il Far west nel carcere romano di Rebibbia

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La procura di Roma ha scoperto un giro di documenti per fare uscire i detenuti. Complice un medico del servizio tossicodipendenze. C’è anche un secondo filone che riguarda un gruppo di narco reclusi che grazie ai servigi di un avvocato inviano messaggi all’esterno

«A Puglisi gli hanno dato l’affidamento eh… io lì ho fatto un capolavoro eh…sono proprio contento… io l’ho preso perché mi sembrava assurdo che doveva sta per Genova per dieci anni per devastazione e saccheggio quando quelli della Diaz hanno ammazzato de botte la gente e c’avevano pure i gradi e lui stava in carcere. Ho detto no: per me diventa un fatto etico».

A parlare, ignaro d’essere intercettato dagli uomini dell’Arma, è Vincenzo Saulino, psicologo in forze al Serd dell’Asl Roma 2 interno al carcere di Rebibbia. Saulino è finito agli arresti domiciliari con l’accusa d’aver reso, in qualità di pubblico ufficiale, dichiarazioni false all’autorità giudiziaria.

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D’altronde le parole registrate dagli investigatori sembrano essere inequivocabili: lo psicologo si riferisce a Francesco Puglisi, detto “Gimmy Molotov”, tra i condannati per i fatti del G8 del 2001. Stando a quello che il professionista oggi ai domiciliari riferisce al suo interlocutore, lo stesso Puglisi sarebbe stato aiutato in modo da scontare il resto della pena in una struttura alternativa al carcere.

Per gli inquirenti coordinati dall’antimafia capitolina si trattava di «un sistema operativo illecito, ormai collaudato, imperante presso il Serd» del carcere romano. Un sistema grazie a cui «era possibile per i detenuti – si legge nell’ordinanza firmata dal gip Annalisa Marzano – ottenere certificati attestanti lo stato di tossicodipendenza destinati all’autorità giudiziaria e impiegati dai reclusi per l’accesso a misure alternative alla detenzione inframuraria da eseguire presso comunità terapeutiche esterne al carcere». In altre parole ai detenuti a venivano rilasciati documenti che erano dei lasciapassare per uscire dal carcere. Tutto questo in cambio di denaro.

«Il riconoscimento dello status di tossicodipendenza o di semplici abusatori di sostanza stupefacente per ottenere l’autorizzazione alla fruizione di programmi dedicati al recupero dell’individuo da svolgere necessariamente presso comunità terapeutico riabilitative» ha portato a inevitabili conseguenze. E cioè ha alimentato «i profitti delle varie comunità destinatarie di contributi pubblici (Regione e Asl) e al contempo ha permesso al Serd di poter beneficiare di risorse finanziarie in misura proporzionata anche alle ore di lavoro destinate al servizio».

Intanto, proprio dal monitoraggio all’interno del carcere di Rebibbia di un altro detenuto, personaggio di spicco del narcotraffico romano che, si ipotizza, intrattenesse contatti con lo psicologo del Serd, è scaturita un’altra indagine dell’antimafia che ha portato ad emettere 28 misure cautelari (quattro le misure eseguite con la prima indagine) nei confronti di persone accusate, a vario titolo, dei reati di detenzione e associazione finalizzata al traffico di droga.

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Per questo filone è finita agli arresti anche l’avvocata Lucia Gargano, già assolta in secondo grado nel procedimento sulla ‘pax’ mafiosa ad Ostia. Secondo chi indaga Gargano fungeva da «intermediario» tra il mondo del carcere e quello esterno. «Approfittando della qualifica ricoperta aveva la possibilità di incontrare» i detenuti «con più ampia libertà, veicolava messaggi (…) ovvero trasmetteva direttive o indicazioni», è scritto nelle carte. Diversi gli episodi passati in rassegna dagli inquirenti. Ce n’è uno in cui Gargano «prende dalla borsa un’agenda, estrae un biglietto e lo consegna al detenuto dicendo «te lo manda Christian”».

Il “Christian” a cui gli atti si riferiscono è Christian Damiani, finito anche lui agli arresti per la stessa operazione, che aveva fatto emergere due organizzazioni dedite al narcotraffico: la prima ruotava intorno proprio alla figura del latitante Damiani che, con l’aiuto dei familiari gestiva, secondo l’accusa, un’attività di smercio all’ingrosso ed anche al dettaglio di cocaina; mentre la seconda vedeva al suo vertice Fabrizio Capogna, ora collaboratore di giustizia, indagato e non destinatario di misura.

Trait d’union tra Damiani e Gargano era poi Alessio Lori, difeso da quest’ultima e morto suicida a novembre 2024, nonché vicino ai collaboratori del narcos ultrà degli Irriducibili, Fabrizio Piscitelli, meglio conosciuto come “Diabolik”, ucciso nel 2019 in un misterioso agguato.

Mistero Diabolik

Nelle carte dell’inchiesta, tra le altre cose, viene fatto anche il nome di Leandro Bennato, il boss nemico dello stesso Diabolik. Negli atti Bennato viene indicato come «autore dell’omicidio del noto Piscitelli», per il quale tuttavia è in corso un processo per il presunto esecutore materiale contro un presunto esecutore che non è Bennato.

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Molti altri ancora i nomi della criminalità romana che si susseguono nell’ordinanza. Non manca il richiamo al clan degli albanesi. Lori, qualche anno prima dalla morte, darà una serie di incombenze all’avvocata Gargano. Tra queste c’è quella di incontrare la sorella di Arben Zogu, detto “Riccardino”, il capo della colonna romana della mafia albanese.

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