Trump, attacco mortale alla Global Minimum Tax: ecco gli impatti su UE

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 


Uno dei primi atti – tra i più rilevanti dal punto di vista economico e fiscale – della presidenza Trump ha riguardato il ritiro degli USA dall’accordo relativo alla Global Minimum Tax o GMT, prevista dal Pillar Two del progetto dell’OCSE volto a contrastare l’elusione fiscale delle multinazionali.

Questa imposta, proposta dall’OCSE e confluita in un accordo sottoscritto da oltre 130 paesi, mira in sostanza a contrastare la competizione “al ribasso” tra Stati in termini di tassazione delle multinazionali con fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro, e a garantire che queste ultime corrispondano una quota equa di imposte (fissata al 15%) a prescindere dal luogo in cui operano, evitando così di trasferire la gran parte dei loro utili in Stati a tassazione molto bassa o nulla.

Il ritiro degli Usa dall’accordo Ocse sulla global tax

È evidente che quando si parla di “multinazionali” non si può prescindere dal riferirsi alle Big Tech statunitensi, ovverosia ai giganti tecnologici come ad esempio Google, Meta, Amazon, Apple, Netflix. Ragion per cui non è insensato considerare il ritiro degli USA come un colpo grave, se non mortale, all’accordo OCSE e forse alla stessa OCSE, che esce piuttosto ammaccata da questa vicenda, al punto che Giulio Tremonti ha osservato come tale organizzazione sia tra le entità che “tenderanno a scomparire” per effetto della presidenza Trump[1].

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Per altro, a confermare il clima, ieri a Davos al World Economic Forum Trump ha minacciato l’Europa di dazi perché “vogliono tassare” le big tech.

Il ritiro americano dall’accordo sulla Global Minimum Tax è scaturito da un memorandum, il cui contenuto è disponibile sul sito web della Casa Bianca[2], che dichiara “nullo e privo di validità” il compromesso raggiunto dalla precedente amministrazione. Nel memorandum, infatti, si prevede che “il Segretario del Tesoro e il Rappresentante Permanente degli Stati Uniti presso l’OCSE devono informare l’OCSE che qualsiasi impegno assunto dalla precedente amministrazione per conto degli Stati Uniti in relazione al Global Tax Deal non ha valore né effetto giuridico sul territorio statunitense, a meno che il Congresso non approvi specifici atti legislativi che recepiscano le disposizioni pertinenti dell’accordo”.

I motivi

Quali sono le motivazioni alla base di questa decisione? Sempre secondo il memorandum, l’accordo, “sostenuto dalla precedente amministrazione, non solo consente una giurisdizione extraterritoriale sui redditi statunitensi, ma limita anche la capacità della nostra Nazione di adottare politiche fiscali che tutelino gli interessi delle imprese e dei lavoratori americani. A causa di questo accordo e di altre pratiche fiscali discriminatorie adottate da paesi stranieri, le aziende statunitensi potrebbero essere soggette a regimi fiscali internazionali di ritorsione se gli Stati Uniti non si conformano agli obiettivi di politica fiscale straniera. Questo memorandum riafferma la sovranità della nostra Nazione e la sua competitività economica”.

Peraltro, non vi è solo un ritiro unilaterale da parte degli Stati Uniti, ma anche un pesante condizionamento sugli Stati che continueranno ad applicare tale accordo: infatti, il Segretario del Tesoro, in collaborazione con il Rappresentante Commerciale degli Stati Uniti, dovrà verificare se eventuali paesi stranieri non rispettano i trattati fiscali stipulati con gli Stati Uniti, oppure se hanno in vigore normative fiscali, o intendono introdurre normative fiscali, di natura extraterritoriale o che colpiscono in modo sproporzionato le aziende americane – presentando poi al Presidente entro 60 giorni un elenco di opzioni per misure protettive o altre azioni che gli Stati Uniti dovrebbero adottare o intraprendere in risposta a tali violazioni o normative fiscali discriminatorie.

Questa presa di posizione non sorprende, in quanto si pone nel solco di quanto già espresso da numerosi membri del Congresso al Segretario Generale dell’Ocse in una lettera del 17 settembre scorso («Should foreign governments seek to target Americans through the UTPR or other mechanisms in the Oecd global tax deal, we will be forced to pursue countermeasures»).

Di fatto, quindi, il Global Tax Deal è visto come un attacco diretto agli interessi nazionali USA, e quindi la posizione della nuova amministrazione è dettata essenzialmente da una visione “America first”, e non sul merito dell’efficacia o meno dello strumento della GMT.

I primi risultati della global minimum tax

Se guardiamo all’efficacia di questo strumento, secondo i dati della stessa OCSE la Global minimum tax sembrerebbe funzionare piuttosto bene a livello mondiale, almeno secondo i primi risultati.

Infatti, i dati contenuti nel report OCSE “The Global Minimum Tax and the taxation of MNE profit[3] del gennaio 2024 mostrano come questa imposta abbia quattro effetti significativi:

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

  • riducendo gli incentivi per le multinazionali a spostare i profitti verso giurisdizioni a bassa tassazione, gli utili trasferiti verso tali Stati a livello globale si sono ridotti della metà, passando da 698 miliardi di dollari a 356 miliardi di dollari all’anno;
  • si sono ridotti gli utili tassati a un’aliquota inferiore al 15% attraverso la diminuzione del trasferimento dei profitti in Stati a bassa fiscalità e l’applicazione di tasse integrative. Si stima che la quantità globale di utili delle multinazionali tassati a un’aliquota inferiore al minimo del 15% si ridurrà di oltre due terzi;
  • le entrate fiscali relative all’imposta sul reddito delle società si incrementano di 155-192 miliardi di dollari all’anno, pari a un aumento compreso tra il 6,5% e l’8,1% delle attuali entrate globali di tale imposta;
  • si riducono le differenze nelle aliquote fiscali tra le diverse giurisdizioni, con potenziali impatti significativi sull’efficienza nell’allocazione globale degli investimenti e delle attività economiche.

Occorre tuttavia anche considerare, come rilevato da Raffaele Russo, che le difficoltà operative e di compliance legate a questa imposta sono evidenti, e che i risultati sul gettito potrebbero essere inferiori alle aspettative, per cui si potrebbe arrivare anche ad un ripensamento dell’intero approccio, anche perché i Paesi in via sviluppo vorrebbero riportare in seno all’ONU le discussioni sulla fiscalità internazionale[4].

Le implicazioni

A dire il vero, le perplessità americane sulla GMT erano note da tempo: sarebbe errato credere che la posizione dell’attuale amministrazione americana sia in totale contrapposizione con quella precedente, la quale aveva già rappresentato – anche se in misura più cauta e attendista – la sua contrarietà, dato che il Congresso non aveva approvato la convenzione necessaria per il funzionamento del Pillar Two. Si è inoltre già detto come i Paesi emergenti si siano recentemente “rivoltati” contro questo approccio, dato che nell’ottobre del 2024, invece di implementare il modello Ocse, avevano lanciato un’ipotesi alternativa affidata all’Onu[5].

Ci si chiede quindi, alla luce del fatto che sia gli USA sia i Paesi in via di sviluppo avevano già manifestato le loro perplessità, come mai l’Unione Europea abbia già iniziato ad applicare la GMT grazie alla direttiva di recepimento anticipato – superando nei fatti anche il meccanismo dell’adesione volontaria bilaterale – e costringendo pertanto le multinazionali operanti in ambito Ue (oltre che in Svizzera e Regno Unito) a implementare modelli di ripartizione e di calcolo della tassazione che tuttavia si riveleranno molto difficili da applicare alle imprese statunitensi, perché l’amministrazione americana considererà prive di titolo tutte le imposte trattenute sul reddito delle “sue” multinazionali[6].

Ci si chiede se non fosse stato preferibile attendere gli sviluppi internazionali prima di dover costringere le imprese operanti in Europa a farsi carico dell’implementazione di un sistema che potrebbe essere destinato a scomparire, alla luce del fatto che – come si è dato conto in precedenza – le perplessità a livello internazionale non mancavano.

Alla fine, se si ritireranno gli USA e i Paesi in via di sviluppo, questo modello impositivo rischia di passare da “globale” ad “europeo”, e di costituire quindi l’ennesimo fattore di ostacolo “auto-generato” alla competitività del Vecchio Continente nel contesto mondiale.

Note


[1] A. Barbera, Giulio Tremonti: “Dai leader delle Big Tech ci sono rischi di autoritarismo”, La Stampa, 23.1.2025

[2] https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/2025/01/the-organization-for-economic-co-operation-and-development-oecd-global-tax-deal-global-tax-deal/

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

[3] Reperibile al seguente indirizzo web: https://www.oecd.org/content/dam/oecd/en/publications/reports/2024/01/the-global-minimum-tax-and-the-taxation-of-mne-profit_2c3d9f9d/9a815d6b-en.pdf

[4] R. Russo, Perché è necessaria un’agenzia tributaria a misura di Europa, Il Sole 24 Ore, 23 gennaio 2025

[5] Cfr. A. Galimberti, La Global minimum tax europea nel mirino del nuovo ordine Usa, Il Sole 24 ore, 23 gennaio 2025.

[6] Ibidem.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link