Botswana: stop ai permessi di lavoro agli insegnanti stranieri

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il governo blocca il rilascio dei documenti mentre i lavoratori dell’istruzione chiedono misure a tutela dei loca

A inizio mandato, il presidente Boko aveva annunciato una politica di apertura verso i migranti

23 Gennaio 2025

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Articolo di Redazione

Tempo di lettura 5 minuti

Un’insegnante in una scuola del Botswana. Da Wikimedia Commons

Il governo del Botswana ha annunciato una stretta sull’immigrazione nel paese per motivi di lavoro, a partire dagli insegnanti stranieri che vogliono professare nelle scuole batswana.

La mossa potrebbe sembrare inattesa: non più tardi dello scorso novembre il neo eletto presidente Duma Boko aveva infatti annunciato una politica di apertura nei confronti dei lavoratori stranieri.

Davanti alla presenza di migliaia di immigrati in condizione di irregolarità, provenienti soprattutto dal vicino Zimbabwe, il capo dello stato aveva promesso una possibile nuova era di regolarizzazioni nell’ottica di creare maggiore equità e inclusione.

Insomma quello di Gaborone sembra essere un passo indietro. Va osservato però che lo stesso Boko aveva ammesso che con i lavoratori irregolari ci si riferiva a persone che «fanno lavori che i cittadini del nostro paese non vogliono più fare». Nel caso degli insegnanti invece, si tratta di professionisti ad alta qualificazione e l’approccio del governo potrebbe essere diverso, come succede in altri paesi del mondo.

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La posizione nei confronti del tema immigrazione, che non di rado crea tensioni in Botswana e nei paesi dell’Africa australe, sembrava comunque essere più costruttiva.

Le parole del governo 

Meglio andare per ordine. Ad annunciare le misure è stato in settimana il ministro del lavoro e degli interni, Pius Mokgware. Il dirigente dell’esecutivo ha fatto sapere che Gaborone non autorizzerà più il rilascio di permessi di soggiorno per lavoro per insegnanti e anche per autotrasportatori. Il blocco sarebbe già di fatto cominciato: già il mese scorso, ha spiegato Mokgware, 140 richieste di permesso sono state respinte. «Pensiamo che ci siano giù molti lavoratori qualificati nel paese», ha concluso il ministro.

Se le parole di Mokgware sono chiare, il contesto in cui sono state formulate è ancora più indicativo della situazione in Botswana. Il dirigente stava infatti rispondendo a una protesta degli insegnanti disoccupati e part-time.

Una delegazione dei manifestanti, guidata dal sindacalista Thabang Kopelo, si è infatti recata al ministero degli interni e del lavoro nella capitale per consegnare una petizione al ministro. Il documento consta di tre richieste: al governo si chiede di garantire che almeno l’80% del personale delle scuole private sia composto da insegnanti del Botswana. Si chiede inoltre la cancellazione dei permessi di lavoro già concessi ai lavoratori stranieri e l’interruzione nell’erogazione di nuovi. Non da ultimo, i promotori dell’appello al ministero hanno chiesto di essere pagati dei arretrati dovuti e salari degni.

Kopelo ha sostenuto alla stampa locale che le richieste contro i lavoratori stranieri non hanno nulla di xenofobo. Secondo l’attivista i lavoratori stranieri verrebbero assunti in gran numero, al contrario di quanto avverrebbe con i locali. Tanti cittadini del Botswana si troverebbero inoltre in difficoltà economica e necessiterebbero di una lavoro. 

Proteste di carattere razzista nei confronti dei cittadini stranieri si sono verificate più volte negli ultimi anni in Botswana. Nel paese le mobilitazioni non hanno mai toccato il livello di violenza a cui si assiste con frequenza in Sudafrica però, dove negli ultimi anni si sono verificati anche raid organizzati contro lavoratori e titolari di attività commerciali stranieri. 

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Il governo ha risposto alle istanze della piazza, rendendo note le misure già citate e anticipando «buone notizie» sul versante economico in vista del prossimo 3 febbraio, giorno in cui verrà comunicato il bilancio dello stato. Come osservano diversi utenti dei social in Botswana, non è chiaro però come il governo potrà intervenire sul personale delle scuole private, che sono appunto istituti non gestiti dallo stato.

Non è la prima volta che in Botswana vengono annunciate misure di questo tipo nei riguardi dei lavoratori stranieri. Inoltre, il numero di possessori di permessi di lavoro è in calo da anni. Secondo l’ultimo rapporto dell’istituto di statistica nazionale, i cittadini stranieri con questo tipo di documento sono passati dall’essere più di 7mila nel 2013 a 3850 alla fine del 2022. Di questi, più della metà erano zimbabweani mentre il 15% era impiegato nel settore dell’istruzione.

Se si parla della provenienze, la proporzione è in linea con il resto della popolazione migrante: su circa 100mila cittadini stranieri, il 58% proviene dal disastrato vicino, alle prese da anni con iperinflazione, crisi economica diffusa e repressione politica. 

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L’afflusso di insegnanti stranieri in Botswana può essere meglio compreso alla luce del particolare status del paese nella regione. Trainato dalle rendite dei diamanti e dal loro reinvestimento nella creazione di uno stato sociale e di servizi, il paese è diventato uno dei più benestanti della regione e di tutta l’Africa (per quanto anche uno dei più diseguali al mondo). Di conseguenza, il Botswana attrae da decenni lavoratori dai paesi vicini, insegnanti compresi. 

Il contesto economico del paese è però cambiato negli ultimi anni. La vendita di diamanti è in grossa crisi a causa di una serie di fattori e nei primi nove mesi dell’anno scorso la vendita delle pietre ha fruttato il 52% in meno dell’anno precedente alla Debswana Diamond Company, società per meta statale e per metà del gigante De Beers, di proprietà del colosso AngloAmerican. Il governo ha dovuto rivedere le stime sul deficit di bilancio, portandolo dagli 8,7 miliardi di pula previsti lo scorso febbraio agli attuali 18 miliardi di pula (dai 600 milioni agli 1,2 miliardi di euro). 

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Uno scenario complesso, quello con cui sta facendo i conti il presidente Boko. Il capo di stato, avvocato costituzionalista ed esperto di diritti umani, 55 anni, è il primo dall’indipendenza, datata 1966, a non far parte del Botswana Democratic Party (BDP). 

 

 

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