Davos: il giorno di Trump

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“Con Joe Biden l’America ha avuto l’inflazione più alta della storia”; “L’Arabia saudita investirà 600 miliardi negli Usa”; Alle aziende dico ‘Producete in America’, se non lo farete pagherete i dazi”; “Stop all’invasione dal Messico”; “Il Congresso approverà il taglio delle tasse”; “farò pagare il 5% del PIL ai membri della Nato”; “Gli Usa saranno la capitale mondiale di IA e criptovalute”; “il Green Deal è un grande imbroglio”. È un Donald Trump scatenato quello intervenuto oggi virtualmente al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, che riunisce ogni anno il gotha dell’economia e della finanza globali. Il presidente degli Stati Uniti, in collegamento da Washington, ha esposto le politiche commerciali che intende adottare nei confronti degli alleati europei, molti dei quali erano presenti all’evento. Il tycoon ha annunciato che chiederà all’Arabia Saudita e all’Opec di abbassare il costo del petrolio, dichiarando di essere rimasto “sorpreso” che ciò non sia accaduto prima dello scorso novembre. “Bisognava abbassarlo, e, francamente, mi sorprende che non l’abbiano fatto prima delle elezioni. Non è stato un gesto di grande amore” ha detto, sostenendo che, se il prezzo del petrolio scendesse, la guerra tra Russia e Ucraina “finirebbe immediatamente”. Sul tema cruciale dei dazi, Trump si è tenuto vago, dicendo che non ci sarà “posto migliore sulla terra” per creare posti di lavoro, costruire fabbriche o far crescere un’azienda che “proprio qui, nei buoni vecchi Stati Uniti”. E per tutti gli altri ci sarà da “pagare una tariffa” ha aggiunto, spiegando che questi dazi avranno “importi variabili”, ma destineranno “centinaia di miliardi di dollari, se non migliaia di miliardi, al rafforzamento dell’economia e al pagamento del debito”. “È iniziata l’età dell’oro dell’America – ha ribadito – Il nostro Paese sarà più prospero che mai, così come il Pianeta intero, che sarà più pacifico. Sono qui per rimettere a posto le cose”.

Siamo entrati in una nuova era?

Anche se formalmente il presidente americano si è insediato alla Casa Bianca solo lunedì, il suo ritorno incombeva già su molte delle discussioni in corso questi giorni in Svizzera. Nelle ultime ore, infatti, il tycoon aveva già rilasciato diverse dichiarazioni allarmanti, emesso ordini esecutivi contro le normative ambientali introdotte da Biden, ritirato gli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità e annunciato dazi del 25% sui beni provenienti da Canada e Messico entro la fine del mese. Le élite globali riunite a Davos sono dunque ben consapevoli che il clima sta cambiando sulla scena internazionale: “L’ordine mondiale cooperativo che avevamo immaginato 25 anni fa non si è trasformato in realtà”, ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo intervento alla plenaria del forum, ammettendo che “invece, siamo entrati in una nuova era di dura competizione geostrategica”. La rappresentante europea conosce bene l’antipatia di Trump per il blocco dei 27, la sua architettura normativa e i suoi fondamenti liberali, e in antitesi con il novo inquilino della Casa Bianca ha quindi esaltato la centralità dell’accordo sul clima di Parigi (da cui Trump ha intenzione di uscire, di nuovo) e celebrato i recenti accordi commerciali che l’Ue ha stretto con il Messico e il Mercosur. E, per lanciare un ulteriore messaggio, ha teso la mano a Cina e India, attori globali in ascesa, percepiti da Washington come pericolosi concorrenti: “Il 2025 segna 50 anni di relazioni diplomatiche della nostra Unione con la Cina – ha detto von der Leyen – La vedo come un’opportunità per impegnarci e approfondire la nostra relazione e, ove possibile, anche per espandere i nostri legami commerciali e di investimento”.

Europa tra pragmatismo e timori?

Al suo interno però, l’Unione è divisa su come affrontare la ‘questione Trump’. Se alcuni leader criticano apertamente il tycoon e le sue tendenze neo-imperialiste, altri sembrano più propensi a stemperare i toni in nome di una realpolitik che imporrebbe di non andare allo scontro con la principale superpotenza globale. Così mentre Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo e oggi premier polacco, ha esortato l’Europa a “rialzare la testa”, Olaf Scholz, cancelliere tedesco dimissionario impegnato in una difficile campagna elettorale in vista del voto del 23 febbraio, ha chiarito: “Gli Stati Uniti sono il nostro alleato più stretto al di fuori dell’Europa e farò tutto il possibile per garantire che rimanga così”. Tra tutti, però, è stato il socialista spagnolo Pedro Sanchez a pronunciare le parole più dure contro Trump e Elon Musk, incitando il blocco dei 27 a “difendere la democrazia” dalla “tecnocrazia della Silicon Valley”, che “sta cercando di usare il suo potere onnipotente sui social network per controllare il dibattito pubblico e, di conseguenza, l’azione di governo”. Quella che l’Europa si trova ad affrontare non è niente di meno che “una sfida esistenziale” anche per la presidente della Bce, Christine Lagarde, secondo cui dopo le parole di Trump, l’Europa deve essere pronta ad un colpo di reni e reagire. Sulla stessa linea, anche il Commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis: “Gli Usa sono un importante partner strategico – ha detto – ma è chiaro che siamo pronti a difendere i nostri valori e i nostri interessi se sarà necessario”.

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Rischio per Usa e Ue?

Tornando ai rapporti commerciali Ue-Usa, è stata von der Leyen – ma non è la sola – a porre l’accento su quanto anche gli Stati Uniti hanno da perdere in caso di un muro contro muro. “Nessun’altra economia al mondo è così integrata come la nostra. Le aziende europee negli Stati Uniti impiegano 3,5 milioni di americani. E un altro milione di posti di lavoro americani dipendono direttamente dal commercio con l’Europa. Intere catene di fornitura si estendono su entrambe le sponde dell’Atlantico. Di tutte le attività americane all’estero, due terzi sono in Europa. E gli Stati Uniti forniscono oltre il 50% del nostro gas liquefatto. Il volume degli scambi tra noi è di 1,5 trilioni di euro. E insieme, l’Ue e gli Usa rappresentano quasi il 30% del commercio globale di beni e servizi. C’è molto in gioco per entrambe le parti”. In ogni caso, per la leader dell’esecutivo europeo – confermata a luglio per un secondo mandato – l’Europa deve cambiare marcia perché il mondo sta cambiando. “Negli ultimi 25 anni, l’Europa ha fatto affidamento sulla crescente ondata del commercio globale per guidare la sua crescita. Ha fatto affidamento sull’energia a basso costo dalla Russia. E l’Europa ha troppo spesso esternalizzato la propria sicurezza. Ma quei giorni sono finiti”, ha avvisato. “Le regole di ingaggio tra le potenze globali stanno cambiando. Non dovremmo dare nulla per scontato. 

Il commento

di Lucia Tajoli, Ispi Senior Associate Research Fellow

“Trump promette di introdurre dazi piuttosto elevati nei confronti di ‘amici’ (Canada, Messico, Unione Europea) e ‘nemici’ (Cina in primis), ed eventualmente nei confronti di tutti i paesi che secondo la sua visione ‘sfruttano l’America’ vendendo in USA i propri beni. In questo modo, secondo le sue dichiarazioni, verranno tassate le imprese estere, arricchendo gli americani. In realtà, come ampiamente dimostrato da decenni di teoria economica, di studi empirici e di casi reali, i consumatori americani beneficiano della disponibilità di beni provenienti dall’estero a prezzi più bassi, e chi pagherà il costo dei dazi sono proprio gli stessi consumatori e imprese in USA, che vedranno aumentare i prezzi e ridursi la disponibilità di beni. Ci possono essere danni anche per le imprese esportatrici estere, che avranno un minore accesso al mercato USA, ma questi saranno sicuramente molto inferiori ai danni per gli americani, auto-inflitti da queste politiche”.



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