Il ruolo del ‘Safeguarding officer’ nei centri sportivi

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Molestie sessuali, abusi fisici e psichici, razzismo, discriminazioni di genere e di matrice religiosa, bullismo o cyberbullismo: da oggi al CUS Napoli è possibile denunciare eventuali episodi avvenuti all’interno del centro sportivo al ‘Safeguarding officer’. Una figura istituita con il d.lgs. 39 del 28 febbraio 2021, che ha imposto alle federazioni sportive l’obbligo di adottare regolamenti e misure per contrastare tutte quelle situazioni lesive della dignità dell’individuo che ostacolano la creazione di uno spazio sicuro e inclusivo all’interno del quale praticare sport e stare bene con se stessi e con gli altri.
Per il Centro Sportivo di Via Campegna, il 31 dicembre il Consiglio Direttivo ha scelto la dott.ssa Claudia Lamberti, psicologa clinica e judoka, la quale ha accolto con entusiasmo l’incarico: “ho accettato subito – racconta – Non solo sono legata al CUS perché vi pratico sport, ma anche perché penso che quello del safeguarding officer sia un ruolo molto importante all’interno di un centro sportivo. Oggigiorno apprendiamo troppe notizie spiacevoli, una delle ultime riguardava una bambina di otto anni che è stata molestata da un amico del maestro di karate nello spogliatoio della sua palestra. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla carica che mi è stata conferita: episodi del genere non dovrebbero mai verificarsi”.
Sul sito del CUS Napoli è presente una sezione specifica riservata al safeguarding, con tutte le informazioni e i contatti perché atleti, personale o anche genitori (nel caso di atleti minori) possano produrre una segnalazione ed, eventualmente, incontrare la dott.ssa Lamberti per valutare assieme come procedere. Come alternativa, sarà possibile realizzare anche segnalazioni in forma anonima, senza fornire i propri dati personali. In tal caso, come spiega la psicologa, “si procederà caso per caso e tutelando in primis la privacy del segnalante. In base a quanto afferma, si capirà poi come agire. Potrebbero esserci casi, come quello di un abuso sessuale, che per essere trattati potrebbero necessitare anche dell’aiuto di altri professionisti” – in questo caso, trattandosi di un reato, ad esempio di un avvocato – “e allora, ma sempre muovendosi con cautela, potrebbe essere possibile condividere solo quelle informazioni strettamente specifiche al che intervengano altri professionisti che possano essere d’aiuto”.
Episodi di abusi, molestie o discriminazioni nei contesti sportivi sono, purtroppo, davvero frequenti e riguardano atleti di qualsiasi età e a qualsiasi livello. Il perché le palestre facciano così spesso da sfondo a tragici eventi prova a spiegarcelo la dott.ssa Lamberti: “I bambini, ad esempio, in palestra sono molto più esposti che nel contesto scolastico: di base, in un centro sportivo può entrare e uscire chiunque, mentre a scuola gli ingressi sono registrati. I genitori, per favorire l’autonomia dei figli, tendono a lasciarli molto liberi in palestra, fin da piccoli: spesso li vengono a prendere quando ormai si sono già lavati e cambiati e quello è un momento di pericolo, perché negli spogliatoi anche persone esterne potrebbero entrare in maniera libera”.
Se poi la disciplina praticata è individuale, “ci si ritrova in un contesto dove si è da soli con un adulto e lì può accadere di tutto mentre in una squadra è già diverso, perché ci sono occhi di più persone che aiutano a sorvegliare la situazione”.
Dall’altro lato, invece, “ci sono adulti che tendono a prendersi quella confidenza di troppo per arrivare, in maniera malevola a fare ciò che fanno: avendo un certo grado di conoscenza con la vittima, si sentono liberi di mettere in atto un tipo di abuso fisico o psichico, pensando non ci sia nulla di sbagliato. Chiaramente, non è così”.
Per questi motivi, pur non essendo strettamente nei compiti del safeguarding officer, aggiunge la dott.ssa Lamberti, “con la presidente, Paola Del Giudice, stiamo cercando di organizzare degli eventi per far conoscere la figura del safeguarding, affinché tutti coloro che animano il CUS siano a conoscenza della sua esistenza e comprendano che fare un segnalazione non vuol dire né essere deboli né dover temere il peggio, ma essere parte di una comunità com’è quella dello sport, dove si condivide una passione e ci si deve aiutare a vicenda e permettere agli altri di potersi esprimere ed esporsi”.
Incontri che si svolgeranno anche con spirito di prevenzione all’interno dei vari gruppi sportivi, “per parlare sia con i ragazzi che con gli allenatori e dare a tutti una visione un po’ più chiara su quale sia il limite da non valicare e cosa significhi rispettare l’altro e non invadere il suo spazio vitale”, così come “insegnare ai bambini quali sono i comportamenti che non vanno bene e che devono immediatamente essere segnalati”.
Il tutto si racchiude, insomma, nella volontà del CUS Napoli di essere parte attiva nell’educazione civica dei più giovani, ma non solo: “si pensa che le persone sappiano come agire e come comportarsi con l’altro, ma così non è. Lo notiamo dai bambini, dall’asilo fino alle superiori: non sanno stare in gruppo. Si rimanda sempre tutto all’insegnamento dei genitori e all’impartire loro delle regole, ma anche in un ambiente sportivo bisogna educare i ragazzi al comportamento giusto e ad agire secondo una morale. Solo attraverso momenti di formazione e prevenzione si potrà arrivare ad un vero contrasto”, conclude la dott.ssa Lamberti.
Giulia Cioffi
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Ateneapoli – n. 1 – 2025 – Pagina 39



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