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TRIESTE – I trattamenti sanitari obbligatori sono in crescita a Trieste, non solo nell’ultimo anno ma a partire dall’epoca Covid, ovvero dal 2021. Nel 2024 si è registrata principalmente una maggior complessità e un aumento di durata di questi trattamenti, fattore comunque interpretabile come una spia di crescente disagio sociale. I Tso sono comunque da intendersi come cure sanitarie, non riguardano l’eventuale pericolosità sociale dell’individuo e non prevedono l’uso della contenzione meccanica. Condizione, quest’ultima, valida a Trieste e in poche altre realtà sanitarie italiane. Sono alcuni dei concetti espressi dalla dottoressa Alessandra Oretti, direttrice facente funzioni del Dipartimento attività integrata dipendenze e salute mentale di Asugi e direttrice del servizio psichiatrico di diagnosi e cura, in merito ai dati forniti dalla polizia locale sugli interventi per Tso effettuati nel 2024.

I dati spiegati

La dottoressa Oretti spiega che “anche nel pre pandemia c’era stato un anno, il 2015, in cui si erano registrati numeri più alti, ma dopo il Covid sono aumentati in generale gli accessi ai servizi di salute mentale”. Il dato fornito dalla polizia locale è all’apparenza interpretabile come un raddoppio dei pazienti sottoposti a questo tipo di cura (dai 40 casi nel 2023 ai 92 del 2024), ma la professionista della salute mentale espone una realtà più complessa: “Il trattamento sanitario obbligatorio ha la durata di una settimana, eventualmente rinnovabile per ulteriori sette giorni perché magari le condizioni ancora sono critiche. Il numero fornito dalla polizia locale è una somma compresa dei rinnovi, sui quali la polizia locale stessa interviene amministrativamente. Secondo i nostri dati, in realtà, sulla provincia di Trieste i casi al netto dei rinnovi sono stati 42, di cui 36 sono residenti”. L’aumento dei rinnovi implica comunque una “maggiore complessità” negli interventi, e quindi un dato “sentinella” che denoterebbe “un aumento del disagio, della rabbia e della frustrazione all’interno della società”.

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Difficile tracciare un identikit della persona sottoposta a TSO, si tratta di “un fenomeno trasversale – sostiene la dottoressa -, che incide più sulla popolazione dai 25 ai 45 anni, difficilmente giovanissimi e anziani. Si tratta prevalentemente di persone già seguite, dove c’è un’interruzione del rapporto in un momento di difficoltà, con il rifiuto di persecuzione della terapia. E’ raro che le persone arrivino da noi per la prima volta già una situazione di urgenza. Tuttavia la città è cambiata ed è attraversata anche da persone non residenti, che transitano qui e possono avere un momento di acutissimo bisogno. Questi casi sono in aumento ma rimangono comunque residuali”.

Il tutto si accompagna, come anticipato, anche a un aumento delle persone che si rivolgono ai servizi in generale: “Parliamo di più di 6mila persone in tutta l’area Asugi – spiega Oretti – che ogni anno hanno almeno un contatto con i nostri servizi. Un numero molto elevato di persone, il 10 per cento delle quali viene ricoverato. Di questi, uno su dieci ha un ricovero obbligatorio. La maggior parte delle nostre attività, quindi, sono proattive verso il cittadino e sono principalmente extra accoglienza, di tipo domiciliare e di progettualità sul territorio”.

Cos’è il Tso

Il trattamento sanitario obbligatorio è stato istituito con la legge 180, che normava i trattamenti sanitari volontari e obbligatori e poi fatto proprio dalla legge 833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. A differenza della legge precedente, centrata sulla pericolosità sociale del soggetto, con la norma vigente il trattamento ha finalità sanitaria, e interviene quando le persone si trovano in una condizione per cui necessitano cure urgenti non più differibili contro la volontà della persona, come un ricovero finalizzato alla ripresa di un trattamento di tipo sanitario farmacologico e un contatto con i servizi di salute mentale per la ripresa di una progettualità di vita complessiva. Si interviene quindi per l’esigenza di cure urgenti, non per la pericolosità sociale.

La procedura

Nella pratica, devono essere due medici, di cui uno psichiatra del Servizio pubblico, a firmare una richiesta, poi il sindaco emette l’ordinanza. A quel punto viene data comunicazione al giudice tutelare che ha il compito di garantire sulla corretta esecuzione dell’ordinanza e sulle motivazioni. Queste ultime devono essere descritte nella proposta di Tso fatta dai medici, insieme a tutti i tentativi fatti per arrivare al consenso della persona. Contro questo provvedimento può ricorrere sia la persona interessata sia i familiari, ma “non succede quasi mai” sostiene la direttrice del servizio psichiatrico, specificando che il trattamento “obbliga le persone alle cure ma in alcun modo consente altre pratiche e prevede che la persona abbia sempre la libertà di comunicare all’esterno quando è ricoverata. Mai e poi mai, inoltre, giustifica l’uso della contenzione meccanica, assai diffusa ancora in molte parti d’Italia e non praticata già dagli anni 70 nei servizi di salute mentale triestini, compreso l’Spdc di Trieste che è uno dei pochi in Italia (circa una decina) a essere “no-restraint”. Inoltre, a differenza di altre realtà extraregionali, “negli interventi gli operatori sanitari affiancano sempre le forze dell’ordine. La collaborazione con la Polizia locale – conclude Oretti – è sempre ottima”.



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