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Mentre tiene la tregua a Gaza, Israele continua l’attacco alla Cisgiordania. E annuncia che domenica non si ritirerà dal Libano come previsto dall’accordo sul cessate il fuoco

di Davide Malacaria

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Tempo di lettura: 4 minuti

Israele non completerà il ritiro dal Libano meridionale, come stabilito dal cessate il fuoco che che aveva chiuso la guerra. L’intesa stabiliva che le forze israeliane si ritirassero entro 60 giorni, cioè domenica prossima, ma l’ufficio del Primo ministro Netanyahu ha detto che tale tempistica non sarà rispettata, adducendo come motivo della violazione dell’intesa il fatto che il Paese dei cedri non ha adempiuto ai suoi obblighi, cioè Hezbollah non si sarebbe ritirata dal confine con Israele né l’esercito libanese si sarebbe dispiegato in tale area, prendendone il controllo.

In realtà, da tempo Hezbollah e le autorità libanesi hanno denunciato molteplici violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele, che hanno causato morti e feriti, seppure in misura limitata e su una scala non paragonabile alla guerra pregressa, oltre a intense attività da parte dei bulldozer di Tel Aviv inviati a spianare case e a distruggere infrastrutture civili (vedi anche L’Orient Le Jour).

Date tali attività delle forze israeliane era alquanto prevedibile, anche se si sperava altro, che Tel Aviv avrebbe disatteso la scadenza. Infatti, quanto sta accadendo, in realtà, appare in linea con uno degli obiettivi della guerra contro Hezbollah.

Le retrait israélien du Liban-Sud ne sera pas accompli dans le délai prévu, l'État hébreu continue ses opérations

L’obiettivo massimalista fissato da Tel Aviv era conquistare la parte meridionale del Libano fino al Litani, così da prendere il controllo delle risorse idriche del fiume e della fascia costiera meridionale del Paese dei cedri, che si affaccia su un mare sui cui fondali sono stati rinvenuti ricchi giacimenti di idrocarburi.

Giacimenti il cui sfruttamento è stato suddiviso più o meno equamente tra Israele e Libano dopo una lunga e travagliata querelle innescata dalla pretesa di Tel Aviv di ampliare la propria area di competenza.

Questo obbiettivo massimalista, non reso pubblico, era correlato a quello dichiarato: mettere in sicurezza il confine, violato dai missili e droni di Hezbollah – entrato in guerra contro Israele a sostegno di Gaza – e far tornare nelle proprie abitazioni i cittadini israeliani che avevano abbandonato la regione a causa della pioggia di razzi.

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Il ritorno degli sfollati alle proprie case prevedeva anche che il confine con il Libano fosse messo in sicurezza, facendo arretrare Hezbollah oltre il fiume Litani, come prevedeva appunto il cessate il fuoco.

Ma affinché i cittadini israeliani potessero vivere in piena tranquillità, gli strateghi israeliani avevano stilato anche un piano B, meno arduo di quello A: creare di una fascia di sicurezza nel Libano meridionale larga dalle tre alle cinque miglia, dalla quale avrebbero dovuto essere evacuati tutti i residenti.

Nessuno di questi obiettivi è stato conseguito nel conflitto contro Hezbollah, dal momento che le forze israeliane non sono riuscite a penetrare nei confini libanesi se non in maniera limitata e precaria.

Ma evidentemente Tel Aviv, registrando l’impossibilità (per il momento) di realizzare il piano A, ritiene di poter realizzare il piano B in maniera strisciante nel corso del cessate il fuoco, attraverso l’eradicazione degli insediamenti urbani dal confine libanese che insiste su Israele.

Nel riferire l’annuncio di Tel Aviv, il New York Times spiega che secondo Israele le forze del Libano non si sono dispiegate in diverse aree del meridione, che quindi sarebbero ancora sotto il controllo di Hezbollah.

Le autorità libanesi e Andrea Tenenti, portavoce delle forze di pace dell’Onu dispiegate in loco, sostengono che Beirut è pronta a inviare i propri soldati a presidiare tali aree ma, perché ciò avvenga, è necessario che Israele si ritiri. Quindi, anche se il Nyt evita di trarre le conclusioni, queste sono facili: ciò che frena le forze libanesi non è la presenza di Hezbollah, ma quella delle forze israeliane.

Israel Appears Poised to Keep Its Troops in Lebanon Beyond Deadline

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I rischi di una ripresa del conflitto

Netanyahu ha affermato che il ritardo è stato concordato con l’organismo che supervisiona il cessate il fuoco, in particolare con gli Stati Uniti che lo guidano, ma il Nyt riferisce che Hezbollah, che si è opposto a tale ritardo protestando contro la violazione dell’intesa, sta aspettando che gli Usa confermino o meno il placet a Israele.

Si rischia la ripresa del conflitto, che potrebbe risultare ancora più devastante del precedente dal momento che, come scrive il Nyt, “se i combattimenti dovessero riprendere, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha avvertito che gli attacchi israeliani non farebbero più distinzione tra Hezbollah e lo stato libanese”.

Nubi oscure, dunque, all’orizzonte. L’annuncio di una procrastinazione del ritiro dal Libano, peraltro, getta ulteriore benzina sul fuoco che incendia quell’angolo di mondo, con Israele che sta continuando la sua aggressione contro la Cisgiordania, dove ogni giorno aumenta il numero dei morti e degli arresti.

E dove la fragile tregua di Gaza tiene solo per la tenacia dell’inviato di Trump per il Medio oriente Steve Witkoff, che continua a presidiare la zona (vedi Middle east eye l’articolo dal titolo: “Witkoff afferma che Trump gli ha ordinato di portare il cessate il fuoco a Gaza alla fase successiva”).

Witkoff says Trump directed him to get Gaza ceasefire to next phase

Non sfugge, peraltro, che l’annuncio del ritardo del ritiro dal Libano è arrivato proprio mentre si chiudeva un’ulteriore fase del cessate il fuoco su Gaza, che prevede la liberazione di altri ostaggi israeliani in cambio di detenuti palestinesi.

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Ciò non può non minare la fiducia di Hamas verso la controparte, che evidentemente si riserva la possibilità di violare qualsiasi accordo, con il rischio di mandare all’aria la tregua.

Uno sviluppo che, a quanto pare, sarebbe gradito a Netanyahu, almeno a stare al titolo di un articolo di Haaretz: “Netanyahu sta mentendo a Trump e si prepara a sabotare l’accordo sul cessate il fuoco di Gaza”.

Ma Netanyahu non è solo in questa pericolosa determinazione sul Libano: a sostenerlo non è il solito estremista Bezalel Smotrich, ma anche leader dell’opposizione come Avigdor Lieberman e il “moderato” Benny Gantz (Haaretz). Un’unità di intenti che rende più arduo agli Usa, sempre che lo vogliano, far pressioni per far rispettare la scadenza domenicale.

 

 

 

 

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