«Un atto dovuto» l’iscrizione sul registro degli indagati, così come la comunicazione agli interessati. A fronte di una denuncia circostanziata, a carico della presidente del consiglio Giorgia Meloni, del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del titolare del Viminale Matteo Piantedosi e del sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano, su reati che la procura di Roma non è titolata a verificare, gli atti sono stati trasmessi al Tribunale dei ministri. La vicenda della liberazione e delle modalità di espulsione del generale libico Almasri Najeen, arrestato su mandato della Corte penale internazionale per episodi di torture e omicidi nel carcere di Mitiga, arrestato a Torino, scarcerato e riportato a Tripoli con un volo di Stato, riguarda esponenti del governo nell’esercizio delle loro funzioni. È molto breve la denuncia presentata il 23 gennaio, due giorni dopo il rientro in Libia di Almasri, dall’avvocato Luigi Li Gotti. Il legale si limita a indicare gli articoli del codice penale, ossia il favoreggiamento personale e il peculato, e a dichiarare che la denuncia è a carico della presidente del Consiglio dei ministri, del ministro della Giustizia, del ministro dell’Interno e del sottosegretario alla Presidenza del consiglio, con delega ai servizi segreti. Quindi chiede «che vengano svolte indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia». Alla denuncia vengono allegate le pagine dei giornali con la ricostruzione della vicenda.
L’ARRESTO
È nel tardo pomeriggio del 18 gennaio che il generale viene fermato casualmente dalla Digos davanti allo stadio di Torino, dove ha assistito alla partita Juve-Milan, ma supera il controllo. Almasri Najeen è atterrato a Fiumicino il 6 gennaio (non si sa con quale visto), è volato a Londra, in treno è andato in Belgio e in auto in Germania. Il suo nome è inserito solo nel tardo pomeriggio nelle liste dell’Interpol. La Corte dell’Aia si è riunita quello stesso giorno, ha emesso il mandato d’arresto sulla base di una richiesta presentata il 2 ottobre. I crimini di guerra contestati al capo della milizia Rada partono dal 2011. A suo nome risulta la prenotazione all’Holiday Inn di piazza Massaua di Torino ed è lì che gli agenti eseguono il blitz. Intanto il governo si riunisce, si deve decidere cosa fare. Si decide di non fare nulla. La notizia sarà resa pubblica solo il 20 gennaio. Intanto gli atti sono arrivati alla procura generale di Roma che, su richiesta del ministro della Giustizia, è competente a chiedere la convalida dell’arresto e la misura cautelare in carcere. Ma in Corte d’appello la richiesta di Nordio non arriva. La mattina del 21 gennaio l’udienza. Alle 12.30 di quel giorno un Falcon dell’Aeronautica è già in pista a Torino, attende la scarcerazione. Il ministro Piantedosi, che ha già espulso per favoreggiamento gli uomini che erano con Almasri, firma l’espulsione del generale libico. Il pg di Roma Giuseppe Amato chiede alla Corte di «dichiarare la irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale (Ministro interessato da questo Ufficio il 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire richiestaE in merito». Lui non può procedere.
IL CAVILLO
A più riprese il governo ha attribuito la decisione della scarcerazione alla magistratura, che non poteva confermare il carcere per il libico, in quanto secondo le procedure di diritto internazionali è competente il Guardasigilli. Si è fatto riferimento a un cavillo, utilizzato proprio per volontà politica, visti i rapporti con la Libia e il ruolo del generale nella gestione dei flussi migratori. «La mancata interlocuzione tra ministero di Giustizia e la procura generale», si riferisce all’articolo 11 degli accordi di Roma: informato dalla Cpi è proprio il ministro che deve chiedere alla procura generale di Roma di sollecitare la Corte d’appello ad emettere un’ordinanza. Nordio ha detto di non essere stato informato, l’Aia, che ha chiesto chiarimenti al governo, sostiene che tutta la documentazione «è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta dalla consultazione e dal coordinamento con ciascuno Stato per assicurare l’adeguata ricezione». Il cavillo poteva essere suoerato. Aggiungendo che «la Corte ha condiviso con gli Stati le informazioni sui possibili movimenti del catturando e diramato una Red Notice via Interpol». Sabato il governo si è riunito sulla questione, alla Farnesina con il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Alla riunione partecipa anche Mantovano.
LA PROCEDURA
Dopo la trasmissione degli atti il Tribunale dei ministri avrà 90 giorni per compiere indagini. Poi, sentito il procuratore, può decidere l’archiviazione – nel qual caso il decreto non è impugnabile – oppure la trasmissione degli atti con una relazione motivata al procuratore della Repubblica, affinché chieda l’autorizzazione a procedere alle Camere, che possono respingerla.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link