“Dai campi all’export nel mondo. Feci la guerra agli anticrittogamici”

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Ha trascorso quattro decenni a interessarsi di frutta in Romagna, a cominciare dagli anni Sessanta quando al massimo l’esportazione arrivava a Monaco di Baviera e quando c’era un uso indiscriminato degli anticrittogamici che tanti guai hanno provocato all’ambiente e lui era fra coloro che riunivano gli agricoltori nei circoli di campagna per insegnare le nuove strade di lotta ai parassiti. Franco Albertini, alto dirigente di alcune fra le più importanti cooperative romagnole, è stato testimone della trasformazione e modernizzazione dell’agricoltura, in particolare della frutticoltura, e parimenti della sua commercializzazione quando agli autocarri furono sostituiti prima i vagoni col ghiaccio, poi gli aerei per far giungere le fragole, e non solo, in Scandinavia e infine i Tir frigoriferi e le navi che ora portano i nostri prodotti in tutto il mondo. Fino a far tappa a Bruxelles per occuparsi di agricoltura europea. Dal Duemila Albertini è entrato nel consiglio del Tribunato di Romagna dove ha svolto il ruolo di primo tribuno per quattro mandati (otto anni) provvedendo a innovarlo senza dimenticarne le radici che risalgono al 1967 quando fu fondato da Alteo Dolcini e Max David.

Come emerse la sua vocazione per i campi?

“Aria di famiglia…Sono nato in campagna, a San Pietro in Vincoli, babbo Secondo e mamma Alma erano contadini, ricordo l’aia piena di conigli, polli; poi il babbo, fervente repubblicano, è stato fra i fondatori della cooperativa Grovura e io mi sono diplomato perito agrario allo ‘Scarabelli’ di Imola. Dopo l’avviamento, i miei mi avevano messo in collegio proprio perché studiassi”.

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Restiamo alla sua adolescenza…al passaggio del fronte lei aveva 4 anni. Ha ricordi?

“Molto vividi. L’aereo Pippo, le due zie che portavano da mangiare ai partigiani, lo zio paterno fatto prigioniero e rientrato dopo undici anni, il babbo e altri familiari che avevano scavato un rifugio vicino a un grande ciliegio e io non volevo starci e scappavo spesso. Come capitava a molti, anche noi avevamo i tedeschi in casa e mamma chiedeva loro quando arrivassero gli alleati e loro rispondevano: “Presto mammà!””.

E dopo il diploma?

“Era il 1960 e mi iscrissi all’università, ma dovetti lasciar perdere perché avevo trovato lavoro alla Grovura dove serviva un tecnico specializzato negli antiparassitari. Proprio per questo continuai a studiare e conseguii il diploma di esperto in frutticoltura”.

L’agricoltura romagnola stava guardando al futuro…

“C’era un grande fermento, prendevano piede i grandi impianti di peschi, e già dalla fine degli anni Cinquanta si stavano costituendo le prime cooperative finalizzate proprio alla peschicoltura. Nel volgere di pochi anni crebbe anche l’orticoltura, soprattutto nel Cesenate, ricordo, a metà negli anni Settanta, i primi trasporti di fragole in aereo, dall’aeroporto di Forlì alla Scandinavia…”.

Cominciava lo sviluppo dell’esportazione…

“Pensi che fino agli anni Sessanta al massimo la nostra frutta arrivava a Monaco di Baviera, dentro ai carri ferroviari riempiti di ghiaccio! Poi in quel decennio ci fu la rivoluzione, dai carri all’aereo poi anni dopo arrivarono i Tir frigoriferi…Oggi la nostra frutta, kiwi compreso, va ordinariamente in Cina, in Usa… Purtroppo contemporaneamente aumentava a dismisura l’utilizzo di antiparassitari”.

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Un danno molto grave all’ambiente e non solo…

“Già a fine anni Sessanta il problema dell’inquinamento da veleni in agricoltura cominciava a essere avvertito e nei circoli, in campagna e nelle frazioni, alla sera venivano organizzate assemblee con i contadini e io, fra i pochi esperti di allora, li informavo su un corretto e limitato uso degli anticrittogamici. In quel periodo peraltro il mio lavoro mi portava a frequentare i vari mercati ortofrutticoli della regione e non solo. Peraltro mi ero sposato da poco e nel ‘67 era nato Francesco. Poi nel 1983 arrivò Alice”.

Lei poi lasciò Grovura…

“Nel ‘73, ne ero il vicedirettore. A proposito di antiparassitari mi fa piacere ricordare che in quel decennio, grazie alla Regione, l’agricoltura crebbe notevolmente dal punto di vista fitosanitario e si passò alla lotta guidata, poi a quella integrata e infine al biologico… detto questo io passai al Consorzio Apro-Agci, operativo fra San Pietro in Vincoli, Russi, Ravenna, Piangipane, e ne divenni direttore commerciale. E siccome avevo quotidiani contatti con l’estero, cominciai a studiare inglese e tedesco. Avevo l’ufficio in via Matteotti, i collegamenti con i clienti erano con la telescrivente…”.

La frutta romagnola andava sempre più forte…

“C’era un gran lavoro, pensi che in quel decennio le esportazioni in Europa raggiunsero il 50-60 per cento. Nel 1983 lasciai il consorzio Apro e mi misi in proprio con due soci, un romagnolo e un inglese. Puntammo molto sull’orticoltura del Sud e ben presto fummo i principali rifornitori dei supermercati inglesi e poi anche in Germania. Nel ‘90 la cooperazione mi cercò e divenni direttore generale della General Fruit: purtroppo dovetti occuparmi anche di rimetterne in ordine i conti, dovetti tagliare posti di lavoro, gente che conoscevo, amici, da non dormire alla notte…”.

Tant’è che la cooperativa si fuse con la ApoFruit Cesena, se non erro…

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“Un percorso obbligato…E in quel contesto l’Agci mi nominò rappresentante dell’Associazione a Bruxelles. Per due anni mi sono occupato dei problemi europei dell’agricoltura con ovvia attenzione agli interessi italiani, come quando contestai le importazioni dal Marocco dove i controlli sulle produzioni non erano all’altezza dei nostri standard…Pensi peraltro che con l’ingresso nella Ce di Spagna e Grecia, negli anni Ottanta, il mercato delle pesche in Italia aveva subito una notevole flessione…”.

Quando la pensione?

“Nei primi anni Duemila. E proprio in quel periodo il senatore forlivese Cappelli mi propose di entrare nell’allora ‘Tribunato dei vini di Romagna’ di cui lui era primo tribuno. E accettai. Nel 2013 venni nominato io primo tribuno, carica che mi è stata rinnovata quattro volte, fino al 2021”.

Un Tribunato che lei ha rinnovato e non poco, a cominciare dal nome, Tribunato di Romagna, senza il vino…

“È scomparso solo dal titolo… ho cercato di farne un’associazione, sempre di carattere culturale, con uno spettro di interessi più ampio, in particolare aprendosi ai molteplici aspetti della società, a cominciare dall’economia. Per dare fondamento alle nuove idee abbiamo approvato un nuovo statuto che vede come scopo dell’associazione la salvaguardia del patrimonio culturale e delle tradizioni romagnole nonché la valorizzazione dei vini, dei prodotti tipici e delle eccellenze della Romagna. E fra le eccellenze, ad esempio, abbiamo incluso il porto di Ravenna cui recentemente abbiamo dedicato una tornata”.

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“Quattro e sono aperte al pubblico. Ne abbiamo fatte sull’acqua, su musica e canzoni romagnole, abbiamo in programma una tornata sulla Vena del Gesso. Ogni anno, poi, organizziamo un concorso sui vini migliori con una Commissione giudicatrice ad hoc”.

Carlo Raggi



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