Architetta di Sommacampagna, Verona, Principe cerca in rete e nei mercatini frammenti di corrispondenza: «Riannodo piccole storie. Quanto a me, spero di trovare tracce di zio Alfonso, catturato dopo l’8 settembre in Montenegro»
Dai mercatini d’antiquariato alle case dei pronipoti, passando per storie dimenticate e ricordi di guerra. Eleonora Principe, architetta di 39 anni di Sommacampagna, in provincia di Verona, si dedica ormai da qualche anno a una missione decisamente particolare: riportare frammenti di memoria alle famiglie dei soldati della Seconda Guerra Mondiale. Acquista cartoline e lettere scritte dal fronte o dai lager e, con pazienza e determinazione, rintraccia i parenti per restituire loro quei messaggi smarriti nel tempo. Uno degli ultimi gesti di questa detective della memoria ha riportato una cartolina del 23 giugno 1943 alla famiglia Facincani. Vittorio, un giovane di Pizzoletta, l’aveva inviata ai genitori mentre era prigioniero: «Sono stato fatto prigioniero dagli americani. Sto bene» scriveva. Eleonora ha scovato il documento e l’ha pubblicato su Facebook, ricevendo risposta dai pronipoti di Vittorio. Alla Vigilia di Natale, ha consegnato il prezioso cimelio a Cesarina Cordioli, nipote del soldato.
Dalla Polonia a Verona
«Non sappiamo quante mani abbiano attraversato queste lettere – racconta Eleonora -. Possono essere rimaste anni in un armadio o finite tra le bancarelle di un mercatino. Ma alla fine, il loro viaggio si conclude lì dove dovrebbero essere: con i familiari». Ogni busta, lettera o cartolina che Eleonora riporta alle famiglie è un carico di emozione. Come quella consegnata a Michele Tortella, nipote del signor Aldo Tortella, di Caselle di Sommacampagna, nato il 23 febbaro 1922 e fatto prigionero dai tedeschi il 2 giugno 1944, venendo internato in un lager nazista all’età di 22 anni. «Io sto bene – scriveva il 15 luglio del 1944 il soldato Aldo alla famiglia di Adelino Adami alla Palazzina -, vi mando tanti saluti e baci dalla lontana Polonia. Avvertite i miei genitori di questo mio scritto, grazie. Arrivederci, forse, presto. Nipote Aldo Tortella». Aldo tornò a casa il 29 settembre 1945.
Oggetti rari e particolari
«Questo tipo di cartoline venivano consegnate in numero esiguo, a volte soltanto una per tutta la durata della prigionia. Per tale ragione, il prigioniero ne scriveva una e con quella avvisava tutta la parentela – scrive Marco Occhipinti, presidente del Centro Italiano Filtelia Tematica e autore del blog Sfizi.Di.Posta, nel gruppo “Sei di Caselle se…”, dove Principe ha pubblicato il ritrovamento –. A volte in queste cartoline troviamo notizie anche di due o tre prigionieri insieme. Occorre inoltre notare che il bollo postale in partenza è “muto”, ovvero riporta la data ma non la località». Questo perché non si sarebbe dovuto far sapere, nel caso in cui il pacco di lettere in viaggio fosse caduto in mano nemica, dove fossero allocate le truppe, i campi o qualsiasi postazione strategica. «È possibile a volte risalire alla località attraverso il numero della Feldpost, “Posta da campo”, in questo caso 03778 – continua Occhipinti -. Qui e in altri campi di prigionia, i soldati catturati venivano impiegati come forza lavoro: i cosiddetti I.M.I., Internati Militari Italiani. È una storia molto triste e dolorosa perchè tali soldati erano considerati traditori dagli italiani “liberati”, e traditori dai tedeschi perchè il vecchio alleato italiano aveva firmato l’armistizio. E quando Aldo scrive “Io sto bene” non è vero nulla: non stava bene affatto, ma ovviamente non poteva scriverlo…».
Un ponte di memoria
Ed è così, che commento dopo commento, i social network mostrano il loro aspetto più sano, di condivisione e arricchimento reciproco, «oltre a esserci il filo rosso della storia familiare – aggiunge -, vengono svelati aneddoti, descritti paesaggi e caratteristiche del paese» a testimonianza del tempo che fu. Tra i tesori di carta e inchiostro ritrovati, c’è quello firmato da Bruno Martari, soldato di Villafranca, inviato il 10 agosto 1943 e consegnato alle figlie nel giorno di una cena di famiglia. O quelle di Angelo Serpelloni e Gino Erbisti, prigionieri al fronte e in un lager, recapitate entrambe a Sommacampagna. «Spesso i parenti non sanno molto di questi pezzi di storia – riflette Eleonora -. Conoscere dettagli delle campagne militari o della prigionia dei loro cari li aiuta a riscoprire documenti e cimeli di cui ignoravano l’esistenza. Restituire queste memorie è un’esperienza unica, sia per loro che per me».
La ricerca personale
Il lavoro di Principe, già assessora alla cultura di Sommacampagna, è un ponte tra passato e presente. Dai suoi anni di amministrazione ha ereditato la passione per la memoria storica, portandola avanti attraverso progetti come l’apertura dell’archivio comunale e la ricostruzione delle storie di 300 prigionieri di guerra locali. «Ho anche un desiderio personale: ritrovare tracce di mio zio Alfonso, catturato dopo l’8 settembre del ’43 dai tedeschi come internato militare. Se i prigionieri avevano almeno i diritti garantiti dalla Convenzione di Ginevra, l’appellativo “internato” toglieva loro ogni diritto: senza cibo, facevano lavori forzati… quelli che tornavano a casa, erano sì e no 40 chili. Di lu so solo che è stato catturato in Montenegro e ho trovato la ricevuta di un telegramma che aveva mandato l’1 gennaio 1944 al padre». Mentre studia e ricerca tasselli del puzzle della sua famiglia, continua a dare nuova vita a storie che sembravano perse. Cartolina dopo cartolina.
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