Ricchi senza merito schiacciano i troppi poveri, in Italia il 5% detiene metà della ricchezza: ecco a voi il mondo della destra

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Abbiamo ancora nelle orecchie le parole di vera e propria autoesaltazione pronunciate dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di inizio anno sull’aumento dell’occupazione – “il tasso di occupazione più alto dalla Spedizione dei Mille e il tasso di disoccupazione più basso da quando è stato lanciato il primo iPhone” – quando si abbattono su questa glorificazione i dati contenuti nel rapporto di Oxfam, Disuguaglianza. Povertà ingiusta e ricchezza immeritata”. Innanzi tutto ricordiamo che i report di Oxfam sono ritenuti fra i più autorevoli nel campo del monitoraggio del fenomeno, dalle molte sfaccettature, della diseguaglianza. Anche grazie alle ricerche della ong che da anni opera fattivamente con decine di progetti di cooperazione per ridurre la disuguaglianza nei più diversi angoli del mondo conosciamo di più gli aspetti strutturali e le dinamiche profonde del fenomeno.

Vediamo quali sono gli aspetti più significativi del rapporto di Oxfam.

Il primo è non tanto la crescita della concentrazione della ricchezza in un numero limitato di mani, che è ormai una tendenza consolidata nello sviluppo del capitalismo contemporaneo, quanto la qualità e l’origine delle grandi ricchezze che si concentrano.

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Dall’altro notiamo che, particolarmente in Italia, alla crescita dell’occupazione corrisponde anche una crescita della povertà. Il che solleva domande sulla qualità di quella occupazione e anche sulla dubbia efficienza delle strategie di contenimento della povertà messe in atto dai diversi governi.

Pasti serviti a una mensa della Caritas

Nel 2024 finiti nelle tasche dei più ricchi 5,7 miliardi in più al giorno

La velocità dell’aumento della concentrazione di ricchezza è evidenziata dal fatto che i miliardari si sono arricchiti nel 2024 per 2.000 miliardi di dollari in termini reali, cioè tre volte più velocemente dell’anno precedente: 5,7 miliardi al giorno e ogni settimana sono apparsi sulla terra 4 nuovi miliardari.

All’altro estremo, ancora oggi come nel 1990 sono 3,5 miliardi le persone che vivono sotto la soglia di povertà (6,85 dollari al giorno). Sì, essendo cresciuto il numero delle persone su questo pianeta (dai 5,293 miliardi del 1990 agli attuali 8,09 miliardi), possiamo dire che quei 3,5 miliardi di poveri estremi è percentuale meno rilevante oggi che 35 anni fa. Ma anche i poveri, forse, ascoltano o sono raggiunti da notizie e sanno che nei più autorevoli consessi mondiali, da capi di Stato di paesi dei cinque continenti, erano stati promessi interventi in grado di eradicare la povertà.

Ad esempio, gli obiettivi di sviluppo del millennio (i Millennium Development Goals) delle Nazioni Unite, contenuti nella Dichiarazione firmata nel settembre 2000, impegnavano i 193 Stati membri dell’ONU a raggiungere 8 obiettivi globali entro l’anno 2015. Fra questi, al primo posto, vi era quello di sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo. Gli obiettivi puntuali erano la riduzione della metà, fra il 1990 e il 2015, della percentuale di popolazione che viveva in condizione di povertà estrema; nonché garantire una piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti, compresi donne e giovani. Qualche risultato, fu detto, è stato raggiunto, come il dimezzamento del numero di persone che vivevano in condizioni di povertà estrema (cioè per i Millennium Development Goals, le persone che vivono con un reddito inferiore a 1,25 dollari al giorno, identificata dalla Banca Mondiale come la soglia per diventare estremamente poveri, ma oggi dato ampiamente sottostimato).

Ma gli africani poveri, che sarebbero dovuti divenire il 28,5%, erano nel 2015 ancora il 41% della popolazione. Insomma, ad ogni successivo obiettivo, questo sembra allontanarsi. Perché i super-ricchi diventano tali ad una velocità molto maggiore e quindi l’effetto redistributivo opera in senso esattamente opposto. Perché il costo della vita (in senso materiale, non statistico né figurato) è cresciuto anche nei paesi della povertà. Perché le speranze di uscire da condizioni di mera sopravvivenza nell’arco di una vita in un sempre maggior numero di paesi (compreso il nostro) si riducono continuamente. Perché anche il lavoro o un’occupazione, statisticamente rilevanti, non sono sufficienti a garantire una vita dignitosa. Perché le insostenibili condizioni di vita (economiche e ambientali) costringono un numero crescente di persone ad emigrare, spesso in paesi dove continuano ad essere poveri, gli ultimi fra gli ultimi.

 

La lotta contro la disuguaglianza è stata finora un grande fallimento

Se fossero reali gli obiettivi dichiarati di voler riequilibrare questo scompenso globale, dovremmo ammettere un totale fallimento di questi impegni. Invece, si prendono i dati che fanno notizia, si organizza una bella conferenza stampa durante la quale si incensano questi dati come frutto esclusivo dei propri meriti, e… la povertà è scomparsa. Ma è purtroppo una illusione, o meglio un gioco di prestigio, tecnicamente una truffa, che pretende di nascondere la realtà. Così si tengono insieme gli estremi: aumenta l’occupazione per i poveri e cresce la ricchezza dei pochi più ricchi. E’ la formula magica del successo di Meloni e della destra estrema dall’America di Trump e Musk: far arricchire ulteriormente i ricchi e far lavorare i poveri a basso prezzo, conquistando così il consenso degli uni e degli altri. Ovviamente celebrando il merito e l’operosità del paese, mentre ci troviamo nel migliore dei mondi possibili.

Ma i dati del rapporto di Oxfam sono impietosi. A livello globale, oltre 1/3 della ricchezza dei miliardari è ereditata; in Italia è addirittura il 63%. I ricchi si arricchiscono non per loro merito, ma caso mai per quello dei loro padri; senza restituire niente alla società e al paese, il cui governo colpevolmente, invece di tassare l’eredità come invece tassa in misura sempre crescente il lavoro, non opera alcun intervento redistributivo. E’ la rendita di posizione, non il merito, che crea i nuovi ricchi: tutti i miliardari del mondo sotto i 30 anni hanno ereditato i propri patrimoni. Ed è solo l’inizio: si prevede che nei prossimi due o tre decenni più di 1.000 miliardari lasceranno oltre 5.200 miliardi di dollari ai propri eredi.

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Questa enorme concentrazione di ricchezza in pochi individui, si riproduce plasticamente a livello delle imprese: i ricavi delle 5 più grandi aziende al mondo sono superiori al PIL di decine di nazioni e al reddito aggregato dei 2 miliardi di persone più povere del pianeta (1/4 della popolazione mondiale). E’ il potere monopolistico delle grandi imprese, che spesso sfruttano – con salari da fame e condizioni di lavoro pericolose – il lavoro dei più poveri nelle lunghissime catene di fornitura.

Anche il rapporto fra le nazioni e, dunque, fra i popoli è caratterizzato da questa enorme disuguaglianza. C’è un nuovo colonialismo che avanza e caratterizza i rapporti economici fra il Nord ed il Sud Globale: i paesi ad alto reddito controllano il 69% della ricchezza globale, nonostante rappresentino appena il 21% della popolazione del pianeta. La finanza soprattutto è divenuta il grande strumento per consolidare questo sistema ingiusto e disuguale di distribuzione le ricchezze. Anche i prestiti nei paesi ricchi costano meno di quelli nel Sud. Eppure il Sud del mondo contribuisce per il 90% alla forza lavoro globale, ma riceve solo il 21% del reddito da lavoro aggregato. Assistiamo ad un distacco sempre più accentuato tra l’economia reale, quella prodotta dal lavoro delle persone, e l’economia immateriale cioè prodotta dalla speculazione finanziaria.

I Paesi a basso e medio reddito spendono oggi in media quasi la metà del loro bilancio per rimborsare il debito estero contratto spesso con ricchi creditori: un mostruoso debito di 307.000 miliardi di dollari per ripagare il quale 3,3 miliardi di persone lavorano senza i minimi standard di retribuzione, di istruzione e sanitari in Paesi che spendono il loro PIL più per ripagare il debito che per i loro cittadini.

Nel paese governato da Meloni cresce la povertà assoluta

Anche l’Italia del miracolo “meloniano” riflette questa iniqua distribuzione di ricchezza: il 10% più ricco dei nuclei familiari possiede oltre 8 volte la ricchezza della metà più povera delle famiglie. E’ un fenomeno che continua ininterrottamente da molti anni: tra dicembre 2010 e giugno 2024 la quota di ricchezza del top-10% delle famiglie è aumentata di oltre il 7% (dal 52,5% al 59,7%), mentre quella del 50% più povero è diminuita di quasi l’1%(dall’8,3% al 7,4%). Il 5% più ricco delle famiglie italiane, detiene il 47,7% della ricchezza nazionale, cioè il 20% in più della ricchezza detenuta dal 90% più povero.

Nel 2023, 2,2 milioni di famiglie, 5,7 milioni di individui, erano in condizioni di povertà assoluta, non disponendo di risorse mensili sufficienti ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per vivere in condizioni dignitose. L’incidenza della povertà a livello familiare è lievemente aumentata in un anno passando dall’8,3% all’8,4%, mentre quella individuale è rimasta invariata al 9,7%.

Dunque, nell’Italia di Giorgia Meloni si lavora di più, ma la povertà cresce. Si è più poveri, pur lavorando. Le cause di questo fenomeno sono molteplici: il rallentamento dell’economia, la riduzione troppo lenta dell’inflazione, il mancato adeguamento dei salari alla dinamica del costo della vita e anche la riduzione delle misure universali di contrasto alla povertà che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Fatto è che il lavoro oggi non è più una garanzia per evitare la povertà, figurarsi per garantire una vita dignitosa. Così, l’art.36 della Costituzione “più bella del mondo” resta non solo inapplicato (come sue altre parti purtroppo), ma viene disatteso, violato e coperto da una fitta corte di propaganda di regime: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione … sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

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Sanità, servizi e cultura: alle radici del peggioramento della qualità della vita

Ma se il reddito non è più sufficiente da solo a misurare il grado di disuguaglianza, gli altri parametri che contribuiscono a determinare la qualità della vita delle persone (dalla sanità ai servizi sociali, dai servizi pubblici a quelli culturali) sono ancora più polarizzanti. Eppure anche questi determinano in modo significativo il paniere di beni primari che rendono una vita degna di essere vissuta. Sono beni primari, sui quali John Rawls ha costruito la sua teoria della giustizia, quali i diritti, la libertà e le opportunità, le basi sociali del rispetto di sé. Ebbene tutto ciò mostra un evidente regresso dal valore dell’uguaglianza, contribuendo ad approfondire la divisione fra ricchi e poveri: le diverse condizioni personali (gli svantaggi oggi sempre meno compensati da interventi di Stato sociale), le diversità ambientali, le variazioni del clima sociale (con gli stigmi che gravano su intere categorie di persone e l’assistenza medica differenziata fra ricchi e poveri che polarizzano qualità e aspettative di vita), la distribuzione intrafamiliare dei redditi.

Si è arrivati a considerare questa condizione di disuguaglianza profonda e strutturale come fisiologica e per alcuni (oggi a capo della più potente economia del pianeta) addirittura positiva e auspicabile, attraverso un progressivo rovesciamento di valori. L’eguaglianza, uno dei valori fondanti della modernità, è considerata oggi un elemento frenante dello sviluppo dell’umanità e la povertà una colpa, segno di una incapacità personale ad affermarsi. Di contro, la ricchezza tanto più è personale, quanto più si considera valore in sé supremo, indipendentemente da come essa è stata creata. Ecco, gli aridi eppure così evidenti numeri del rapporto di Oxfam, alla fine, ci dicono questo e, oltre i suggerimenti che in fondo al rapporto la ong presenta, ci propongono, ci imporrebbero direi, una riflessione profonda su come iniziare a riportare questi valori ad un più giusto equilibrio.



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