Pochi spazi per la disabilità grave a scuola e anche iscriversi diventa un calvario. Il grido di aiuto delle famiglie: “Per noi niente di scontato, tutto una difficile conquista”

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Le iscrizioni per chi a settembre 2025 inizierà un nuovo ciclo scolastico, sebbene in ritardo, si sono finalmente aperte. Ma la scelta della nuova scuola, spesso fonte di timori ed entusiasmi, non è un passaggio uguale per tutti, anche se dovrebbe.

Ci sono famiglie per cui diventa un vero e proprio percorso ad ostacoli, che si complica tanto più i figli crescono. Sono i genitori di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, portatori di gravi disabilità.

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Stiamo parlando di un’utenza particolarmente fragile, giovanissimi con problematiche di salute importanti, alcuni con difficoltà motorie, altri non in grado di comunicare con la voce, altri ancora con disabilità intellettive, che precludono loro più o meno totalmente l’autonomia. Spesso, un insieme di tutto questo.

IL PROBLEMA DEGLI SPAZI

Una condizione che non consente la permanenza in classe, seduti ad un banco, per tutta la durata delle lezioni: servono aule speciali, spesso dette “morbide”, nelle quali recuperare le energie, trovare posizioni più consone, ricevere stimolazioni adeguate. Aule che sembrano non essere presenti in numero sufficiente nei vari istituti scolastici, soprattutto nelle scuole del secondo ciclo, le cosiddette “superiori”.

Non bisogna dimenticare che frequentare la scuola, almeno fino ai 16 anni, è per altro un obbligo di legge. Essere inseriti in un ambiente formativo stimolante e di supporto, adeguato alle necessità di chi vive fragilità importanti è invece un diritto, sancito sulla carta, ma che nella pratica fatica a concretizzarsi.

“Finchè i nostri figli sono piccoli e restiamo nell’ambito delle scuole d’infanzia ed elementari – spiega una mamma – ci sentiamo in una “bolla” più protetta. I problemi più seri iniziano dalle medie in avanti, soprattutto alle superiori”.

“A Ravenna sono pochi gli istituti superiori che accettano l’iscrizione, non più di tre o quattro – dice un’altra -. Spesso vengono avanzati problemi relativi agli spazi, all’assenza di aule e servizi igienici adeguati ad accogliere le esigenze dei nostri figli e diventa un calvario anche solo la procedura di iscrizione. Ma la frequenza scolastica è un nostro diritto di famiglie, un diritto dei nostri figli!”.

È evidente che nessun dirigente scolastico può rifiutare l’iscrizione sulla base della disabilità di uno studente e infatti non è questo che accade. Ma nell’esperienza dei genitori, molti istituti vengono “sconsigliati”, adducendo come motivazione la carenza di spazi adatti. Cosa che finisce per ingolfare la gestione degli istituti più “inclusivi”, che si ritrovano ad accogliere un numero elevato di casi gravi.

CI SONO SCUOLE E SCUOLE

Uno di questi è il Liceo Artistico di Ravenna, dove frequentano 57 studenti con disabilità, su una platea complessiva di iscritti attorno ai 900 studenti.

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“Lo stato dell’arte relativo al processo di inclusione scolastica nel nostro territorio presenta luci ed ombre – commenta il dirigente, Gianluca Dradi -: siamo una provincia ed una regione che ha un’importante progettualità ed esperienza nell’inclusione degli studenti con disabilità però, se guardiamo i dati relativi alle scuole superiori della provincia di Ravenna, registriamo anche una disomogeneità nella distribuzione degli studenti. Infatti abbiamo scuole che accolgono meno dell’1% di alunni con disabilità, rispetto al numero di studenti frequentanti, ed altre che ne accolgono quasi il 10%. La concentrazione di tanti studenti con disabilità solo in alcune scuole rischia di pregiudicare la qualità del percorso di inserimento”.

Dei 57 studenti e studentesse con disabilità iscritti al Liceo Artistico, 17 sono in condizioni di gravità, che rendono necessari spazi dedicati, perché non riescono a stare in classe per 5-6 ore consecutive e hanno bisogno anche di attività didattiche correlate alle loro capacità apprenditive. “Ma le “aule calme” e gli spazi laboratoriali a disposizione sono ormai saturi – continua Dradi – e questo si ripercuote, nonostante l’impegno dei 42 docenti di sostegno e dei 14 educatori in organico, sulla qualità del percorso di inclusione. Il problema va affrontato anche governando le richieste di iscrizione delle famiglie, in modo da indirizzare le scelte tenendo presente che i casi più gravi possono essere affrontati meglio se si evitano concentrazioni eccessive in poche scuole, perché deve esserci un rapporto equo tra la richiesta di intervento educativo e le dotazioni strutturali a disposizione”.

IL GRIDO D’AIUTO DELLE FAMIGLIE

Quello che emerge dalle famiglie non è un’accusa, ma un vero e proprio grido d’aiuto, che i genitori alle prese con queste problematiche lanciano, perché chiunque ascolti, soprattutto chi è nelle condizioni di dare risposte.

A questo proposito, riportiamo un testo, intitolato “Scusate se disturbiamo”, che cristallizza questo grido:

Diventi genitore.
Una delle più grandi gioie della vita.
Ad un tratto ti accorgi che questa gioia si trasforma in un urlo!
Un urlo di disperazione.
Un urlo silenzioso, perché ti accorgi che non tutti hanno la capacità di ascoltarlo.
Continui ad urlare forte, ma quel rumore sembra dare fastidio…
E allora impari ad urlare sempre più piano, fino a che tutto diventa silenzio.
Ma siamo qui! Perchè anche i silenzi hanno bisogno di ascolto!
Il silenzio è il nostro rumore.

I NUMERI E LE TESTIMONIANZE

“Perché i tagli devono sempre colpire i più fragili? – si chiede una mamma -. Purtroppo, la disabilità può arrivare a casa di chiunque, in qualunque momento. A volte mi vien voglia di incatenarmi e far arrivare qui il mondo intero a vedere la situazione che viviamo. Sono consapevole che il problema è nazionale, ma chi deve prendere le decisioni, si è mai messo nei nostri panni di genitori di figli disabili? Non credo”.

Tra l’altro, secondo dati dell’Ufficio scolastico provinciale di Ravenna, il numero degli studenti certificati ex L. 104/92 iscritti e frequentanti le scuole statali della provincia di Ravenna sono in costante aumento: se nell’anno scolastico 2021/22 erano 1.775, l’anno dopo erano già 148 in più e quello dopo ancora arrivavano a quota 2.024, con una crescita del 5,25% sull’anno precedente. Nell’anno in corso sono 2.213. Solo una parte di questi, hanno disabilità grave, ma il trend è comunque in continua crescita.

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All’aumentare delle richieste da parte delle famiglie, non sempre sembra seguire una crescita dei servizi dedicati: “Chiediamo spazi adatti e personale qualificato per trattare con i nostri figli, che non sono pacchi da tenere in deposito per qualche ora, ma persone con esigenze complesse – continua lo sfogo delle famiglie -. Succede che non si trovi nessuno disposto a cambiarli, per esempio, e veniamo chiamati noi genitori, oppure restano bagnati fino alle 13”.

“Molti di noi – commentano – cercano anche di mantenere un lavoro, e non è scontato. C’è il diritto dei ragazzi, ma anche quello del genitore a lavorare e mantenere la propria autonomia”.

“Mio marito fa i turni e io ho già chiesto un part time per essere più presente nella gestione familiare – racconta una mamma -. Ma senza prolungamento dell’orario scolastico pomeridiano, come faccio? Mi devo licenziare? Servirebbe il centro diurno, ma bisogna avere 14 anni e mio figlio è più piccolo. Mi hanno proposto il centro educativo, ma non si mangia. E come fa?”.

“Apprezzo la disponibilità degli uffici comunali, con i quali sono in contatto – aggiunge -, ma siamo sempre attaccati a speranze, non ci sono risposte davvero efficaci per tutti. Per non parlare del fatto che per lo Stato, dai 12 anni, sembra che i nostri figli non siano più disabili: perdiamo tutti i permessi lavorativi, anche quelli per seguirli nelle loro, purtroppo numerose, malattie e ricoveri”.

Accanto alla carenza degli spazi e dunque delle scuole in grado di accogliere adeguatamente la disabilità grave, i genitori segnalano anche le difficoltà con il personale che prende in carico i loro ragazzi: “gli insegnanti sono trattati come numeri, presi dal sistema senza valutare la preparazione specifica sulla disabilità grave, con disagi sia per gli insegnanti, che per i ragazzi e le famiglie”.

“Ragazzini che ci hanno messo anni per acquisire competenze e trovare un equilibrio – riportano i genitori -, si trovano nel giro di un mese a peggiorare, perché lasciati senza aule attrezzate con lavagne e computer adatti alle loro esigenze. Capisco che per le istituzioni sia complesso organizzare tutto questo, ma non può ricadere tutto su noi famiglie e sui nostri figli”.

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“Si tratta sempre di fortuna, dipende da chi incontri – aggiungono -, in questi anni abbiamo trovato sostegno ma anche tanti ostacoli per ottenere quello che altre famiglie danno per scontato. È una continua lotta con la burocrazia, per farsi sentire. A volte sembra che se non “rompi” non ottieni nulla”.

Un’altra mamma afferma: “mio figlio nel pomeriggio frequenta un centro e fa attività all’aria aperta e sportiva, che potenzialmente potrebbe mandarlo in crisi ma, con il sostegno giusto, diventa invece un occasione tollerata e utile per il suo sviluppo. Alla scuola chiediamo questo, un supporto adeguato, per farli crescere e realizzare il massimo del loro potenziale”.

In merito all’adeguatezza degli spazi, dalla Provincia di Ravenna, che gestisce il patrimonio di edilizia scolastica (scuole superiori), fanno sapere che negli ultimi anni si è ampiamente lavorato sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Solo 2 sedi scolastiche sui 33 plessi della provincia di Ravenna hanno problemi di accessibilità, ma si tratta comunque di istituti che si sviluppano su più plessi, quindi in ogni caso sono inaccessibili sono alcune aule. Negli istituti in cui mancavano, negli anni, sono stati inseriti ascensori, montascale, sono stati realizzati adeguamenti strutturali ai servizi igienici e altro ancora.

Al di là dell’accesso, resta però il problema delle aule “calme”, ancora troppo poche e degli ausili dedicati, che vanno chiesti alla scuola dalle famiglie e ad ogni cambio di istituto (nel passaggio dalle elementari alle medie per esempio, o dalle medie alle superiori) si riparte da zero.

I disagi vissuti da queste famiglie sono tanti e probabilmente inimmaginabili per chi non li vive sulla propria pelle. Chiudiamo con questa testimonianza di una mamma: “Inclusione spesso ci sembra solo una bella parola. Mio figlio, che prima della pandemia era in grado di stare in classe, negli ultimi anni è regredito e ha bisogno di spazi ad hoc: riesce a lavorare solo con l’insegnante di sostegno, grazie ad un computer e alla CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa). Mancano però momenti di condivisione, anche solo un saluto, con insegnanti e compagni. Di fatto è escluso dalla vita di classe. Per non parlare delle feste scolastiche, o delle gite e delle uscite. È capitato più di una volta che ci chiedessero di tenerlo a casa, perché gestire questi momenti con il personale necessario sarebbe troppo complesso”.





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