La leader di FdI rilancia lo standing internazionale siglando il partenariato con Riyad e Bin Salman. L’Anm attacca frontalmente il governo sul caso del libico Almasri: «Colpa dell’inerzia di Nordio»
Meglio le passerelle estere che i grattacapi italiani. Molto più comodo il tappeto arabo del principe Mohammed bin Salman che le spiegazioni dettagliate sulla liberazione di un carceriere, come il generale libico Njeem Osama Almasri.
Giorgia Meloni continua a sentirsi a proprio agio lontano dai problemi politici e istituzionali interni. Al termine dell’incontro con il leader arabo, la presidente del Consiglio ha rilanciato l’immagine da poliglotta parlando dei rapporti con Riyad a partire «dall’intesa di circa 10 miliardi di dollari» e dalla necessità di iniziare «una nuova era di collaborazione» attraverso il partenariato sottoscritto.
Non è mancata la propaganda su un cavallo di battaglia: «Lavoriamo insieme per l’Africa con il Piano Mattei», ha detto rivolgendosi al leader saudita.
E nello spin comunicativo, la premier ha messo in evidenza che con bin Salman sono stati affrontati temi di politica internazionale, dalla guerra in Ucraina alla tregua a Gaza, fino al sostegno a un processo politico inclusivo e allo sforzo per la ricostruzione in Siria.
L’Anm sul caso-Almasri
Ma, mentre era seduta sul tappeto saudita, si è aggiunto un altro capitolo dello scontro tra il governo e i magistrati. A Gedda, appena atterrata le regno saudita, la premier aveva scaricato sulla magistratura le responsabilità della liberazione di Almasri, sostenendo che «è stato liberato su disposizione della magistratura». L’Associazione nazionale magistrati ha voluto puntualizzare: «Il ministro della Giustizia era il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva».
La scelta, dunque, spettava al Guardasigilli, secondo la versione del sindacato delle toghe. E si dice Nordio per indicare l’intero governo. Che del resto, come ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha poi provveduto all’espulsione perché «soggetto pericoloso». Insomma, di fronte a un torturatore riconosciuto, il ministero di via Arenula avrebbe lasciato correre.
La nota dell’Anm è arrivata a mente fredda. Nessuna reazione immediata dopo lo scaricabarile arabo della presidente del Consiglio, anche per far trascorrere qualche ora dalle proteste durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario nelle corti d’Appello.
L’Associazione ha messo in ordine i fatti: «Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto – perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il 20 gennaio -, e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga (Libia)».
Una precisazione che riapre il caso, reso ancora più grave dalle informazioni diffuse dalla Corte penale internazionale (Cpi). «Nel carcere di Mittiga (Tripoli), diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 34 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie», si legge nel dispositivo della pre-trial Chamber della Cpi, che ha esaminato la vicenda.
Si parla di atroci violenze di almeno quattro detenuti morti a causa di colpi di arma da fuoco, altri 12 sono deceduti a causa di «comportamenti equiparabili a tortura o altri maltrattamenti gravi».
E ancora: «Circa 16 sono morti a seguito della mancanza di cure mediche adeguate» e «almeno due perché costretti a dormire nel cortile della prigione nonostante la temperatura gelida». Infine, «almeno 36 persone sono state ridotte a schiavitù, incluso un bambino di 9 anni». Una lista degli orrori.
Piantedosi in parlamento
Così le opposizioni, di fronte allo scenario della Cpi, hanno chiesto una diretta assunzione di responsabilità dell’esecutivo, sposando la versione fornita dall’Anm.
«La gravissima liberazione del torturatore libico Almasri non è né frutto di un cavillo né tantomeno colpa dei giudici come vorrebbe far credere Giorgia Meloni», ha insistito il deputato di Alleanza verdi-sinistra, Nicola Fratoianni. «È una scelta politica di questo governo e noi insisteremo a chiederne conto», ha aggiunto il segretario di Sinistra italiana.
Dal Movimento 5 stelle è stata la deputata, Chiara Appendino, ad attaccare il governo, invitando al confronto: «Meloni deve smetterla di raccontare falsità agli italiani e venire in Parlamento a spiegarci perché il suo governo ha fatto tornare in Libia un criminale di guerra». E il deputato di +Europa, Riccardo Magi, chiede anche una «commissione di inchiesta sugli accordi con la Libia».
La questione, comunque, non è stata certo archiviata: ci sarà un ulteriore approfondimento in parlamento.
Non sarà la presidente del Consiglio a fornire spiegazioni, ma toccherà di nuovo al ministro dell’Interno.
Dopo la risposta al question time al Senato dei giorni scorsi, Piantedosi è atteso alla Camera mercoledì (dalle ore 16.15) per l’informativa urgente sul caso.
Il compito sarà ancora più complicato dopo l’elenco, diffuso dalla Cpi, delle torture compiute nel carcere comandato da Almasri.
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