Le diverse generazioni di consumatori convergono oggi nel desiderio di relazionarsi con brand mossi da valori significativi. Per chi fa impresa non basta dichiararlo: è necessario perseguire questo obiettivo ogni giorno, accettando anche il rischio di sbagliare. Per tutta l’imprenditoria italiana è una grande occasione di svelare il cuore di quello che fa, lo spirito che la anima e instaurare una relazione con i consumatori ancora più autentica, che si traduce nella scelta da parte dei clienti non solo dei prodotti ma anche del marchio per il valore che esso rappresenta»: Alessandro Bracci, 51 anni, è presidente e ad del gruppo d’abbigliamento Teddy (griffe: Terranova, Calliope, Rinascimento), sede a Rimini, 672 milioni di fatturato, export in 79 Paesi, 800 negozi monomarca nel mondo. È anche vicepresidente della Compagnia delle Opere. Bracci è marito della figlia del fondatore, Vittorio Tadei, scomparso a 81 anni nel 2016.
Domanda. Il fashion sta attraversando un periodo di stanchezza?
Risposta. È di fronte a sfide impegnative, ma non direi stanco, anzi. Il mondo del fashion retail ha ancora tanto da dare, puntando a un’idea della moda che include anziché escludere, trasmettendo anche il valore di quello che facciamo ogni giorno. Questo modello di business consente di rimanere competitivi e in sintonia con i cambiamenti.
D. Continua il trend ambientalista?
R. Sì, il consumatore è più attento e vuole contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Ma ora l’acquisto è condizionato anche da budget di spesa contenuti in seguito all’alto costo della vita. Questo richiede ai brand la responsabilità di offrire il massimo valore al cliente però mantenendo prezzi accessibili.
D. In che modo viene affrontata la transizione green?
R. In vario modo, per esempio una parte del cotone che acquistiamo proviene da fonti riciclate. Circa il 50% dei materiali che utilizziamo è rappresentato dal cotone, che per noi è la fibra principale. È virtuosa perché è di origine naturale e quindi rinnovabile, ma è anche responsabile di impatti importanti in termini di consumo d’acqua ed emissioni in atmosfera, soprattutto legate alla coltivazione intensiva e all’uso di pesticidi. Così abbiamo anche aumentato l’utilizzo di fibre cellulosiche che garantiscono un’origine più sostenibile della materia prima e processi produttivi a ridotto impatto.
D. Il made in Italy è ancora trainante sui mercati esteri?
R. Il made in Italy ha di fronte sfide competitive che coinvolgono l’intero eco-sistema Paese a partire dal tema demografico e da quello dell’innovazione delle filiere, problemi che andrebbero affrontati in un’ottica di politica sociale e industriale. È importante infondere in tutto ciò che si fa lo stile, la creatività e la bellezza che provengono dalla tradizione del nostro paese ma occorre seguire, o meglio anticipare, l’evoluzione del mercato e quindi essere pronti a cambiare e innovare, possibilmente nell’ambito di una politica industriale ben orientata e davvero efficace.
D. Quindi ci sono ancora spazi per lo sviluppo del fashion all’estero?
R. Ritengo di sì e lavoriamo per cogliere queste opportunità. Su 800 punti vendita, quasi il 50% è all’estero, in 39 paesi. E se aggiungiamo la distribuzione wholesale (grandi distributori) i nostri prodotti raggiungono 79 paesi. Stiamo continuando lo sviluppo della presenza dei nostri brand all’estero con negozi diretti o attraverso il franchising proprio perché scommettiamo che continuerà l’appeal del made in Italy sui mercati.
D. Ci sono lacci e laccioli che andrebbero rimossi?
R. Ce ne sarebbero tanti, ma ritengo che si dovrebbe partire da una presa di coscienza dell’importanza del retail per il sistema economico italiano. Il retail specializzato contribuisce per 282,2 miliardi di euro al pil italiano, pari al 15% del totale. Convenienza, accessibilità, capillarità sul territorio sono fattori importanti dal cui valore bisognerebbe partire per individuare e rimuovere gli ostacoli che ne rallentano lo sviluppo.
D. Continuano a crescere le vendite on line?
R. Il business è ormai omnicanale, con al centro ovviamente il cliente che va accolto sia nei negozi fisici che in quelli on line e accompagnato in un percorso di soddisfazione. Lo sviluppo digitale fa bene ai brand ma anche ai negozi fisici, non c’è concorrenza ma un rapporto sinergico. Circa l’80% delle vendite avviene anche grazie a un contatto digitale, quindi è fondamentale. Ma nell’ottica dell’omnicanalità, anche i negozi continuano a rivestire un ruolo chiave, l’esperienza al loro interno è fondamentale per sviluppare una relazione con i clienti.
D. C’è un obiettivo di quotazione a Piazza Affari?
R. Puntiamo a una crescita di lungo termine in buona parte finanziata dal reinvestimento dei nostri utili. Non ci sono progetti di quotazione ma come dico ai miei collaboratori, dobbiamo costruire un’azienda pronta anche alla quotazione. Quanto al sistema bancario, ci ha sempre supportato perché noi in cambio offriamo trasparenza e partnership reali che nel tempo costruiscono rapporti di durata.
D. Teddy è un’azienda particolare.
R. Sì perché il profitto non è fine a se stesso. Nel 1961 Vittorio Tadei (sesto di sette figli, il padre ferroviere) si mise a produrre in un laboratorio delle maglie che distribuiva in negozi limitrofi. Grazie al suo intuito ben presto il laboratorio si ampliò fino a diventare un’azienda importante ma finalizzata, diciamo così, al sociale. Egli ricordava una frase: «Sono fermamente convinto che se ho svolto bene il mio lavoro è grazie al mio socio di maggioranza, che è il Padre Eterno». Il suo terzo figlio, Luigi, si ammalò a 15 anni e morì a 37. Fu un dolore immenso, venne realizzata la fondazione Luigi Tadei, che divenne, ed è tuttora, il braccio operativo sul territorio dell’azienda, sostenendo cooperative sociali, l’accoglienza di minori e adulti in situazioni di disagio, perfino catene di gelaterie, Gigibontà, in Bolivia, Albania, Cile e Zambia. Gli utili non investiti nella gestione e nello sviluppo vengono dirottati qui. Siamo consapevoli di essere una realtà atipica ma è il nostro percorso.
D. Una delle iniziative si chiama Cittadinanza d’impresa.
R. Intende creare una comunità aziendale sensibile ai bisogni degli altri, con particolare attenzione ai giovani e all’inclusione delle persone fragili nel mondo del lavoro. Una comunità etica e responsabile dentro l’azienda ma insieme a un impatto positivo su chi ci sta intorno attraverso la collaborazione con realtà sociali, in Italia e all’estero. Inoltre i nostri collaboratori possono proporre progetti di realtà sociali dove sono personalmente coinvolti o che supportano un familiare, con la possibilità di ottenere un sostegno economico dall’azienda. Vogliamo fare incontrare imprenditorialità capaci di tradurre sogni e visioni in obiettivi tangibili.
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