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Non lasciamoci ingannare dalle parole che abbiamo sentito riecheggiare a Davos per bocca del presidente americano Donald Trump: dazi, green deal, prezzo del petrolio e affini. Si chiama intelligenza artificiale il vero conflitto tra il fronte della cooperazione internazionale – dall’Europa ai paesi emergenti – e quello dell’America First. Proprio così, la parolina magica che sembra schiudere orizzonti impensabili a chi la usa e che in realtà è destinata a disegnare uno scenario globale in cui ci saranno sempre più due blocchi contrapposti a farsi la guerra nel campo minato delle tecnologie avanzate: gli Stati Uniti da una parte, dall’altra la Cina. Tristemente in mezzo l’Europa, ancora assai indietro sul fronte su cui ci giochiamo il futuro.
Il tema scelto per l’annuale appuntamento tra le nevi svizzere che ha appena riunito capi di Stato e di governo, amministratori di multinazionali ed economisti di prim’ordine era la “Collaborazione per l’Era Intelligente”. Un allarme più che un invito destinato a mobilitare le migliori energie del pianeta per trovare soluzioni globali, mettendo insieme conoscenze scientifiche e tecnologiche all’insegna di valori condivisi. Come dire: riuniamo le forze per gestire una forza travolgente che altrimenti rischia di scapparci di mano, con conseguenze evidenti sul piano politico, economico e sociale.
I rischi sono stati sintetizzati dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha messo in guardia dall’uso indiscriminato dell’AI, in quanto potrebbe aumentare le diseguaglianze, destabilizzando alla base le società. Paroloni e concetti astratti che lasciano il tempo che trovano, si dirà. E invece a rendere tutto estremamente concreto ci ha pensato proprio il presidente Trump che, da vecchio frequentatore di Davos sin da quando era ancora un brillante imprenditore, ha lanciato un assist al mondo delle Big Tech americane rivolgendosi direttamente all’Europa e al resto del mondo: “Venite negli Usa o pagate i dazi”.
Insomma, è in campo il sovranismo tecnologico degli Stati Uniti. E sono bocciate di conseguenza tutte le iniziative globali che si nutrono di dati condivisi e regole multilaterali. Si va dunque in direzione opposta: dal giro di vite sull’export di tecnologie avanzate verso paesi “non amici”, agli incentivi per riportare in terra americana la produzione di semiconduttori, fino allo stop a regole globali che nell’ottica trumpiana rischiano di legare le mani alla capacità di innovazione statunitense. La traduzione è semplice: glocalismo e protezionismo contro globalismo e condivisione.
Ora, in gioco non c’è semplicemente la leadership economica del pianeta con il dominio delle GAFAM (l’acronimo di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), i cui patròn erano in prima fila alla cerimonia di insediamento del presidente degli Stati Uniti. La vera incognita, nonché la grande occasione mancata, è quella di non mettere a fattor comune un patrimonio di conoscenze che almeno la condivisione delle regole dell’AI potrebbe garantire. Del resto, se non ci si intende nemmeno sull’esistenza del cambiamento climatico o sul concetto di diseguaglianze diventa difficile pensare a concetti elementari come l’unione fa la forza.
Prepariamoci dunque a una concorrenza sempre più esasperata che è l’opposto della global governance che ha scandito, con un miraggio, l’ultimo ventennio. Il ritorno alla logica dei blocchi contrapposti è ormai inevitabile: con Europa e Cina costrette a investire in progetti di innovazione con standard propri, con annessa frammentazione del mercato globale. E con conseguenze non piccole che andranno dal mancato accordo sulla proprietà intellettuale, gigantesco tema dell’AI, all’uso etico degli algoritmi, fino ai rimedi per fronteggiare crisi sanitarie planetarie o al tramonto dei criteri di sostenibilità come fattore competitivo dell’industria.
Il buon senso, messi da parte i muscoli, direbbe che concordare almeno alcuni criteri di metodo su temi di cui non si conoscono nemmeno le potenziali evoluzioni, sarebbe meglio che alzare nuovi muri di cui si rischia di restare prigionieri. Per capirlo non c’è nemmeno bisogno dell’AI.
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