di Daniela Binello –
Quasi undicimila palestinesi sono detenuti nelle carceri israeliane. Fra loro ci sono nomi molto conosciuti di Hamas, come Abdallah Barghouti e Ibrahim Hamed (ha comandato le Brigate Qassam in Cisgiordania). Ci sono poi dei prigionieri veterani, come Nael Barghouti (ex di Fatah, poi di Hamas) recluso da 44 anni, Hassan Salama (da quasi 30) e il capo del Fronte popolare Ahmed Saadat (ex dell’Anp) da 22.
Il più noto è certamente però Marwan Barghouti (di al-Fatah), conosciuto come il Nelson Mandela palestinese. Leader della Seconda Intifada, è stato arrestato nel 2002, ma ha sempre negato le accuse, rifiutando persino di difendersi perché non riconosce la legittimità del tribunale israeliano. Gli sono stati comminati cinque ergastoli come mandante di attacchi terroristici contro obiettivi militari e civili.
Se l’accordo di tregua in corso a Gaza da domenica 19 gennaio andrà avanti, con il contestuale rilascio di ostaggi israeliani e palestinesi, si vocifera che nella terza fase Israele potrebbe liberare Marwan Barghouti. Al momento questa indiscrezione non è confermata da fonti ufficiali, oltre al fatto che oggettivamente siamo solo all’inizio della prima fase dell’accordo. Un’altra possibilità è che Israele potrebbe scarcerare Nael Barghouti, a condizione che venga estradato all’estero.
Marwan Barghouti è sposato con l’avvocatessa e attivista palestinese Fadwa Barghouti. A giugno Marwan compirà 66 anni. E’ nato nel villaggio di Kobar, in Cisgiordania. Laureato all’università di Bir Zeit in storia e in scienze politiche, ha inoltre un master in relazioni internazionali. In carcere ha studiato e imparato la lingua ebraica: non è un dettaglio trascurabile.
Da giovanissimo, quando entra a far parte di Fatah, non passa inosservato agli occhi di Yasser Arafat. Già segretario generale di al-Fatah in Cisgiordania, Marwan diventa il delfino di Abu Mazen. Nel 1987 è stato uno dei capi politici della Prima intifada per Gaza. Successivamente è stato uno dei comandanti di Tanzim e nella Seconda Intifada ha fondato le brigate dei martiri di al-Aqsa, il braccio militare di Fatah. In diversi ruoli, sempre laici e mai di supporto ad Hamas, Barghouti è stato quindi fra i protagonisti delle prime due Intifade.
Nel corso degli anni sono state ingaggiate numerose campagne per la sua liberazione. Tra coloro che si sono spesi a suo favore, alcune eminenti personalità palestinesi, membri del Parlamento europeo e il movimento israeliano pacifista Gush Shalom. Nel gennaio del 2007 il vice primo ministro israeliano Shimon Peres dichiarò che avrebbe firmato il perdono presidenziale per Barghouti qualora fosse stato eletto presidente, tuttavia, nonostante la vittoria, Peres non diede corso alla promessa.
Secondo una ricerca realizzata prima del 7 ottobre del 2023 dall’Istituto palestinese Arab Barometer, Barghouti è il leader più stimato dai palestinesi di Gaza e Cisgiordania. Oggi come oggi, la sua popolarità supera di gran lunga quella di Abu Mazen.
Sostanzialmente rispettato da tutte le fazioni palestinesi, Awni Almashni, alto funzionario di Fatah e amico intimo di Barghouti, ha dichiarato: “Per molti palestinesi il rilascio di Marwan potrebbe essere il metro per decidere il successo o il fallimento di questo accordo”.
Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Barghouti, come molti altri prigionieri politici, è stato percosso e ferito dagli agenti carcerari israeliani, senza ricevere cure mediche. In un’intervista, suo figlio Arab Barghouti ha dichiarato inoltre che suo padre era stato trasferito in diverse prigioni nel tentativo di intimidirlo, ha aggiunto però che il morale di Marwan è alto. “Noi siamo ottimisti. E’ ora che mio padre torni in mezzo al popolo palestinese”, ha concluso Arab.
Bisogna infine ricordare un importante avvenimento che risale al luglio del 2024, quando la Cina ha promosso un meeting diplomatico riunendo a Pechino 14 fazioni, tra cui Hamas e Fatah, per consolidare i colloqui di riconciliazione e firmare la Dichiarazione di Pechino sulla fine della divisione e il rafforzamento dell’unità nazionale palestinese. Ora mancherebbe solo un leader che possa rappresentare tutti i palestinesi e che non sia stato scelto arbitrariamente da altri (Stati Uniti e Israele).
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