Il generale libico Najeem Osema Almasri Habish è stato rilasciato nella serata del 21 gennaio “per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto”. Così il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha risposto al question time al Senato in merito alla vicenda che ha portato le opposizioni ad accusare il governo di aver liberato “un torturatore”. La Corte dell’Aia sabato scorso, a maggioranza, aveva spiccato un mandato d’arresto per il generale libico per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. L’uomo è stato localizzato a Torino il 19 gennaio ed è stato arrestato, ma la Corte d’appello di Roma ha ravvisato irregolarità nell’arresto e ne ha disposto la liberazione, a cui è seguito il rimpatrio.
La ricostruzione della vicenda
Piantedosi ha spiegato che “lo scorso 19 gennaio, il cittadino libico Najeem Osema Almasri Habish, da poco arrivato a Torino dopo essere stato nei giorni precedenti in altri Paesi europei, è stato sottoposto all’esecuzione del mandato d’arresto internazionale a fini di estradizione, emesso il giorno precedente dalla Corte penale internazionale. Ad avvenuta esecuzione del provvedimento, sono stati informati gli uffici della Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma e il competente Dipartimento del ministero della Giustizia, oltre al difensore nominato d’ufficio e le autorità consolari. Il cittadino libico – ha aggiunto il ministro – è stato temporaneamente associato alla locale casa circondariale ‘Lorusso e Cotugno’ e, quindi, messo a disposizione dell’autorità giudiziaria competente, ossia la Corte d’Appello di Roma e la citata Procura generale presso la stessa Corte d’Appello. Il successivo 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma, nell’ambito delle prerogative di vaglio dei provvedimenti di limitazione della libertà personale, ha dichiarato il non luogo a provvedere sull’arresto del cittadino libico, valutato come irrituale in quanto non previsto dalla legge, disponendone l’immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa”.
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“Espulso per profilo di pericolosità sociale”
“A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma, considerato che il cittadino libico era ‘a piede libero’ in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale – ha proseguito Piantedosi – ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato” ai sensi della legge. “Il provvedimento è stato notificato all’interessato al momento della scarcerazione e, nella serata del 21 gennaio, ha lasciato il territorio nazionale”. Per Piantedosi l’espulsione in quel momento “era la misura più appropriata, anche per la durata del divieto di reingresso”.
L’informativa la prossima settimana
Piantedosi ha infine ricordato che “il governo ha dato la disponibilità a rendere un’informativa di maggiore dettaglio sul caso in questione. Sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda, ivi compresa la tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico”.
Le polemiche
Intanto non si placa la polemica politica con il Pd che chiede che sia la premier Meloni a riferire alle Camere. “Siamo di fronte a scelte fatte dal governo con il coinvolgimento di altri pezzi dello Stato – attacca il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia – Si tratta di una decisione politica del governo italiano che ha riportato un criminale in Libia con un aereo di Stato. Questa decisione è stata presa a Palazzo Chigi. Giorgia Meloni non può nascondersi dietro i suoi ministri e deve venire in Parlamento a spiegare cosa è avvenuto”. Proteste sono arrivate anche dalla stessa Corte penale internazionale che ha visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l’umanità. Ma il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani non ci sta: “L’Aja non è il verbo, non è la bocca della verità. Si possono avere opinioni diverse – spiega – L’Italia non è sotto scacco di nessuno, siamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica”. E sul caso l’Unione europea si sfila: “È compito della Cpi gestire la situazione, non è la Commissione che deve attuare le decisioni della Corte, sono gli Stati membri”, dice un portavoce dell’esecutivo Ue. Ma per Angelo Bonelli, deputato Avs, “le parole di Tajani contro la corte penale internazionale sono sconsiderate”. Intanto l’avvocato Luigi Li Gotti, ex sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi, ha presentato una denuncia contro la premier, i ministri dell’Interno e della Giustizia, e il sottosegretario Mantovano, per favoreggiamento personale e peculato.
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