Un rebus l’arresto del torturatore libico. Scarcerato, è già a Tripoli

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Le terribili condizioni dei migranti prigionieri dei centri libici – .

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È stato scarcerato martedì sera il comandante libico Najeem Osema Almasri Habish, che era stato arrestato domenica scorsa a Torino in esecuzione di un mandato della Corte penale internazionale. L’uomo, considerato un efferato “torturatore” di migranti e detenuti, con accuse anche per omicidi e partecipazione diretta a crimini di guerra, è stato espulso «per un errore procedurale» ed ora potrebbe già essere a Tripoli. Il Procuratore generale, si legge in una nota, ha segnalato «l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale». «Per l’effetto non ricorrono le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare. Ne deriva la immediata scarcerazione del pervenuto» si legge nell’ordinanza della corte di Appello di Roma che non sembra mettere in discussione la portata e la consistenza delle gravi accuse.

Poco prima fonti della Corte penale internazionale avevano espresso «forte preoccupazione». Il timore fondato, quindi, che Almasri potesse essere “graziato” dal governo italiano, impedendo la sua consegna alla giustizia dell’Aja. Il mandato di cattura, spiegano, non ammette discrezionalità. Se arrestato, un ricercato dalla Corte «deve essere consegnato e processato». Poi una previsione: «Quando questo articolo verrà pubblicato, il ricercato sarà già in Libia».

I suoi tre compagni di viaggio erano già stati espulsi e rimpatriati. Si complica sempre di più il “giallo” del comandante della polizia giudiziaria libica arrestato a Torino sabato sera dopo essere andato a vedere con tre amici frettolosamente espulsi e rimpatriati la partita Juve-Milan. A far temere è in particolare il prolungato silenzio delle istituzioni, rotto ieri da una stringata nota del ministero della Giustizia che dopo tre giorni ha confermato l’arresto, adombrando una certa discrezionalità nel decidere i prossimi passi. «Considerato il complesso carteggio, il ministro sta valutando la trasmissione formale della richiesta della Cpi al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012», conferma il ministero della Giustizia in una nota.

«L’arresto del libico non è in seguito a un mandato di cattura da parte di un Paese – spiega Gianfranco Fachile di Asgi, l’Associazione di studiosi sul diritto dell’immigrazione –. Si tratta di procedimento di arresto per conto della Corte internazionale, quindi in realtà la persona dovrà essere consegnata alla corte stessa. Non sconterà nessuna pena in Italia e non potrà certo tornare in Libia». Sempre che non si accampi un’escamotage per sfuggire alle minacce giunte dalla Libia a suon di barconi e allusioni sui dossier bilaterali: dall’energia alla ricostruzione.

L’Italia ha «eseguito l’arresto» ottemperando ai suoi impegni da Paese contraente della Corte penale internazionale. La nota del ministro Nordio, che in passato non aveva esitato a definire diverse personalità di Tripoli come «esponenti della mafia libica», è l’unica conferma ufficiale giunta tre giorni dopo l’arresto. Un silenzio istituzionale che la stampa internazionale non sta smettendo si segnalare.

L’arresto di Almasri da parte della Polizia di Stato, ha suscitato reazioni in Libia e un imbarazzato silenzio a Roma. L’ultimo rapporto del segretario generale Onu sulla Libia denunciava nuovamente «le sparizioni forzate, gli arresti e le detenzioni arbitrarie», si legge nel dossier consegnato lo scorso 10 dicembre al Consiglio di sicurezza, avvertendo che questa prassi «sta contribuendo a creare un clima di paura». La polizia giudiziaria guidata da Almasri è la prima ad essere accusata degli abusi che non risparmiano migranti e profughi. “Casi di detenzione arbitraria dalle agenzie di sicurezza continuano a essere riportati anche negli ultimi sei mesi”, ha detto davanti al Consiglio di Sicurezza il procuratore dell’Aja Karim Khan il 14 dicembre, quando ha consegnato il nuovo rapporto con il consueto campionario degli orrori. Anche il Dipartimento di Stato americano si era occupato di lui, indicandolo tra i responsabili di crimini e abusi.

Dalla politica sono arrivate diverse richieste di chiarimento. Nicola Fratoianni di Avs: «Aspettiamo dal ministero della giustizia parole chiare e inequivocabili che escludano ogni possibile dubbio sul fatto che la giustizia faccia il suo corso nei confronti di un trafficante di esseri umani». «Un punto appare chiaro – attacca Giorgia Linardi (portavoce Ong Sea Watch) – un criminale internazionale si trovava tranquillamente in Italia, il Paese che dice di voler “dare la caccia ai trafficanti su tutto il globo terracqueo”».

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