Se c’è una cosa che il titolo della serie “M – Il Figlio del Secolo” evoca con forza, è l’idea di un personaggio che non solo incarna il potere, ma lo modella secondo la propria visione, come un demiurgo che riesce a piegare le masse e la storia a proprio favore. Se Benito Mussolini, protagonista del romanzo di Antonio Scurati e della serie con Luca Marinelli, risponde alla definizione di cui prima con la sua ascesa nel ventennio fascista, oggi il “figlio del secolo” potrebbe tranquillamente avere un nome diverso: Elon Musk.
Elon Musk, un braccio teso verso le destre
Vero, Musk ha da tempo mostrato simpatia per le correnti più reazionarie. Solo pochi giorni fa, infatti, aveva appoggiato l’Alternative für Deutschland (AfD), il partito dell’estrema destra tedesca. Non è la prima volta che la sua figura sembra allinearsi con movimenti che, pur mascherandosi da “libertari”, in realtà alimentano una visione politica che non ha alcuna preoccupazione per i principi della democrazia.
Non è soltanto il suo recente “saluto romano” durante l’insediamento di Donald J. Trump alla Casa Bianca che ci costringe a guardare con attenzione al personaggio: il magnate tecnologico è diventato a tutti gli effetti una figura chiave nella politica mondiale. E soprattutto, in una nuova alleanza politica e strategica con Trump, Musk sta forse tracciando un cammino che mescola feticismi tecnologici, potere e visioni distopiche. Ma è davvero sulle sue provocazioni, come un saluto romano (venuto pure male, ndr) su cui bisogna fermarci a sproloquiare, oppure bisogna intuire un pericolo più profondo?
Il matrimonio d’affare tra Elon Musk e il Presidente Trump
All’insediamento di Trump, seduti alla sua corte abbiamo visto, oltre allo stesso Musk, Mark Zuckerberg, Miriam Adelson, Tilman Fertitta, Todd Ricketts, Jeff Bezos, AI Sam Altman e Tim Cook. Musk è il primo a sostenere il “capitalismo dei mercati liberi”, ma quando si spinge a interagire con forze che celebrano la supremazia della tecnologia e della finanza, un dubbio sorge: stiamo forse assistendo all’emergere di un nuovo tipo di “tecnofascismo”?
Il connubio tra Musk e Trump rappresenta una joint venture politica e tecnologica. Entrambi sono simboli del populismo del nostro tempo, ognuno nel proprio campo: Trump come populista politico, Musk come populista tecnologico. Insieme, stanno cercando di ridefinire la politica globale in termini di potere privato. L’alleanza tra i due è anche una lotta contro l’ordine liberale, dove la democrazia è vista come un ostacolo alla realizzazione di un sistema oligarchico e tecnocratico. In questo scenario, Musk, che controlla una parte significativa delle tecnologie più avanzate, e Trump, che esercita un’influenza enorme sulla scena politica internazionale, potrebbero innescare un cambiamento radicale in nome dell’efficienza governativa.
Tecnofascismo
Trump che prevede di nominare Musk a capo di un nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge (un acronimo che richiama la criptovaluta dogecoin), è emblematico. Questo nuovo dipartimento potrebbe essere il primo passo verso una ristrutturazione radicale del governo, dove le logiche aziendali e la visione tecnologica di Musk potrebbero prendere il sopravvento su quelle democratiche. Si tratterebbe di una vera e propria mutazione delle istituzioni, dove il governo non è più un’espressione del popolo, ma una macchina da guerra tecnologica al servizio del capitale.
Cosa significa tutto ciò in termini più ampi? La combinazione di populismo politico e tecnologico, che si sta affermando con prepotenza sotto la spinta di Musk e Trump, non è altro che un tentativo di rimozione dei principi democratici. L’idea di un governo efficiente e razionale, privo di quei freni e contrappesi che garantiscono la democrazia, è un terreno fertile per il cosiddetto “tecnofascismo”. Musk e Trump sono entrambi fautori di un capitalismo che non ha bisogno della democrazia per prosperare. La tecnologia e il capitale non sono più solo strumenti, ma la stessa struttura ontologica della società.
Quella democrazia d’intralcio…
Nel contesto odierno, dove la tecnologia permea ogni aspetto della vita quotidiana, Musk e Trump sembrano incarnare una nuova forma di oligarchia. Il controllo delle tecnologie, dai social media alle criptovalute, non è più un aspetto secondario della politica, ma il cuore stesso del potere. L’alleanza tra Musk e Trump rappresenta il punto di arrivo di un processo iniziato con la rivoluzione digitale: una rivoluzione che ha cambiato il mondo, ma che ha anche cancellato le possibilità di una politica democratica. Il capitalismo tecnologico, infatti, non è solo un’economia, ma una vera e propria teologia politica, che esclude ogni forma di controllo popolare.
Elon Musk, come Trump, sa che la politica tradizionale è ormai incapace di rispondere alle sfide del nostro tempo. La “nuova destra” del nostro duo abbraccia l’idea di un governo tecnocratico che rifiuta la politica classica in nome di una gestione razionale e “scientifica” della società. Musk, con la sua visione futuristica e la sua crescente influenza politica, sembra giocare una partita molto più grande di quella che si potrebbe pensare. La sua alleanza con Trump, pur mascherata da una retorica libertaria, è in realtà un attacco a fondo alla democrazia, con l’obiettivo di sostituire il popolo con la macchina, il mercato con la tecnologia.
L’era degli oligarchi
In questo nuovo scenario, dove l’automazione e l’intelligenza artificiale sono al servizio del capitale, la politica non è più una questione di partecipazione, ma di gestione. La democrazia rischia di essere inghiottita da una nuova oligarchia tecnologica, capace di governare non attraverso le urne, ma attraverso algoritmi e logiche aziendali. Musk e Trump sono in realtà alleati di un sistema che non ha bisogno della politica: quella stessa politica che, oggi, sembra sempre più distante dal popolo e dalle sue esigenze.
Se l’alleanza tra Musk e Trump dovesse consolidarsi, l’ombra del “tecnofascismo” potrebbe estendersi ulteriormente, trasformando l’era della tecnologia in una fase di supremazia del capitale su tutto, persino sulla nostra democrazia. E la domanda fondamentale che rimane è: siamo pronti a riconoscere questo pericolo prima che sia troppo tardi?
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