così la Cina spiazza gli Usa

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Il 20 gennaio, giorno dell’inaugurazione della seconda presidenza di Donald Trump, nessuno ha notato insoliti movimenti nell’App Store: in Cina, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti un’applicazione cinese di intelligenza artificiale, DeepSeek, era improvvisamente balzata in testa all’interesse degli utenti. Proprio mentre Trump giurava, poco dopo avere minacciato nei discorsi dazi del 60% sui prodotti cinesi, la Cina rispondeva con la solita pacatezza, senza urlare, che presto il predominio degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale sarebbe finito. Ieri c’è stato l’annuncio ufficiale. Una piccola azienda cinese fondata due anni fa da Liang Wenfeng, un manager di Hedge Fund molto vicino al partito comunista cinese, è riuscita ad ottenere prestazioni analoghe a quelle dei giganti americani OpenAI e Google utilizzando solo 2.000 chip prodotti da Nvidia contro i 16.000 necessari alle principali aziende della Silicon Valley. Trump si era appena vantato di voler fare dell’America la capitale mondiale dell’intelligenza artificiale, e aveva stanziato 500 miliardi di dollari nel progetto Stargate che avrebbe dovuto lasciare tutti gli altri paesi molto indietro.

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DeepSeek, cos’è e come funziona l’app cinese (low cost) di IA: perché spaventa gli Usa, gli attacchi hacker e Wall Street in crisi

La Cina ha investito, secondo quanto riferito dal South China Morning Post, solo 8,2 miliardi nello sviluppo dell’IA, ma ha già raggiunto gli Stati Uniti e si appresta probabilmente a superarli. Il problema era presente già nell’agenda di Joe Biden, che nel 2021 aveva approvato restrizioni all’esportazione in Cina di chip prodotti da Nvidia e da altre aziende americane, temendo i progressi di Pechino anche nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale in campo militare. Ma prima che le misure entrassero in vigore, la Cina aveva già fatto incetta di chip Nvidia A100, e anche dopo è riuscita a procurarsene altri nel fiorente mercato nero globale. Nello stesso tempo ha messo al lavoro le sue menti più brillanti. DeepSeek ha raccolto talenti freschi dalle migliori università per trovare soluzioni al boicottaggio americano. Alibaba è stata incoraggiata a incrementare le sue ricerche sull’intelligenza artificiale e Huawei ha cominciato a produrre chip cinesi per liberare il paese dalla dipendenza dagli Usa. Il nuovo sistema messo a punto da DeepSeek ha bisogno solo di sei milioni di dollari in potenza di calcolo, 10 volte meno di quanto ha speso Meta per il suo ultimo programma di IA. Lo schiaffo dato dalla Cina a Trump brucia per l’umiliazione subita e per le conseguenze che già ieri ha cominciato ad avere sulle quotazioni delle aziende tecnologiche, gonfiate fino al livello di una bolla da molti anni di rialzi. Il crollo di Nvidia, Microsoft, Meta e delle aziende collegate, se non verrà fermato, può causare danni analoghi a quelli di dazi al 60%: la Cina ha mostrato a Trump cosa può accadere quando si scherza con il fuoco, credendo di non dover mai pagare le conseguenze di quello che si fa o si minaccia di fare.

IL CONSIGLIERE

«Il numero di aziende che hanno sei milioni di dollari da spendere è di gran lunga superiore al numero di aziende che hanno 100 milioni di dollari o un miliardo di dollari da spendere», ha detto al New York Times Chris V. Nicholson, un investitore su tecnologie di intelligenza artificiale: la tecnologia cinese, basata fra l’altro sull’open source, farà adepti e procurerà ai giganti del web una concorrenza a basso costo che potrebbe metterli in serie difficoltà. Un consigliere del presidente, Marc Andreessen, ha definito la situazione attuale «il momento Sputnik dell’IA», ricordando gli anni in cui i sovietici lanciarono il primo satellite artificiale che lasciò gli americani a bocca aperta.

Ora Trump ne parlerà con Elon Musk, il suo consigliere tecnologico, e forse gli chiederà come mai se bisogna andare su Marte i suoi razzi continuano a fallire i test, e perché bisogna spendere centinaia di miliardi sull’intelligenza artificiale quando i cinesi la fanno uguale con quattro soldi. Fare promesse per farsi eleggere è tutto sommato facile, ma la realtà è poi sempre un’altra cosa.

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