da Gerusalemme
Roberto Cetera
Il volume imponente dell’edificio, sul versante occidentale del monte Herlz, non stride con la gentilezza degli alberi che formano quello che è detto «il bosco di Gerusalemme». Yad Vashem è assai più che un museo. È anche un archivio storico, una biblioteca, un istituto di ricerca e di studio sulla Shoah. Ha un carattere sacro per gli ebrei israeliani, per tanti dei quali si associa all’arrivo in Israele dei propri predecessori scampati all’orrore. In qualche misura è perciò segno dell’atto fondativo del nuovo stato. È il sito più visitato in Israele dopo il Muro del Pianto. Ne va di conseguenza che il suo presidente Dani Dayan sia una figura molto nota ed apprezzata nel Paese.
Ci parla del suo impegno?
Più ci allontaniamo dal tempo della Shoah e più il nostro lavoro diviene necessario e importante. Quest’anno in particolare, nel 2025 ricorrono il 27 gennaio gli 80 anni dalla liberazione di molti campi di sterminio, incluso Auschwitz. Le celebrazioni maggiori sono appunto ad Auschwitz, dove anch’io partecipo, mentre qui al Yad Vashem vi sono eventi durante tutto il corso dell’anno, fino al marzo 2026, tempo nel quale assumerò la presidenza dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto. Anche se ogni giorno, 365 giorni l’anno, la memoria della Shoah viene celebrata in questo nostro sito. Per noi è comunque importante ricordare che oggi, come allora, la liberazione dai campi non venne recepita felicemente perché avevamo la consapevolezza che fosse arrivata troppo tardi. I sopravvissuti, uscendo dai campi, si trovarono, sì liberi ma devastati. Cercheremo dunque di porre in evidenza la prevalenza del dolore della liberazione piuttosto che la gioia della liberazione.
Presidente Dayan quanti sono oggi i sopravvissuti ancora in vita?
È difficile dirlo. Anche perché questo implica una definizione del termine “sopravvissuto”. Tuttavia, stimiamo che, almeno qui in Israele, siano circa 125.000. E probabilmente è circa lo stesso numero di quelli che vivono ancora nel resto del mondo. Ovviamente il numero sta diminuendo molto rapidamente perché i meno vecchi hanno comunque più di 80 anni, e quelli che hanno una memoria dettagliata della tragedia non hanno meno di 90 anni. Ogni anno parte della celebrazione qui a Yad Vashem consiste nell’accensione di sei torce, per indicare le sei milioni di vittime, da parte di sopravvissuti. Lo scorso anno nella cerimonia vi erano solo 75 sopravvissuti. Tristemente ma inevitabilmente fra qualche anno non avremo più testimoni, e già ora i superstiti erano tutti bambini al tempo della tragedia. Questo cambierà molto il modo di tenere viva la memoria della Shoah perché i superstiti hanno finora rappresentato un ponte tra questa carne, questi occhi, queste voci che hanno visto l’orrore e quei siti dei campi di sterminio. Questo renderà più impegnativo e faticoso confutare le tesi negazioniste e distorzioniste della Shoah.
Da questo punto di vista cosa vede circa la ricezione della memoria da parte delle giovani generazioni?
Ci sono due problemi da affrontare al riguardo, uno è l’ignoranza e l’altro è il fondamentalismo. Noi come istituzione siamo più capaci di lavorare sull’ignoranza, molto più difficile è lavorare sull’odio del fanatismo. Comunque dai nostri rilievi sappiamo che l’interesse nel mondo per la Shoah e i suoi contorni non è in crisi ma in crescita. L’istituzione appunto di una giornata internazionale della memoria ne è un esempio. O anche le tante conferenze che nel mondo vi sono dedicate, anche da istituzioni non ebraiche. Tutto questo nel secolo scorso non esisteva, e certamente il negazionismo era più evidente nel xx secolo che ora. Oggi il problema più del negazionismo è quello della distorsione della verità sulla Shoah.
E quale è stato secondo lei il turning point che ha portato a una consapevolezza mondiale dell’entità della tragedia?
Direi soprattutto il processo Eichmann. Lì si è cominciato a capire le vere dimensioni della Shoah.
A che tipo di distorsioni si riferisce?
Per esempio al fatto che ancora oggi in diversi Stati si tenda a negare la collaborazione prestata ai nazisti, comunque provata storicamente; oppure all’uso strumentale che si fa della Shoah nei conflitti politici, penso ad esempio ora al conflitto russo-ucraino. Più in generale del tema delle distorsioni ho avuto modo di parlare anche con Papa Francesco, il quale mi ha detto una cosa molto importante. Ha detto «la Chiesa non ha paura della storia e delle sue verità». È stata quella con Papa Francesco una conversazione ricca e piacevole, agevolata dal fatto che siamo entrambi argentini.
Presidente, perché in Israele il ricordo della Shoah cade in un giorno diverso dal 27 gennaio?
Seguendo il calendario ebraico ogni anno cambia il giorno, mi pare che quest’anno cada il 24 aprile. Yom HaShoah, come si definisce in lingua ebraica il giorno della memoria, è fissato, fin dall’inizio di Israele, in relazione all’anniversario dell’insurrezione nel ghetto di Varsavia. La comunità internazionale invece molto più tardi nel xxi secolo, ha deciso di fissare al 27 gennaio, che è il giorno della liberazione di Auschwitz-Birkenau.
Cosa state preparando qui a Yad Vashem per le prossime settimane?
Proprio nella logica dell’incontro tra generazioni stiamo allestendo una nuova area chiamata «i valori delle comunità». È ispirato a una frase dello scrittore sopravvissuto Abel Herzberg, internato a Bergen-Belsen, che disse: «La Shoah non è l’assassinio di 6 milioni di ebrei, ma 6 milioni di assassinii di un ebreo». Noi lavoriamo molto sulle storie dei singoli individui, ma c’è anche la storia delle comunità, che sono scomparse. È molto importante perché il senso di comunità è caratteristico del nostro popolo, forse più di ogni altro popolo. E poi l’altra grande novità in questo importante anno sarà la nascita di un teatro qui dentro a Yad Vashem. Infine avvieremo una delocalizzazione — specie delle attività educative — di Yad Vashem in Israele e nel mondo. Ho incontrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz, e abbiamo convenuto che il primo centro educazionale di Yad Vashem fuori di Israele sia proprio nella terra dove si è consumato l’orrore.
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