Fuori dall’Oms, sanità americana a rischio. E la Cina già festeggia

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La profezia si è avverata: il rieletto presidente Donald Trump, nel giorno del suo nuovo insediamento alla Casa Bianca, ha firmato l’ordine esecutivo di ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Il timore era nell’aria tra gli alti funzionari della agenzia, man mano che la rielezione di Trump si profilava come più che possibile. Del resto, nel 2020 Trump aveva già notificato una prima volta la decisione di uscire dall’Oms.

Le accuse allora rimandavano alla cattiva gestione della pandemia da Covid-19, scaturita dal focolaio di Wuhan in Cina; l’incapacità dell’Oms di adottare riforme (a suo dire) «urgentemente necessarie»; la sua scarsa indipendenza «da inappropriate forme di influenza politica degli stati membri».

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LE GIUSTIFICAZIONI del decreto appena emanato fanno preciso riferimento all’iniziativa politica del 2020. In buona sostanza, Trump annulla oggi la lettera al segretario generale dell’Onu del 20 gennaio 2021 con cui il neoeletto presidente Biden aveva inteso revocare la prima lettera di Trump a Guterres del 6 luglio 2020.

Il decreto di Trump lo dice a chiare lettere in più parti del testo.

Anche se da tempo montava come probabile scenario, il modo ancor offende. Il decreto di Trump è repentino e monocratico come gli altri executive orders, ma prende forma a due settimane dalla 156ma sessione del Consiglio Esecutivo dell’Oms, di cui gli Usa sono membro.

Il rischio emulazione provoca più di un subbuglio alla vigilia delle elezioni tedesche. Francia e Germania erano intervenute con decisione nel 2020 per salvare il multilateralismo sanitario con una azione europea più decisa e riconoscibile. La proposta di un trattato pandemico scaturisce dalla quella crisi geopolitica in pandemia.

TRUMP LAMENTA che, a fronte dell’inefficace azione dell’Oms, agli Usa vengano richiesti contributi finanziari sempre più onerosi, in particolare se raffrontati alla Cina. Quest’ultima, forte di una popolazione di 1,4 miliardi di persone, partecipa al bilancio dell’Oms con «un contributo del 90% inferiore a quello degli Usa, popolati da 300 milioni di abitanti».

L’Oms «si è approfittata di noi, come tutti gli altri», ha dichiarato Trump alla firma del decreto, con la mente forse rivolta anche alla Nato, «ora tutto questo deve finire». La decisione del ritiro potrà diventare effettiva, stando alla legge americana, solo tra un anno.

I rubinetti si chiudono subito, però, e non è uno scherzo. Oggi gli Usa partecipano al 12,5% del bilancio dell’Oms – 6,8 miliardi di dollari nel biennio 2024-2025 – e sono il primo paese contribuente sia per i versamenti obbligatori (ogni stato membro è chiamato a versarli in ragione del proprio Pil), sia per quelli volontari.

Nel 2023 i contributi volontari americani ammontavano a 367 milioni di dollari, quelli della Cina a 4 milioni. Nei criteri dell’Onu (basati sulle classificazioni della Banca Mondiale) la Cina risulta un paese in via di sviluppo, ciò che in termini di impegno finanziario fa una bella differenza.

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Ma nella guerra fredda di Trump contro Pechino, giocata sul periglioso terreno della salute globale e sul facile terreno di un’organizzazione finanziariamente debole, questa differenza è inaccettabile. Che gli Usa siano uno dei paesi fondatori dell’Oms a Trump poco importa.

I Repubblicani che reputano decisivo il ruolo di leadership americano nell’Oms devono fare i conti con il famigerato Project 2025 che formula l’uscita dall’Oms, o in alternativa «restrizioni molto più rigide» (pp. 171-199), come una priorità.

IL DISIMPEGNO istituzionale dall’Oms andrà a segno questa volta perché Trump ha un intero mandato davanti a sé, al contrario del 2020. Le ripercussioni sulla popolazione americana saranno colossali, visto che in futuro la Casa Bianca dovrà gestire le sfide sanitarie in proprio, senza più il supporto della comunità internazionale. Considerando il costoso impianto sanitario americano, in mano ai privati, l’impatto in termini di iniquità non sarà trascurabile.

Esiste inoltre una tensione esistenziale tra i principi che promuovono la salute nel mondo – cooperazione, solidarietà, responsabilità pubblica – e la cultura politica di Trump. Gli Usa perderanno così l’enorme influenza che per molte vie hanno sempre esercitato sulle scelte politiche dell’Oms. Sul fronte geopolitico la Cina rischia di beneficiarne per prima, come registrato dalle prime dichiarazioni. Se Pechino esce allo scoperto con una nuova vocazione sanitaria internazionale, il muscolare Trump avrà fatto il primo clamoroso autogol del nuovo mandat



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