«Dopo la tregua Gaza bisogna ricostruire. E Netanyahu deve lasciare»

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«È vero, sono il nipote di Levi Eshkol, terzo premier d’Israele. Non ho intenzione di seguire le sue orme ma mi sono sempre schierato, partecipo alle manifestazioni, scrivo sui giornali. Tutti sanno da che parte sto. Abbiamo un primo ministro, Benjamin Netanyahu, che avrebbe dovuto dimettersi, per le sue responsabilità su quanto successo il 7 ottobre, e che tuttavia rifiuta ancora di farlo. Ma credo che il cambiamento stia arrivando. Si avvicina l’ora in cui la guerra finirà e i soldati rientreranno a casa. Bisogna ricostruire case, anime, legami, speranze». A parlare è lo scrittore israeliano Eshkol Nevo, 53 anni, proprio in questi giorni tornato in libreria con il libro che lo lanciò, La simmetria dei desideri (Gramma Feltrinelli). E che sabato sarà a Roma, al Teatro Quirino, per un incontro a due voci con Alessandro Baricco, dal titolo Scrivere (Ore 21, modera Annalena Benini). L’autore di tanti libri amati dai lettori italiani – Tre Piani diventò un film diretto da Nanni Moretti – è un uomo di grande entusiasmo e simpatia. «Quando mi ha chiamato al telefono – dice – stavo facendo la fila in farmacia e mi stavo lamentando del tempo perso. Abito vicino a Tel Aviv, in una piccola città in cui ci conosciamo tutti. Una donna, spazientita, mi ha detto: “Scriva un libro”».

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Gaza, Israele annuncia l’uccisione di un «terrorista della Jihad» nonostante la tregua

È un momento cruciale per Israele. In “La simmetria dei desideri” lei racconta la storia di quattro amici che si incontrano per vedere la finale del Mondiale di Calcio del 1998 e decidono di scrivere i loro desideri su un foglietto, che apriranno soltanto nel futuro. Cosa ci scriverebbe, oggi?
«Allora desideravo molto diventare padre. Oggi, che ho tre figlie, il mio primo desiderio è che vivano tutte una vita sicura e felice. Due di loro sono nell’esercito, e una, ad appena 18 anni e mezzo, si sta addestrando a operare in zona di combattimento, con vere armi da fuoco. Il secondo desiderio è legato al primo. Nel 1998 avevamo molte più speranze, e non ci avrei pensato. Oggi vorrei la fine della guerra con i palestinesi. E, terzo desiderio, vorrei essere connesso con la mia onda creativa, con la mia ispirazione. Vorrei sempre trovare una nuova storia da raccontare».

Finalmente è stata proclamata una tregua e i primi ostaggi sono tornati a casa. Cosa succederà adesso?
«Ce lo stavamo aspettando da tempo, la guerra doveva pur finire, in qualche modo. Non aveva senso continuare a restare a Gaza, e prolungare l’agonia, la sofferenza di tanta gente. Questo non vuol dire che abbiamo risolto la questione. Vede, noi attualmente abbiamo due problemi…»

Quali?
«Uno è Hamas, che non ha alcuna intenzione di negoziare e che vorrebbe prolungare la guerra per sempre. Legato a questo, c’è il conflitto con i palestinesi come nazione. Vogliono la loro indipendenza, e questo non lo possiamo più ignorare. Quindi, direi che la tregua è un buon inizio».

E la soluzione, invece, qual è?
«Dobbiamo trovare un modo di negoziare con i palestinesi che, al contrario di Hamas, vogliono trattare e vedere la luce alla fine del tunnel. Naturalmente, però, l’attuale governo dovrebbe cambiare: non è in grado di trovare una soluzione. Quindi, ci sono molte sfide che dovremo affrontare, ma è sempre meglio che vivere con le sirene e gli allarmi aerei tutto il tempo».

È stato un incubo, vero?
«Ho vissuto situazioni tragiche, divertenti e folli, che si possono vedere, talvolta, solo in un romanzo. Arrivi a conoscere i tuoi vicini come nessun altro. Li vedi tutte le sere. Nelle ultime due settimane abbiamo avuto missili yemeniti lanciati contro Israele. Ogni notte, intorno alle 3 del mattino, scendi nel bunker e scorgi un vicino che ha una nuova ragazza, qualcun altro con una figlia in visita dall’estero, oppure stringi la mano a un vecchio che non si sente molto bene e tutti cercano di aiutarlo. È stata una situazione pazzesca. Spero proprio che sia finita».

Ha mai avuto paura di morire?
«No, e forse è un po’ triste ammetterlo: ero così abituato a quella situazione. È come abitare vicino a un vulcano. Sai che si trova lì e sai che prima o poi erutterà, ma tu non ti muovi. Il pericolo però acuisce il bisogno di vivere la tua vita come vuoi, perché sei consapevole che può finire da un momento all’altro».

Ha avuto paura che sua figlia andasse a combattere?
«Decisamente, e lei non ha mai chiesto la mia opinione, quando ha scelto l’unità operativa. Anzi, di solito, lei fa il contrario di quello che le dico… Per fortuna, questa tregua arriva in un momento perfetto per la mia famiglia. Le mancano ancora sei mesi di addestramento, per andare in zona di guerra. Questo vuol dire che abbiamo sei mesi per trovare un accordo con i palestinesi (ride, ndr)».

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Ha perso parenti o amici in questa guerra?
«Il 7 ottobre è stato ucciso il figlio di un mio amico: ho saputo della sua morte mentre ero in Italia, a Torino. Nel mio cuore ho voluto dedicare a lui questa nuova edizione de La simmetria dei desideri. Alcune delle vittime erano miei lettori. I genitori di un bambino ucciso mi hanno mandato le sue foto con i miei libri. E un soldato caduto aveva nella borsa il mio romanzo Nostalgia: sono rimasto in contatto con il padre, a febbraio ci sarà un evento in sua memoria. E poi ho studenti che hanno perso i loro figli, altri che sono andati in guerra e hanno lasciato le lezioni (di scrittura, ndr). Anche per questo nell’ultimo anno ho solo scritto cose legate alla realtà che stiamo vivendo».

Come si possono aiutare gli ex ostaggi, che hanno vissuto esperienze terribili?
«Ho incontrato molte persone che hanno sofferto direttamente per questa guerra, che hanno perso fratelli o sorelle, e che sono rimaste ferite. Ho incontrato anche molti familiari di ostaggi. Organizzo letture di storie o seminari di scrittura, che servono a lasciare fluire le emozioni. Ho scoperto che la scrittura è uno strumento terapeutico a disposizione di tutti. L’abbiamo chiamata “zona” di scrittura, non “laboratorio”, perché non è un laboratorio di scrittura professionale, ma emozionale. Un paio di settimane fa mi hanno chiamato per chiedermi se ero disposto a fare un seminario con gli ostaggi rilasciati a novembre, un gruppo di donne, purtroppo non è andata in porto. Ma è una cosa che voglio fare».

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