Non ascoltare nulla di quanto viene detto, distrarsi facilmente e avere difficoltà a completare qualsiasi attività che richieda concentrazione. No, non è la descrizione dell’uomo medio appena sveglio al mattino. Ma sono tutti sintomi riconducibili alla sindrome da iperattività/deficit di attenzione. È nota con l’acronimo ADHD e negli ultimi anni viene diagnosticata a sempre più persone. Di che cosa si tratta? A quanto riporta l’Istituto Superiore di Sanità, siamo di fronte a “un disturbo neuro psichico del bambino e dell’adolescente che si manifesta generalmente prima dei 7 anni di età”. Tuttavia, molti dei segnali continuano anche nell’età adulta. Sulle cause ancora non vi è certezza scientifica: alcune ricerche suggeriscono di indagare la componente genetica responsabile della trasmissione, mentre altre si orientano sul periodo della gravidanza: alcol e fumo potrebbero far insorgere l’ADHD nel nascituro con maggiore probabilità. Allo stesso tempo non vanno sottovalutati i fattori ambientali: per la rivista statunitense Pediatrics , le ore trascorse davanti alla tv con “immagini irreali e veloci di molti programmi” vanno ad alterare lo sviluppo del cervello. A complicare il quadro, adesso, ci pensa un nuovo studio proveniente dal Regno Unito.
La sintesi può sembrare brutale. “Le persone affetto dal disturbo da deficit di attenzione e iperattività hanno un’aspettativa di vita più breve e un rischio maggiore di problemi di salute mentale”. Il lavoro è stato condotto su oltre 30mila persone affette da ADHD ed è stato pubblicato sul “British Journal of Psychiatry”, una delle riviste internazionali più prestigiose sui temi relativi alla psichiatria e alla psicologia clinica. In particolar modo emerge come negli uomini l’aspettativa di vita si sia ridotta da quattro anni e mezzo a nove, mentre nelle donne il divario si sia ancora di più ampliato: da sei anni e mezzo a undici. La ricerca ha messo a confronto due gruppi di 30mila adulti: il primo composto da persone affette da ADHD, il secondo con individui che non presentavano questo disturbo. Ma non è solo il pericolo di vivere meno a preoccupare: gli esperti sottolineano il rischio di incappare in problemi come ansia, depressione, autolesionismo o un maggiore ricorso ad abitudini dannose come il fumo e l’alcol. “È fondamentale scoprire le ragioni alla base delle morti premature in modo da poter sviluppare strategie per prevenirle in futuro”, ha affermato con soddisfazione Liz O ‘Nions, autrice principale dello studio e ricercatrice onoraria presso l’University College di Londra. Un lavoro che in molti definiscono “una bella scoperta”, che finalmente ha messo in luce che “l’ADHD non dovrebbe essere considerato un disturbo infantile, ma un problema che dura tutta la vita”, come ricorda Russell Barkley, professore di psicologia clinica che da anni si occupa della tematica. Ciononostante, lo studio lascia alcune domande inevase e non giustifica toni allarmistici.
Non vengono infatti presi in considerazione fattori ambientali o genetici: gli esperti non avevano informazioni riguardo l’etnia e la condizione socioeconomica dei partecipanti o altri elementi che potrebbero verificarsi nella prima infanzia e causare delle morti premature. Inoltre, un discorso a parte meritano le modalità con cui l’ADHD viene diagnosticato. L’ impressione è che spesso si venga associati al disturbo dell’iperattività a cuor leggero o attraverso test fai da te di dubbio valore medico-scientifico. Errori che portano a scelte e trattamenti sanitari sbagliati. Max Wiznitzer, neurologo pediatrico statunitense, ha sottolineato come anche l’ansia possa essere scambiata per l’ADHD. “Una persona così può concentrarsi? No, la ragione della scarsa attenzione non è la stessa cosa dell’ADHD, ma il risultato finale è lo stesso”, conclude lo specialista. Insomma, la nostra distrazione non è sempre riconducibile al disturbo dell’iperattività, ma è il frutto dell’interazione di molteplici fattori. Ricerche autorevoli invitano a non sottovalutare le ore di sonno, l’utilizzo smodato dei dispositivi digitali e disturbi endocrini come l’ipotiroidismo.
Alla luce di quanto è emerso sarà quindi necessario agire in due direzioni; in primis cercare di migliorare la qualità di vita delle persone affette da questo tipo di disturbo. Lo si fa attraverso attività fisiche, alimentari o ricorrendo a farmaci specifici. E soprattutto ricordarsi che non tutto è riconducibile necessariamente all’ADHD: rivolgersi a specialisti del settore rimane la soluzione migliore. Senza “distrarsi” troppo con autodiagnosi fatte sui social network che non fanno altro che peggiorare la situazione.
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