una maggioranza incapace di rispettare la Costituzione

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L’inammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata non è uno smacco per l’opposizione, ma l’attestazione dell’incapacità della maggioranza di scrivere leggi rispettose dei principi della Costituzione

La pronuncia della Corte costituzionale sull’inammissibilità del referendum abrogativo sulla legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata non è stata un fulmine a ciel sereno. Molti si attendevano quest’esito, dopo la sentenza con cui la Corte, nel novembre scorso, aveva dichiarato incostituzionali specifiche disposizioni del testo normativo.

Il quesito aveva superato il primo esame della Corte di cassazione, che lo aveva ritenuto legittimo, reputando che il «pur massiccio effetto demolitorio» della sentenza della Consulta lasciasse comunque sopravvivere la normativa predisposta da Roberto Calderoli, ministro per gli affari regionali e le autonomie, e quindi non determinasse l’arresto della procedura referendaria. Per superare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale il quesito stesso avrebbe dovuto rispondere a criteri di razionalità, omogeneità e coerenza, al fine di risultare comprensibile al corpo elettorale.

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La Corte ha, invece, rilevato che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari», e «ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore». Il referendum finisce per risolversi «in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione», e non invece sulla legge di attuazione. E una disposizione costituzionale – spiega la Corte – «non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale».

In attesa del deposito della sentenza, e dunque di conoscerne le motivazioni, può comunque formularsi qualche prima considerazione.

La mancanza di chiarezza

Dopo la pronuncia di incostituzionalità, della disciplina sull’autonomia differenziata erano rimasti ormai solo brandelli. Ciò si è conseguentemente riflettuto sul quesito stesso, che riguardava l’intera legge, privandolo della necessaria chiarezza, come rilevato dalla Consulta. In altre parole, il tessuto normativo presentava talmente tali e tanti buchi da rendere pressoché incomprensibile il disegno che il legislatore aveva definito tramite le relative disposizioni, gran parte delle quali erano venute meno. Pertanto, risultando ormai impossibile scorgere tale disegno, su cosa avrebbero potuto esprimersi i votanti al referendum?

Basti a pensare alle lacune rimaste, in attesa di un intervento del parlamento finalizzato a «colmare i vuoti» determinati dalla pronuncia della Consulta: ad esempio, il venire meno della possibilità di trasferire alla singola regione non “materie” o “ambiti di materie”, ma solo “specifiche funzioni legislative e amministrative”, e previa dimostrazione della capacità della regione stessa di poter svolgere la funzione in modo più efficiente rispetto allo Stato; la mancanza di idonei criteri direttivi nella delega legislativa al governo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), lasciando così la decisione sostanziale allo stesso esecutivo; l’impossibilità che un decreto del Presidente del Consiglio (dPCM) determini l’aggiornamento dei LEP concernenti i diritti civili e sociali. Come ha detto il neo presidente della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso, «i livelli essenziali delle prestazioni sono il pilastro su cui si regge la legge» ma, siccome sono stati «investiti dalla pronuncia di incostituzionalità», il legislatore dovrà rideterminarli. Della legge sull’autonomia «è rimasto solo un perno, intorno al quale va costruito ora l’edificio».

Questo spiega il motivo per cui la Consulta ha ritenuto che il referendum finisse per avere ad oggetto l’art. 116 della Costituzione: dato che il massiccio intervento del novembre scorso ha demolito gli elementi fondamentali della legge Calderoli, i cittadini si sarebbero espressi non sulla normativa di attuazione dell’autonomia differenziata, ma sulla stessa autonomia differenziata, quindi sulla relativa disposizione costituzionale, e ciò è inammissibile.

Una legge da rifare

Dunque, il venire meno di passaggi essenziali della normativa avrebbe potuto indurre i votanti in confusione circa l’oggetto e le finalità del voto stesso. In altre parole, non aveva più senso il referendum su una legge che in sostanza non esiste più.

Secondo qualcuno la pronuncia di inammissibilità rappresenta uno smacco per l’opposizione. Di fatto, è vero l’opposto. Tale pronuncia conferma quanto la stessa Corte aveva già attestato nel novembre scorso, e cioè che la legge è da riscrivere quasi totalmente: il testo elaborato dalla maggioranza viola principi costituzionali come quelli «dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio». Ora la maggioranza stessa sarà capace di redigere finalmente una normativa rispettosa della Carta?

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