TREVISO – Alle 14,54 del 18 maggio la telecamera che legge le targhe di Arcade immortala il furgone pick-up di Franco Battaggia con a bordo Anica Panfile: l’ultima foto della donna ancora in vita. Anica indossa una maglietta rossa con le maniche corte e sulle ginocchia ha una felpa grigia: i due capi d’abbigliamento che il 21 maggio verranno ritrovati uno addosso al cadavere della donna e l’altro, la felpa, incagliato tra alcuni rami sommersi nel bel mezzo del bacino del Piave scandagliato dai sommozzatori dei carabinieri. Dopo essere passata sotto l’occhio elettronico, l’auto si è diretta a casa Battaggia e i carabinieri sono sicuri che lui e Anica siano entrati all’interno visto, alle 15, l’allarme all’ingresso della casa è stato disinserito. A ricostruire questo percorso è stato il colonnello Giovanni Mura, nel 2023 a capo del nucleo investigativo dell’Arma incaricato di fare luce sull’omicidio della donna.
LA RICOSTRUZIONE
È stata un’udienza ricca di dettagli e dubbi quella che si è svolta ieri davanti alla corte d’Assise del tribunale di Treviso dove è in corso il processo che vede Battaggia coma imputato per omicidio volontario. La ricostruzione di Mura, fatta rispondendo alle domande del pm Maria Giulia Rizzo e del procuratore Marco Martani che ha voluto seguire personalmente l’udienza, è stata poi passata al setaccio dall’avvocato della difesa Fabio Crea, che ha portato in aula un grande schermo dove sono comparse le immagini del luogo del ritrovamento del cadavere e delle auto passate davanti alle telecamere che hanno ripreso il pick-up di Battaggia nella zone dove è Anica è stata ritrovata. Il legale ne ha evidenziato le debolezze. Davanti al giudice sono sfilati carabinieri e investigatori che hanno seguito le indagini.
Oltre all’ultima foto, è emerso un altro dettaglio: il 26 maggio, cinque giorni dopo il ritrovamento del corpo senza vita della mamma di 4 figli, sul ponticciolo di via Baracador a Spresiano, una pattuglia dei carabinieri in giro di perlustrazione si è fermata per controllare un’auto parcheggiata al lato della strada e i suoi occupanti. Erano l’ex marito di origine romena di Anica, il fratello, la cognata e i titolari di un albergo trevigiano: si erano fermati in quel punto per deporre un mezzo di fiori dicendo «Qui è scomparsa». Dettaglio non è secondario. Il 26 maggio infatti, come ha evidenziato l’avvocato Crea, nessuno ancora sapeva che il corpo di Anica era stato gettato nel Piave proprio da quel punto. Altro dubbio che si somma alla pista degli albanesi indicata nella precedente udienza: agli inizi maggio una banda avrebbe fatto irruzione nella casa di Monigo dove Anica abitava con figli, mamma e compagno. Elemento che la difesa continua a sottolineare con forza. È un altro dei tanti punti da chiarire per fare luce sulla morte della donna, madre di 4 figli, scomparsa il 18 maggio, trovata senza vita il 21 e poi risultata uccisa prima di essere gettata in acqua.
I DUBBI
I carabinieri hanno ricostruito tutti i movimenti di Battaggia, evidenziando che dalle 16,07 in poi Anica non ha più visualizzato nessun messaggio nella sua chat whatsapp. Però dalle 16,52 alle 17,56, mentre Battaggia stava andando a Mogliano, dal telefonino di Anica risulta una lunga connessione internet: per gli investigatori in quel momento l’omicidio doveva già essersi consumato. Per la difesa quell’attività indica che invece Anica potesse ancora essere viva. Gli investigatori hanno poi ricostruito tutti i movimenti di Battaggia definiti “frenetici”: la corsa a Mogliano per prendere il fratello, il ritorno a casa e i giri attorno a via Baracador poco distante dal punto in cui, il 21, il corpo di Anica è stato trovato. Per i carabinieri tutto quel movimento ha avuto un solo scopo: trovare il punto dove liberarsi del cadavere. Ipotesi che, secondo la difesa, presenta diversi punti deboli: la discrepanza sugli orari e sull’attività delle celle tefoniche e, soprattutto, l’ipotesi che un ultraottantenne possa aver sollevato e caricato su un pick-up, da solo, un corpo di ottanta chili avvolto in un tappeto.
Un carabiniere ha ammesso che, durante il sequestro dei tappetti da casa Battaggia, si sono dovuti mettere in due per portare via i più grossi. Crea ha anche fatto notare che il pianale del pick-up dove dovrebbe essere stato caricato il cadavere è lungo un metro e mezzo mentre Anica era alta 172 centimetri. Il giallo resta fitto e si alimenta deposizione dopo deposizione: l’ultimo investigatore sentito ha rivelato che, dopo la morte di Anica, Battaggia ha fatto delle ricerche online per sapere quanto durano le tracce di cocaina in un organismo, quali sono i sintomi di un’embolia celebrale e come si fa a svuotare il cestino dell’iphone. «Stesse ricerche – ha replicato l’avvocato difensore – fatte anche dal compagno della vittima e negli stessi giorni».
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