Zyber Curri era un operaio edile. Il 12 dicembre 2018 si trovava in un cantiere in Val Cavargna, in provincia di Como, impegnato nella posa di tubature per la costruzione di una centrale idroelettrica. A un certo punto, probabilmente a causa del ghiaccio, è scivolato in un dirupo battendo la testa più volte. Trascorsi sei anni dalla sua morte, la Corte di Cassazione ha rigettato anche l’ultimo ricorso contro i risarcimenti per la famiglia di Curri, sanciti dal Tribunale di Como e confermati dalla Corte d’appello di Milano.
In primo grado tutti i quattro imputati tra impresa affidataria dei lavori, ditta esecutrice e coordinatore della sicurezza, erano stati i condannati a pene che vanno da rispettivamente da 1 anno e 4 mesi a 2 anni e 8 mesi. Trova così fine la vicenda del “lavoratore fantasma”, impiegato in nero, conosciuto da tutti coloro che lavoravano nel cantiere ma senza che alcuna azienda coinvolta nel cantiere, tra appalti e e subappalti, abbia riconosciuto di averlo alle proprie dipendenze.
“Nella infinita catena di appalti e subappalti è sempre più difficile ricostruire le responsabilità soprattutto quando ci perdono la vita gli operai”, nota la Fillea Cgil, sindacato che si è costituito parte civile nel processo. “Una vicenda come tante”, aggiunge, in un settore delle costruzioni che fa registrare, in base agli ultimi dati Istat, una crescita del 5,5% nei primi undici mesi rispetto al 2023. Nella media del trimestre settembre–novembre 2024 la produzione nelle costruzioni cresce dell’1,4% in confronto al trimestre precedente con una crescente presenza di lavoratori migranti, come ci dicono le ultime rilevazione della Cnce più di 243mila lavoratori migranti regolari.
In attesa di conoscere il dispositivo completo della sentenza il giudizio della Cassazione è riassunto in uno stringato comunicato. La Corte “rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido, alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità”. Il giudizio arriva quasi in contemporanea alla decisione della Consulta di accogliere il referendum promosso dalla Cgil per il “lavoro sicuro” il cui intento è abrogare le norme che impediscono, in caso di infortunio, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.
“Serve una legge quadro sulla qualificazione delle imprese che poggi su due pilastri: sicurezza e regolarità”, commenta la segretaria della Fillea Cgil Lombardia, Katiuscia Calabretta, critica verso il meccanismo della patente a crediti per le aziende, così come studiata dal governo per fermare le morti sul lavoro, varata dopo la tragedia nel cantiere Esselunga di febbraio 2014. “Ribadiamo la necessità di una Procura Nazionale che si occupi dei reati in materia di salute e sicurezza, riducendo i tempi e assicurando comportamenti uniformi in tutti il Paese”.
Il meccanismo che il sindacato vede quale strada maestra per invertire la rotta si chiama verifica di congruità. Quando Curri è scivolato nel cantiere di Val Cavargna questo strumento non era ancora in vigore. Sarebbe stato adottato sole nel 2020, d’intesa con le associazioni datoriali per contrastare il nero. Il meccanismo serve a verificare se la manodopera dichiarata, quindi il numero di lavoratori sotto contratto e all’opera, sia congrua rispetto al valore dei lavori e del coinvolgimento di eventuale imprese subappaltatrici. “Troppe volte assistiamo alla morte di lavoratori nei cantieri senza avere la possibilità di conoscere immediatamente le loro generalità, avendo difficoltà a capire da quali aziende dipendono e a ricostruire chiaramente la filiera dei subappalti”, commenta Antonio Di Franco, segretario generale della Fillea, “Nessuno si assume la responsabilità di questi rapporti di lavoro, delle condizioni di sicurezza, della tutela della salute di questi lavoratori”.
L’attestazione di congruità è rilasciata dalla Cassa Edile, l’ente paritetico tra organizzazioni sindacali e datori di lavoro, istituti nella cornice della contrattazione collettiva, che servono tra gli altri a pagare ferie, tredicesime, integrazioni per malattia e infortuni, a tenere il conto delle ore lavorate. Un’istituzione che alcuni contratti siglati da sindacati e associazioni meno rappresentative vorrebbero smantellare, per ragioni di risparmio.
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