Gli Ambrogini sono la massima onorificenza che il Comune di Milano assegna, una volta all’anno (il 7 dicembre), ai cittadini meritevoli. Fa eccezione quello d’oro assegnato alla memoria di Licia Pinelli il 10 gennaio scorso e voluto fortemente dal sindaco Sala. Licia era la moglie di Pino Pinelli, “ucciso innocente nei locali della questura” come recita una delle due lapidi presenti in Piazza Fontana, la diciottesima vittima di una strage che nonostante i molti processi non ha individuato i colpevoli materiali, anche se la matrice è invece certa, il neofascismo italiano con la complicità dei servizi segreti. Licia Pinelli è stata dal dicembre 1969 fino a due mesi fa un baluardo in difesa della memoria del marito ucciso. Una famiglia felice, un marito ferroviere, lei a casa a battere a macchina le tesi degli studenti della Cattolica. Due figlie piccole che vivono nell’allegro caos familiare, con pranzi e cene improvvisati, con la gentilezza di Pino che chiacchiera, racconta, tenta di convincere chiunque l’avvicini, antimilitarista, pacifista, con un Benelli rosso scassato. Poveri ma belli. Poveri e anarchici. Donna riservatissima, uno sguardo severo e intenso. Rimasta vedova ha custodito l’onore offeso del marito, ne ha conservato la memoria, ha combattuto contro una palese ingiustizia, contro montagne di falsità, bugie costruite con certosina malvagità. Con un ritardo quarantennale nel 2009 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’ha insignita dell’Onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Tempi difficili, cupi, terribili quelli succeduti alla Strage di Piazza Fontana, quotidiani e televisioni che insistono, sono stati gli anarchici, Valpreda il “mostro”, Pinelli che avrebbe gridato prima di buttarsi da una finestra della questura: “Questa è la morte dell’anarchia”. Tutto falso, non era vero niente. In pochi difendono gli anarchici, una tra questi è la giornalista Camilla Cederna. Avrebbe potuto continuare con la propria attività di fustigatrice dei costumi, delle mode, dei piccoli vizi della borghesia. Sceglie subito una via diversa, a muso duro. Già dalla prima conferenza stampa del questore Marcello Guida dopo la “caduta” e la morte di Pinelli, la giornalista inizierà a scrivere un’inchiesta che sbugiarderà le incongruenze, le falsità, le contraddizioni recitate dal questore e dai suoi colleghi. Nel 1970 pubblicherà Pinelli. Una finestra sulla strage, libro inchiesta intenso, sfrenato, scritto con il cuore, con la passione di chi sta raccontando la verità.
Rachele Torri, invece, era la zia del principale accusato della strage di Piazza Fontana il “ballerino anarchico” Pietro Valpreda. Un anarchico che compie un attentato prendendo un taxi in Piazza Beccaria per farsi portare, con la bomba, in Piazza Fontana, circa 200 metri di distanza! Rachele Torri lo difese in ogni occasione, senza dubbi o reticenze; nonostante la non più giovane età fu un baluardo inespugnabile, orgogliosa, energica, schietta, fu il vero “avvocato” di Valpreda.
Tempi ormai lontanissimi, sono trascorsi 56 anni, da quel terribile 1969 milanese. Per moltissimi di noi, allora giovani e giovanissimi, fu la perdita dell’innocenza. La scoperta di intrighi, falsità, complotti osceni. Forse il ricordo di Pino Pinelli e della strage di Piazza Fontana avrebbe potuto cadere nell’oblio se non fosse stato anche per merito di tre donne. Chi volontariamente, chi per destino riuscirono a combattere e ad affrontare un potere sfacciato e menzognero.
Nel 1996 in un magazzino di via della Circonvallazione Appia 132 a Roma sono stati ritrovati moltissimi documenti dell’ufficio Affari riservati del ministero degli Interni. Alcuni faldoni riguardavano la strage di Piazza Fontana. Si è così scoperto che a Milano, nei giorni della strage e in quelli successivi, erano presenti molti funzionari arrivati da Roma che furono i veri manipolatori, depistatori, occultatori e falsificatori di prove. La decisione di indagare esclusivamente gli anarchici, fu presa a tavolino ancor prima degli attentati. In ritardo si resero conto in che pasticcio si erano cacciati incolpando dell’attentato e causando la morte di un gentile ferroviere anarchico.
Per approfondire
Su Pino Pinelli:
Licia Pinelli – Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, 2009
Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio, 2009
Adriano Sofri, Il malore attivo dell’anarchico Pinelli, Sellerio, 1996
Paolo Pasi, Pinelli una storia, Eleuthera, 2019
Sulla strage di Piazza Fontana:
Enrico Deaglio, La bomba. Cinquant’anni di Piazza Fontana, Feltrinelli, 2019
Aldo Giannuli, Storia della «Strage di Stato». Piazza Fontana: la strana vicenda di un libro e di un attentato, Ponte delle Grazie, 2019
Benedetta Tobagi, Piazza Fontana. Il processo impossibile, Einaudi, 2019
Giorgio Boatti, Piazza Fontana, Einaudi, 1999
Mario Consani, Piazza Fontana per chi non c’era, Nutrimenti, 2019
Sui faldoni ritrovati nel 1996:
Gabriele Fuga – Enrico Maltini, Pinelli. La finestra è ancora aperta, Colibrì, 2016
Paolo Brogi, Pinelli. L’innocente che cadde giù, Castelvecchi, 2019
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