Tutto come in Russia. Opposizione soffocata, candidati cooptati dalla commissione centrale, migliaia di prigionieri politici: ecco come Lukashenko è stato riconfermato con l’87,6% dei voti. L’unica differenza rispetto a Mosca è che l’autocrate sta pensando a come garantire la successione a suo figlio
Era il 9 agosto 2020 quando il presidente Alexandr Lukashenko fu eletto per la sesta volta alla guida della Bielorussia in un contesto caratterizzato dall’eliminazione dalla competizione politica dei principali avversari politici, alcuni dei quali incarcerati già all’inizio della campagna elettorale. Proprio quel risultato aveva innescato, nelle principali piazze del paese, una serie di proteste, cavalcate dall’estero dalla sfidante Svetlana Tichanovskaja, che erano durate mesi per poi esaurirsi a causa delle politiche repressive e dell’aiuto esterno dell’esercito russo venuto in soccorso del prezioso alleato.
Se è vero che dal 1994 Lukashenko ha assunto posizioni oscillanti tra un tiepido avvicinamento all’Unione europea e un tentativo di maggiore autonomia dal Cremlino, le proteste del 2020 avevano indebolito politicamente il presidente bielorusso. Da allora, il sostegno concreto di Vladimir Putin ha determinato una totale subordinazione politica di Lukashenko alla volontà del Cremlino e accelerato il processo dell’Unione interstatale, che è entrata in vigore il 1 gennaio 2024 e consta di un insieme di accordi stipulati tra i due paesi per favorire la creazione di un organismo sovranazionale.
Questa nuova cooperazione statale ha unito ancora di più i due regimi sotto il profilo istituzionale, militare, economico e culturale.
Sovranità limitata
Il 70 per cento degli scambi commerciali, la presenza dell’esercito russo e di armi nucleari nel territorio, le basi di un’integrazione fiscale tra i due paesi e la sostanziale armonizzazione delle leggi a quelle russe pongono la questione della capacità della Bielorussia di mantenere la propria sovranità e indipendenza nel medio e lungo periodo.
Sebbene negli ultimi tempi Lukashenko abbia cercato di smarcarsi dall’isolamento occidentale che ha subito per la sua “alleanza” con Putin attraverso alcune decisioni politiche quali l’apertura temporanea ai viaggiatori senza visto provenienti da 35 paesi, l’incontro con il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e la scarcerazione di ben 250 prigionieri politici, la guerra in Ucraina ha rafforzato il legame tra gli Stati anche in politica estera, ponendo seri dubbi, per alcuni analisti, sulla capacità di Lukashenko di evitare un’assimilazione totale del paese nelle mani di Putin.
Come in Russia, i quattro candidati sfidanti sono stati sostanzialmente cooptati dalla commissione centrale elettorale per dimostrare all’elettorato bielorusso e al mondo che si tratta di elezioni competitive.
Come in Russia, i mass media hanno diffuso la propaganda presidenziale a favore di Lukashenko e lasciato pochissimo spazio agli altri candidati. Come in Russia, i funzionari e i dipendenti pubblici utilizzano il loro ruolo per intimorire i propri colleghi e costringerli a votare in favore del presidente Lukashenko, dimostrando, al contempo, di essere persone leali nei confronti dell’élite bielorussa.
Come in Russia, Lukashenko ha soffocato l’opposizione extraparlamentare, eliminando qualsiasi tentativo di ribellione o di protesta che sarebbe potuta scaturire dall’esito di queste elezioni che hanno riconfermato il presidente con l’87,6 per cento dei voti, un punto in meno del consenso ottenuto da Putin l’anno scorso.
Repressione all’apice
In Bielorussia il 2024 è stato, infatti, l’anno in cui la repressione politica ha raggiunto il suo apice attraverso l’implementazione di 1.721 condanne per reati politici, 5.800 violazioni amministrative per motivi politici e 1.246 prigionieri politici tra cui il vincitore del premio Noberl per la pace, Ales Bialiatski, fondatore dell’Ong “Viasna” che monitora la situazione dei diritti politici e civili nel paese dal 1996.
In una siffatta situazione, non sorprende che, alla vigilia delle elezioni, il commissario per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, abbia affermato che «Lukashenko è al potere da trent’anni. Domani si riconfermerà attraverso un’altra elezione farsa. Questa è una palese presa in giro della democrazia. Lukashenko non ha legittimità».
Dalla Bielorussia la risposta è stata che non riconoscere le elezioni di altri paesi non cambia nulla e a sostegno della legittimità delle elezioni è intervenuto il ministro degli Interni per affermare che non ci sono mai state elezioni così tranquille nella storia elettorale. Come in Russia, abbiamo, quindi, assistito al solito film dei regimi neoautoritari dove il Batka (padre) Lukashenko può continuare a governare senza particolari problemi, cercando di assicurarsi un ruolo anche nelle dinamiche internazionali e consapevole che il filo rosso con la Russia difficilmente potrà essere spezzato.
Ma diversamente dalla Russia, pare che Lukashenko stia già pensando alla sua futura sostituzione con il giovane figlio ventenne, Michail, nella ben nota tradizione del nepotismo euroasiatico.
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