 10 miliardi a tutto il sistema produttivo, mentre sono schizzate in alto (+18%) persino le bollette degli utenti più fragili che dal mercato libero dovevano esser tutelati. Il quadro è davvero complesso, perché persino il costo di ricarica per i veicoli elettrici aumenterà a causa del rialzo della bolletta energetica di tutto il paese, rendendo esose due volte le vetture del futuro ora bandite dall’inquilino della Casa Bianca: sono troppo care ed è diventato troppo caro pure il rifornimento.

Chi ha l’energia a basso costo ha un diamante che vale miliardi, il vero lusso, l’atomica che controlla il mondo. Trump l’ha capito e noi? (riproduzione riservata)

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