anche in Italia si fa strada la “profilazione sociale”

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


Dopo gli scontri di piazza a Bologna e Roma, dove la polizia ha caricato cortei che chiedevano giustizia per la morte di Ramy Elgami, il giovane egiziano morto lo scorso dicembre a Milano, nei pressi di Piazzale Corvetto, mentre fuggiva in motorino inseguito da una macchina della polizia, Giorgia Meloni ha ripetuto il solito, eterno e anche un po’ nauseante copione: «Tra bombe carta, fumogeni e aggressioni, a Roma abbiamo assistito all’ennesimo, ignobile episodio di disordine e caos ad opera dei soliti facinorosi scesi in piazza non per manifestare per una causa, bensì per puro spirito vendicativo – ha dichiarato -. Non si può utilizzare una tragedia per legittimare la violenza. Alle Forze dell’Ordine va la nostra solidarietà, insieme agli auguri di pronta guarigione agli agenti feriti. Siamo dalla vostra parte».

Ci risiamo. Ora, in primo luogo, va detto che «l’ignobile episodio di disordine e caos» non è stata opera «dei soliti facinorosi» ma è stato determinato, come sempre in questi casi, dalla carica della polizia. In secondo luogo va aggiunto che è semplice e gratuita illazione sostenere che chiedere giustizia per un giovane morto durante un inseguimento della polizia non sia “una causa” ma una occasione di “puro spirito vendicativo”. Si dà il caso, infatti, che Yehia Elgami, padre di Ramy, subito dopo la morte del figlio, abbia dichiarato: «Nessuna vendetta. Rispettiamo la legge italiana, perché l’Italia è il nostro paese. Abbiamo fiducia nella magistratura. Vogliamo solo sapere che cosa è successo».

In terzo luogo va osservato che la «legittimazione della violenza», se c’è stata, non è stata certo determinata dall’uso, che si pretende strumentale, della tragedia del giovane Ramy ma, ancora una volta, dalla polizia che ha “legittimato”, nel senso letterale del “rendere legittimo”, la propria violenza, “legale” per definizione.

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Quanto alla “solidarietà” per le forze dell’ordine, va bene, si sa che è lo sport preferito dalla destra nazionale dai tempi della famigerata “maggioranza silenziosa” italiana di Giorgio Almirante ma, come rilevato in altra occasione, non sarebbe male sapere, per esempio, quanti sono i feriti dalle manganellate “legali” dalle forze dell’ordine nell’adempimento del loro dovere.

Sulla “qualità” della “solidarietà” del governo Meloni alle forze di polizia la dice infine molto lunga la proposta, successivamente smentita, di uno “scudo legale”, cioè di un limite oltre il quale gli agenti in servizio di ordine pubblico non potessero essere perseguibili per legge, in sostanza la libertà di abuso e di violare la legge per quelli che la dovrebbero fare rispettare, dalla quale sarebbe rimasta verisimilmente esclusa solo la “licenza di uccidere”. Ma, si può obiettare, che vogliamo fare? Vogliamo demonizzare la polizia nella stessa misura in cui Giorgia Meloni ed i mass media di regime demonizzano chi non la pensa come loro? Niente affatto. Davvero.

Prima di tutto perché tra carabinieri e poliziotti ci sono intelligenze, professionalità e sensibilità che andrebbero impiegate meglio e che hanno subito respinto al mittente l’oscenità giuridica dello “scudo legale”, dichiarando con grande dignità di non volere essere “al di sopra della legge” e poi perché la polizia, per come è gestita dalla politica di stato, non può fare altro che comportarsi come si comporta.

Quello che oggi mortifica carabinieri e polizia non è la funzione sistematicamente repressiva verso qualsiasi protesta politica e sociale a cui sono costretti, o quanto meno non solo, ma la pochezza politica e culturale di chi, come il governo attuale ma non solo, ritiene che le emergenze sociali si debbano affrontare mettendo in campo forze militari: “L’esercito è schierato, lu populu è cuntentu”, come cantavano i contadini calabresi un tempo.

La pura e semplice verità è che la periferia di Milano è sempre più spesso teatro di azioni violente commesse da ragazzi di seconda o terza generazione, figli di stranieri che non hanno ottenuto la cittadinanza a causa della legge italiana, che è molto più restrittiva di quanto comunemente si creda. Nel 2022 il caso di alcuni minorenni evasi dal carcere minorile Beccaria di Milano ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica questa situazione.

Ciro Cascone, il magistrato che guida la procura minorile di Milano, la più impegnata d’Italia sul fronte dei reati commessi da minorenni, all’epoca aveva dichiarato: «Un carcere minorile è cosa molto diversa da un carcere per adulti: occorrono investimenti, risorse e personale specializzato con una formazione specifica. Dietro ognuno di questi ragazzi c’è una famiglia che non funziona, una forma di malessere e di disagio che affligge tantissimi minorenni. Noi sappiamo tutto, li vediamo, anzi è come se sfilassero davanti a noi che abbiamo anche ottime norme, soluzioni che teoricamente altrove ci invidiano, ma non riusciamo mai ad intercettarli».

Gli stranieri a Milano oggi rappresentano il 19 per cento della popolazione e dal 2010 sono sessantamila in più. Si tratta perlopiù di famiglie residenti e regolari. Di questi, molti sono giovani e giovanissimi. Più di venticinquemila hanno meno di ventiquattro anni. L’Egitto è il primo paese di provenienza. A causa dell’assenza di una legge sulla cittadinanza che si accordi con queste trasformazioni demografiche e sociali il 22 per cento delle persone nate in Italia è irregolare ed a Milano in particolare un bambino su cinque nasce straniero.

In questa situazione la polizia che cosa fa? Ci risponde l’Agenzia Contro il Razzismo del Consiglio d’Europa e non è una bella risposta: le forze dell’ordine italiane, ci dice l’Agenzia, attuano quella che viene definita “profilazione razziale”. La profilazione sociale da parte della polizia è regola negli Stati Uniti, dove costituisce di fatto la logica del controllo dei ghetti neri, messicani e portoricani, ma sembra prendere piede anche da noi. E così oggi in Italia una persona dalla pelle scura viene sottoposta più spesso a controlli e fermi, anche arbitrari, rispetto ad una persona dalla pelle bianca.

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Lo schieramento di seicento nuovi agenti di polizia rischia perciò di creare un effetto opposto a quello, desiderato, di una maggiore sicurezza. Per moltissimi versi quello che vediamo oggi è l’evoluzione di un fenomeno di marginalizzazione delle fasce giovanili delle periferie e dei ceti sociali più bassi che va avanti ormai da decenni. Gli agenti di polizia possono servire nei punti conclamati di penetrazione della criminalità, ma schierarli ad ogni semaforo come promesso dal governo Meloni sembra più un pericolo che una soluzione.



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