Nuovo appuntamento, mercoledì 29 gennaio 2025 alle ore 17 nella Sala Blu dell’Acquario di Genova, con i Mercoledì Scienza degli Amici dell’Acquario, per parlare di Cappadocia, terra di gnomi, fate e… speleologi con Roberto e Andrea Bixio del Centro Studi Sotterranei, Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana. L’incontro, a ingresso libero, si svolge alle ore 17.
Quando, nel 1714, Paul Lucas, per incarico del re di Francia, pubblicò la prima immagine, davvero fantasiosa e un po’ ingenua, che rappresentava la Cappadocia, suscitò grande meraviglia parlando di una popolazione trogloditica che viveva nei Peri Bacalari, cioè nei Camini delle Fate, costituiti da pinnacoli di tufo, da lui rappresentati come una sorta di accampamento di tende pellerossa.
Naturalmente in Cappadocia non ci sono né gnomi, né fate, né pellerossa…. ma speleologi sì! Infatti, è da almeno 30 anni che il Centro Studi Sotterranei (di Genova) organizza spedizioni in questa terra che, comunque, presenta morfologie davvero fiabesche e, allo stesso tempo, cariche di storia. Qui, nel corso dei millenni si sono avvicendate numerose popolazione, dagli Ittiti ai Frigi, dai Greci ai Romani, poi Bizantini, che, tra VII e X secolo, dovevano difendersi dalle scorrerie arabe, sino alla conquista dei Turchi Selgiuchidi e poi degli Ottomani.
Ciascuna di esse ha lasciato il proprio segno nelle rocce erose dall’acqua, dal vento e dal gelo, che hanno modellato i vasti altipiani di teneri tufi vulcanici in strapiombanti falesie, tormentati calanchi, profondi canyon, e nelle forme più bizzarre di alti pinnacoli. Ciascuna di queste forme è stata utilizzata dall’uomo, soprattutto in epoca medievale, per ottenere centinaia di sicuri rifugi sotterranei, abitazioni, chiese, tombe, ma anche strutture idriche per la bonifica e per l’approvvigionamento di veri e propri villaggi rupestri, estesi nel sottosuolo anche per chilometri. Gli stessi elementi meteorici, soprattutto nel corso degli ultimi secoli, hanno purtroppo prodotto il crollo, sempre in atto, di vaste porzioni di roccia e il riempimento o la scomparsa parziale della maggior parte delle strutture sotterranee, provocando il loro progressivo, e oggi pressoché totale abbandono, rendendole spesso inaccessibili, o comunque difficili e pericolose da percorrere.
In tale contesto, il team del Centro Studi Sotterranei ha voluto contribuire alla conoscenza di questo territorio, che si estende per più di 20.000 chilometri quadrati nel cuore dell’attuale Turchia, lanciando due sfide. La prima, sportiva e tecnica, ha previsto la messa a disposizione delle Autorità turche delle proprie esperienze speleologiche che hanno permesso di avventurarsi là dove, da tempo, nessuno aveva più osato spingersi, superando claustrofobici cunicoli, in parte crollati, calandosi da pareti verticali per raggiungere strutture in quota, sventrate, inoltrandosi in condotti allagati e gelidi. Allo stesso tempo, come d’uso in speleologia, è stata prodotta una puntuale documentazione corredata da un ampio apparato iconografico e topografico.
La seconda sfida, sempre presente nel corso delle indagini, ma particolarmente accentuata nelle spedizioni più recenti, è stata quella di “avventurarci” nell’area più conosciuta e più studiata della Cappadocia, cioè l’area di Göreme, dove innumerevoli esperti di tutto il mondo (dalle Università americane e italiane alla Sorbona, ecc.), da ormai 100 anni stanno conducendo indagini sulle strutture ecclesiali bizantine e sulle tombe romane e cristiane.
La nostra idea era quella di “dimostrare”, sempre con spirito aperto e collaborativo, che la tecnica e l’esperienza speleologica potevano rendere nuovamente palese ciò che ormai era diventato invisibile e apparentemente inaccessibile. Basti pensare che, nella limitata area di Göreme, di soli 2 chilometri quadrati, nel 1912, il gesuita-archeologo francese Guillaune de Jerphanion, a seguito delle sue prime indagini sistematiche, documenta (in quattro volumi) 36 chiese scavate nella roccia, ma accenna molto brevemente a soltanto tre dispositivi di difesa e a nessuna opera idrica. Negli anni successivi, sino ai giorni nostri, numerosi storici dell’arte di vari paesi portano il numero delle chiese rupestri a 84 e almeno 52 refettori (non si contano le tombe!), ma soltanto le esplorazioni del Centro Studi Sotterranei scoprono 16 nuovi rifugi sotterranei, del tutto sconosciuti, e un insospettabile sistema di drenaggio/captazione dell’acqua, peraltro indispensabile per la vita dell’antico insediamento/santuario rupestre, rivelando che esiste un mondo sotterraneo assai più esteso e diversificato di quello più palese e raggiungibile scavato nelle rocce più prossime alla superficie. Il risultato è stata la pubblicazione con Archaeopress di Oxford di un volume di 862 pagine con un apparato iconografico di 928 tra mappe, illustrazioni e foto.
La sfida però non è terminata perché, nel corso delle indagini il Centro Studi Sotterranei ha individuato, accanto a centinaia di piccionaie rupestri note, un paio di strutture interamente scavate nelle pareti di roccia che si sono rivelate essere degli antichi apiari (abbandonati e, in parte, distrutti). In seguito, sono diventati una decina. Recentemente il team ha deciso di realizzare un repertorio sistematico e, grazie a collaborazioni con storici dell’apicoltura belgi e inglesi, e al coinvolgimento (finalmente) di colleghi turchi, a tutt’oggi sono stati rilevati e mappati già più di cento apiari di cui, prossimamente, verrà pubblicata documentazione.
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