Nucleare, quel legame nascosto tra industria civile e militare

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Home > News > Nucleare, quel legame spesso nascosto tra industria civile e militare. Il caso del Regno Unito

Dietro il massiccio sostegno al nucleare civile si nasconde un legame strategico con il nucleare militare, necessario a mantenere competenze e infrastrutture per la difesa. Una scelta che solleva interrogativi su trasparenza, costi e azioni climatiche. Un problema non solo etico, ma che riguarda la stessa democrazia.

Nucleare, settore poco competitivo

Il governo del Regno Unito ha recentemente annunciato “la più grande espansione del settore nucleare degli ultimi 70 anni“. Tuttavia, dietro questa dichiarazione si cela una realtà complessa e poco discussa: il profondo legame tra il nucleare civile e quello militare.

Nonostante le enormi risorse stanziate, l’energia nucleare civile fatica a competere con le alternative rinnovabili.

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Secondo valutazioni ufficiali del Governo di Londra, fonti come l’eolico e il solare, abbinate a sistemi di accumulo, sono significativamente più economiche e consentono di raggiungere gli obiettivi climatici in modo più rapido ed efficace.

Ad esempio, l’unica nuova centrale nucleare in costruzione, Hinkley Point C, è in ritardo di dieci anni (doveva aprire nel 2018 ora si attende il 2027) e ha superato di gran lunga i costi previsti (si è passati da 2,8  a 22-23 miliardi di sterline).
Eppure, si ribadisce come se niente fosse che l’unica strada da percorrere è quella vecchia: il nucleare.

La spinta del Governo di Londra

Il governo britannico, da anni, evita di giustificare in modo dettagliato la decisione di sostenere l’energia nucleare. L’ultimo documento approfondito risale al 2003, quando si riconobbe che il nucleare era “poco attraente”.

Più recente, il documento “Civil Nuclear: Roadmap to 2050” si limita a riaffermare il sostegno governativo senza fornire confronti economici con le rinnovabili. Ciò che emerge chiaramente è un obiettivo trasversale: allineare il nucleare civile con quello militare.

Come dichiarato nel rapporto, la strategia mira a “individuare opportunità per allineare le ambizioni civili e militari del nucleare attraverso l’azione di governo“.

Questo legame non è una novità. Già nel 2006, il primo ministro Tony Blair ribaltò il parere della sua stessa amministrazione per dichiarare che il nucleare sarebbe tornato, precisando: “come una vendetta.

Tale decisione seguì uno studio della RAND Corporation per il Ministero della Difesa (MoD), che avvertiva che l’industria britannica dei sottomarini nucleari sarebbe diventata insostenibile senza il supporto del nucleare civile.

Di fatto, come ben sintetizzato da Andy Stirling, Professore di Science & Technology Policy, e Philip Johnstone, Research Fellow, entrambi presso la University of Sussex Business School, in un articolo pubblicato su The Conversation: l’energia nucleare civile mantiene le competenze e le catene di fornitura necessarie per i programmi nucleari militari.

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Mascherare i costi militari dietro i programmi civili: il caso degli SMR

Nel 2007, un rapporto di un dirigente di BAE Systems, produttore di sottomarini nucleari, suggerì di “mascherare” i costi militari dietro ai programmi civili.

Una relazione segreta del MoD del 2014, rilasciata grazie al Freedom of Information Act, evidenziava come il declino del nucleare civile avrebbe compromesso le competenze necessarie per il nucleare militare.

Rolls Royce, produttore dei reattori per i sottomarini, nel 2017 pubblicò un rapporto che sottolineava l’importanza di sviluppare costosi “piccoli reattori modulari” (SMR) per generare energia per usi civili, così da “alleviare il MoD dal peso di sviluppare e mantenere competenze“.

Nucleare, un costo nascosto alla democrazia

Mentre altri Stati nucleari, come Francia e Stati Uniti, ammettono apertamente la sinergia tra i due ambiti, nel Regno Unito questo legame è stato a lungo negato.

Tuttavia, le azioni del governo, come le centinaia di milioni di sterline destinate a programmi di innovazione nucleare e il nuovo accordo sulla materia, confermano che la persistenza nel nucleare civile è guidata da interessi militari.

Il Presidente francese Emmanuel Macron, ad esempio, ha chiaramente detto: “senza nucleare civile, niente nucleare militare; senza nucleare militare, niente nucleare civile“.

Una dinamica simile è evidente nel Regno Unito, dove le sovvenzioni al nucleare civile rendono i sottomarini nucleari più accessibili, ma aumentano i costi dell’energia e ritardano le azioni climatiche.

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Trasparenza e responsabilità. Il ritorno del nucleare in Italia

Il legame tra nucleare civile e militare non è solo una questione energetica o climatica, ma anche democratica. Come affermato nel rapporto parlamentare britannico del 2017, “non accadrà per caso; richiede un’azione concertata del governo“.

Ignorare volontariamente o nascondere questa realtà rischia di inquinare il dibattito pubblico su una delle sfide più cruciali del nostro tempo. Il nucleare portato avanti in questo modo non indebolisce solo l’azione per il clima e la tutela ambientale, ma le stesse basi della democrazia.

Venendo al nostro Paese, che non è certo il Regno Unito, oggi, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha trasmesso a Palazzo Chigi il disegno di legge sul nucleare.

Il provvedimento definisce il percorso per lo sviluppo di una nuova generazioni di impianti nucleari in Italia, ma non si pronuncia sulla questione delle scorie, nè sulla realizzazione del famoso deposito unico, necessario a stoccare i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità provenienti da attività di uso civile.

Come anticipato, il caso fin qui descritto riguarda la Gran Bretagna, non certo l’Italia, dove il nucleare è stato messo nel ripostiglio dei ricordi molto tempo fa. Qualcuno, però, con la scusa della crisi energetica, vuole imporlo come necessario, o addirittura inevitabile. Peccato che ad oggi, si parli tanto di un suo ritorno senza affrontare i temi chiave della sicurezza, dei costi reali e di come e dove smaltirne i rifiuti.

Non siamo la Gran Bretagna, ma anche qui si ripropongono problemi di responsabilità e trasparenza.

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