“Profetesse di speranza”, il genio delle suore e la forza della comunicazione

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Esperienze, testimonianze, progetti, missioni delle consacrate di ogni latitudine oggi alla “Conferenza globale del Giubileo con le religiose”, evento promosso dal Dicastero per la Comunicazione nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Dalla pastorale per i migranti al confine Usa-Messico, al lavoro per le donne vittime di violenza in Uganda o contro la tratta, fino all’evangelizzazione online e le iniziative nei Paesi poveri: un ricco patrimonio ampliato e sostenuto dai vecchi e nuovi media

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

La bimba del Sud America con le gambe tagliate da un treno in corsa per oltrepassare il Messico, davanti alla madre. Un’altra bambina di 8 anni nelle Filippine chiusa al buio in una stanza con la zia che vendeva il suo corpicino online. La donna, anzi, le tante donne incinte dei loro aguzzini in Uganda, rifiutate dalle famiglie e addestrate a costruire armi. I rifugiati, i senzatetto, le adolescenti vittime di violenza, le famiglie povere, i minori malnutriti, senza educazione o cure mediche. Lo splendore degli affreschi cinquecenteschi del Salone Sistino non è bastato ad attenuare il pugno allo stomaco che sono state le storie e testimonianze riportate dalle suore di tutto il mondo durante la Conferenza globale del Giubileo con le religiose che si è svolta questa mattina, 23 gennaio, nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

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Il convegno nel Salone Sistino della Biblioteca Apostolica Vaticana

La comunicazione come dono

Un evento, promosso dal Dicastero per la Comunicazione con il sostegno della Hilton Foundation (insieme collaborano per il Progetto Pentecoste) nell’ambito del Giubileo dedicato ai comunicatori, che ha voluto essere piattaforma e vetrina di esperienze, lavori e missioni delle religiose di diverse latitudini e del modo in cui i mezzi di comunicazione – vecchi e nuovi – siano strumento fondamentale per queste esperienze, lavori e missioni. Perché, sì, grazie ai social, alle radio, ai siti web o al semplice ascolto, la ragazzina sudamericana è stata portata in un centro accoglienza migranti, poi in Tennessee e, laddove ha perso gli arti, ha recuperato il sorriso; la bimba filippina è stata salvata dall’orrore del web; le donne ugandesi hanno imparato a cucire borse e vestiti, provvedendo al fabbisogno personale ma anche a quello del villaggio che le aveva rifiutate. E tutto questo grazie, appunto, alla comunicazione, intesa nel senso etimologico di “cum” e “munis”: “La comunicazione come dono reciproco di sé stessi”, ha detto il prefetto Paolo Ruffini, nel saluto iniziale.

Esempi di “genio femminile”

Quindici i relatori (ampia la presenza femminile, 12 su 15) che si sono avvicendati con testimonianze coinvolgenti da zone disastrate di Africa, Europa o Sud Est asiatico durante questo appuntamento a metà tra una conferenza stampa, un corso di formazione, una tavola rotonda. Suore “profetesse di speranza”, sono state definite; suore ‘con le mani in pasta’, forti, resilienti, esempio di “tenerezza”, sì, ma declinata nel condividere pasti e alloggi con i poveri che assistono, nel mettersi dietro la macchina da presa per denunciare in cortometraggi i drammi del proprio villaggio, declinata nell’insegnare a donne analfabete a parlare in radio o a bussare ai ricchi per pretendere aiuti per i bimbi a rischio fame. Il “genio femminile” predicato dagli ultimi tre Papi, insomma, si è visto plasticamente negli interventi delle partecipanti al convegno, che ieri hanno visitato Palazzo Pio, sede dei media vaticani, il Museo della Radio Vaticana e la Basilica di San Pietro.

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La creatività delle suore

I saluti del prefetto della BAV, il salesiano Mauro Mantovano, e una preghiera alla Madonna hanno aperto l’evento. L’ha recitata il segretario del Dicastero per la Comunicazione, padre Lucio Ruiz, che ha detto alle suore: “Abbiamo bisogno della vostra saggezza, del vostro dinamismo, della vostra creatività, del vostro amore”. Di amore ha parlato pure Ruffini ricordando come esso fosse “la prima fonte di comunicazione” dei primi cristiani: “Venivano riconosciuti da come si amavano…”. “La comunicazione trasforma relazioni in connessioni”, ha affermato il prefetto, e oggi, in questo cambio d’epoca, bisogna “vivere la comunione”: “Viviamo in un tempo veloce, non possiamo fermarlo ma possiamo prendere un tempo di riflessione per restituire alla comunicazione il suo senso più profondo”. Alle religiose, il capo Dicastero ha detto: “Abbiamo bisogno dell’amore creativo delle suore”.

L'intevento di Linda Hilton

L’intevento di Linda Hilton

L’eredità della Fondazione Hilton

Che è un po’ il mandato affidato da Conrad Hilton alla Fondazione che porta il suo nome. Nel testamento, ha ricordato la nipote Linda, Hilton espresse la chiara intenzione di indirizzare “la porzione più grande” dei fondi “a beneficio delle suore nel mondo”. “Rimasti fedeli a questo servizio dal ‘54”, ha detto ancora Linda Hilton, in questi anni sono stati elargiti 614 milioni di dollari per le religiose “che difendono le comunità, che promuovono pace e giustizia, specie se hanno accesso all’istruzione o hanno voce a un tavolo decisionale”. Madri e sorelle che istruiscono bambini, curano chi ha bisogno, restano al fianco di chi è vittima di oppressione.

A fianco ai migranti al confine Usa-Messico

Suor Norma Pimentel, prima relatrice all’evento, ne è esempio lampante. Angelo dei migranti nel Rio Grande, figura influente nel panorama ecclesiale statunitense, da anni assiste chi si avventura nei viaggi della speranza dal Messico agli Usa. Un lavoro che ora, con il nuovo governo, si trova ad affrontare “una serie di nuove sfide”: “Con le preghiere e il sostegno cercheremo di fare il massimo per difendere gli emarginati ed essere presenti”, ha detto la consacrata. Ha raccontato poi la sua vita a contatto con bambini e famiglie di Guatemala, Nicaragua, Honduras, El Salvador, ma anche di Colombia, Venezuela, Haiti, e pure Ucraina, Russia, Cina, tutti “in condizioni terribili”. Prima non ci riusciva, suor Norma, a riportare davanti a microfoni e telecamere queste esperienze: “Provavano a tirarmi nel mondo della politica… La mia risposta è sempre stata quella di ritornare al messaggio del Vangelo”. Poi la suora ha capito che la comunicazione poteva aiutare la sua opera. Un esempio è proprio quello della bambina sudamericana di 6 anni che attraversava il Messico con la famiglia; nel tentativo di imbarcarsi su “La Bestia”, il grande treno merci che non si ferma mai, è caduta e il veicolo le ha tranciato le gambe. “La madre era rimasta indietro, ha visto tutta la scena, ha raccolto le gambe della figlia dai binari”. La bimba è sta portata in ospedale e poi al centro di suor Norma: “Sopravvissuta, piena di vita, senza gambe ma col sorriso per essere al sicuro”. La famiglia voleva trasferirsi in Tennessee; Pimentel ha postato su Facebook una fotografia chiedendo aiuto per comprare i biglietti: 1500 dollari quelli richiesti, oltre 8 mila quelli ricevuti: “E ancora ci arrivano fondi!”. “Una risposta dopo una comunicazione”.

“Cucire la speranza” delle donne vittime di violenza in Uganda

Un applauso ha accolto l’intervento di suor Norma, proseguito anche nel successivo intervento di suor Rosemary Nirumbe, religiosa ugandese definita dal Time “tra le 100 persone più influenti” del globo per il lavoro a favore delle vittime di abusi e torture. Sono le donne rapite dall’Esercito della Resistenza del Signore in Uganda, “formate a uccidere”, “pericolose” per la società, rifiutate da famiglie e parenti perché portavano in grembo il figlio dei rapitori. “Non sapevo cosa fare con loro… Erano traumatizzate. Ho usato l’unica stazione Radio Fm per lanciare un messaggio alle donne: potete venire al centro di Santa Monica nella vostra condizione! Se siete incinte venite come siete, se siete vittime di violenza sessuale venite! Era rischioso, ascoltavano anche i ribelli, ma ho preso il rischio”. E così tante donne sono venute al Centro Santa Monica coi figli. Suor Rosemary prima ha “educato” le ragazze “a ricevere amore”, poi ha avviato il progetto sartoriale per cucire abiti e borse (una la indossava lei stessa oggi) e per “cucire la speranza”. “Ho deciso di comunicare a queste giovani che il loro futuro può essere aggiustato, rammendato. È stato imposto loro di fabbricare armi automatiche, allora le ho messe di fronte a macchine da cucito automatiche”. Il lavoro della suora si è allargato a villaggi, città, regioni. In Sud Sudan è stato avviato un programma di nutrizione per 450 bambini sfollati. “Siamo riusciti a dare da mangiare a tutti per la prima volta”. Questo dopo che suor Rosemary è volata fino agli Usa per dire a un benefattore: “Se non diamo da mangiare a questi bambini almeno 3 volte a settimane moriranno velocemente”. “Adesso diamo cibo ai bambini ogni giorno, è nata una scuola di pace per insegnare a leggere e scrivere, offriamo cure sanitarie, contrabbandiamo pure medicine dall’Uganda, ma non lo dite a nessuno”.

Foto di gruppo

Foto di gruppo

Missione anti-tratta

Di pari forza l’intervento di suor Abby Avelino, delegata dell’organizzazione anti-tratta Talitha Kum. Filippina, si dedica a donne e uomini ingannati e sfruttati da trafficanti. A volte parenti stessi: “Mi raccontano: ‘Era mio zio, come è potuto succedermi? Volevo solo venire in Giappone e trovare un lavoro”. Vite rovinate, come quella della ragazza buttata in una macchina appena arrivata in aeroporto, costretta a lavorare in un night 20 ore: “Identificata, siamo riusciti a sottrarla”, ha raccontato la religiosa. Ha poi denunciato il fenomeno che oggi occupa maggiormente l’attività dei 5 mila membri di Talitha Kum, lo sfruttamento nel mondo digitale. I bambini, le prime vittime: “Abbiamo ricevuto quasi 8 milioni di denunce di sfruttamento online dal 2019 al 2022”. Numeri aumentati con la pandemia di Covid. Per combattere questa nuova sfida, serve un lavoro congiunto di reti, agenzie, Ong, pubblica sicurezza. Anonimato e velocità della rete permettono infatti ai trafficanti di non essere rintracciati. E le App di incontro e i social offrono nuove piattaforme per reclutare al lavoro forzato, per truffe e pedofilia. “Una bimba di 8 anni ci ha detto: ero confusa, mia zia mi ha messo in una stanza scura, non sapevo cosa fare, avevo paura. È stata sfruttata, il suo corpo venduto online”. Anche lei è stata salvata grazie a denunce (spesso via Facebook), coordinamento, ausilio di tanti giovani e delle loro capacità comunicative.

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Contatti e ponti

Hanno preso poi parola suor Helen Alford e suor Natalie Becquart. Domenicana, presidente della Pontificia Accademia di Scienze sociali, la prima; saveriana, sotto segretaria al Sinodo dei vescovi, la seconda. Alford ha posto l’accento sulla importanza della parola: “Le vittime parlano e questo fa parte di un processo di guarigione”. Becquart ha riportato l’esperienza del doppio Sinodo sulla sinodalità con tante suore disposte a “comunicare senza creare divisioni”, a “creare contatti e ponti”, a “imparare le une dalle altre”, “ascoltare anche ciò che non viene detto”.

Il progetto “On Our Radar”

Molto apprezzato l’intervento di Chris Walter, co-director di On Our Radar, progetto nel Regno Unito che porta le persone ai margini in “front page”. Come? Formando giornalisti e comunicatori nelle stesse comunità dove “barriere”, erette a causa della sfiducia nei media, “impediscono di condividere storie”. Si lavora sulla convinzione, sulla capacità, la fiducia, la creatività; si organizzano viaggi, si spiega come raccogliere informazioni, come registrare video. Si rafforza l’autostima visto che “quando non ci si vede riflessi in spazi mediatici la sicurezza di sé si erode”. Si vanno a cercare le persone nei luoghi fisici dato che è “solo un mito che tutto il mondo sia online”, si cerca di “alzare la qualità di quello che viene prodotto”. I risultati sono visibili: ad esempio, in Sierra Leone tra presidenziali e crisi dell’Ebola, i giornalisti locali tramite sms hanno veicolato notizie da luoghi a cui i grandi media non potevano accedere: periferie, campi, miniere. Filmati “proiettati su lenzuola” sono stati ripresi da testate internazionali. “La democrazia è minacciata, il pianeta pure, ci sono conflitti, migrazioni, polarizzazioni sociali. Queste comunità che vivono difficoltà sono dotate di autenticità per progettare soluzioni ma non trovano ascolto. Nessuno si fida dei media”, ha concluso Walter. Serve una “collaborazione profonda” così “da generare fiducia” e raccontare storie “con”, non “per”.

No ad uno “show del dolore”

Una distinzione fondamentale, quest’ultima, perché “finché il leone non imparerà a raccontare la storia, sarà il cacciatore a raccontare la sua prospettiva”, come recita un detto africano riportato in sala da suor Dominic Dipio, professoressa alla Makerere University in Uganda. Il suo intervento si è alternato a quello di Linda Previato, responsabile per le relazioni con i media del Cuamm che ha proiettato le campagne di comunicazione e storytelling dell’organismo volte a “rendere l’Africa protagonista”. Un lavoro di cura e selezione delle immagini per non fare “uno show del dolore”.

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Inquinamento digitale

Tra le voci maschili al convegno anche quella del francescano padre Paolo Benanti, esperto di etica delle tecnologie, presidente della Commissione per lo studio dell’IA della Presidenza del Consiglio italiana. “La prima sfida della nostra missione è produrre qualità alta in un contesto mediatico che è il peggiore possibile”, ha detto, “viviamo un inquinamento digitale”. In questo contesto, tuttavia, bisogna esserci: “Peggio non esserci che provare a esserci”, specie di fronte alle varie frontiere belliche o alle “guerre cognitive nello spazio digitale”. Due i punti sottolineati da Benanti, in risposta a delle domande. Il primo è la formazione che non è più “qualcosa che si trasmette dalla vecchia alla nuova generazione”: “Coi mezzi digitali è mio nipote a insegnare a mio padre come usare il tablet. I giovani sono più esperti di noi”. Poi la promozione del Vangelo “enzima che ci permette di ingerire e proporre sempre qualcosa di nuovo”.

Un momento del convegno nel Salone Sistino della BAV

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L’evangelizzazione online di una suora ortodossa

Tra gli estratti dei documentari di suor Lismy Parayil Chandy, il racconto di suor Paola Moggi di una radio in lingua araba e dialetti locali in Sud Sudan sorta dalle macerie della guerra civile, l’evangelizzazione della paolina suor Rose Pacatte “con la Bibbia in una mano e l’App nell’altra”, spazio nella conferenza anche a un momento di confronto sulle opportunità dei social network. A tenere banco, moderati da suor Nina Krapic, della Direzione Teologica-pastorale del Dicastero per la Comunicazione, suor Neusa Santos della CLAR, fra Jordan Columba, producer del progetto “Called to More”, e la suora ortodossa Vassa Larin, russa naturalizzata statunitense, docente universitaria di storia della Chiesa, influencer con il fortunato format Coffee with Sister Vassa. In particolare la religiosa ortodossa ha raccontato l’esperienza di evangelizzazione online che inizia spesso con un po’ di autoironia sul velo nero che le copre tutto il capo, oggetto di attenzioni e battute. “Dico sì sono professoressa, ‘liturgiologa’ e anche… icona di moda. Dopo vi darò consigli di bellezza, ma ora parliamo della vita di un santo. È sciocco ma serve ad abbassare le difese”. Tante volte si nota infatti una certa aggressività nelle interazioni: “Sembra che più si aggredisce, più non si è d’accordo, più la gente cliccherà sul contenuto”, ha osservato fra Jordan. E non mancano reazioni contrariate o preoccupate degli utenti di suor Vessa che, ad esempio, si lamentano della guerra in Ucraina e del sostegno dalle gerarchie ecclesiastiche russe. “La gente è disorientata dall’informazione online che assorbe o gli viene impartita, quindi vuole dare un senso”. “Empatia” ed “autenticità” le parole-chiave, hanno concordato i relatori.

Sguardo al futuro

A conclusione dell’evento – dopo un momento di condivisione in gruppi linguistici e poi in assemblea – i ringraziamenti di Nataša Govekar, direttore della Direzione Teologico-Pastorale del Dicastero per la Comunicazione, artefice dell’evento: “Mi è stato chiesto: questa conferenza è qualcosa che fate ogni anno o due anni? In realtà è la prima che ci sia mai stata. Speriamo non sia l’ultima”.

Il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini

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