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Come passa il tempo. Sembrava ieri che la premier si abbracciava con Trump, esibendo il suo legame come una lapide per l’opposizione. Sembrava ieri che il vecchio presidente americano, con il suo sodale Elon Musk, parlava di primato americano nell’innovazione, dettando le condizioni per nazionalizzare TikTok e interdire l’uso dei sofisticati microchip di Nvidia alla concorrenza cinese, creando, contemporaneamente, un faraonico fondo di centinaia di miliardi per consolidare il monopolio della Silicon Valley nell’intelligenza artificiale. Sembrava ieri quando ci si chiedeva come uscire da questa morsa sovranista dominata dai monopoli privati americani o dai grandi apparati statali autarchici asiatici. L’Europa appariva muta, senza una bussola, mentre il governo italiano vantava le sue relazioni strette con la leadership della Casa Bianca, facendo intendere di volere mettersi nella scia dei vincitori per raccogliere almeno qualche briciola.
Poi, da un villaggio del Guandong, lo Stato più industrialista della Repubblica popolare cinese, arriva un quarantenne, età sospetta per il giovanilismo digitale, tale Liang Wenfeng, figlio di un maestro elementare, e spiega ai colossi del Nasdaq che l’intelligenza artificiale si può fare anche in un modesto laboratorio artigianale, riutilizzando chip ordinari e ottimizzando l’open source, la condivisione dei codici con i programmatori di tutto il mondo, per collaudare e addestrare a basso costo i sistemi artificiali. Uno shock che castiga l’intero domino finanziario dell’Occidente, causando una perdita di più di un trilione di dollari ai vincitori.
Proprio il concetto di basso costo sta terrorizzando la Silicon Valley. Si rovescia, infatti, l’assioma su cui era costruito il monopolio americano: per fare una tecnologia cosi sofisticata, quale i dispositivi conversazionali, ci vogliono capitali immensi sia per lo sviluppo delle infrastrutture, su cui Trump ha mobilitato cinquecento miliardi, sia soprattutto per l’addestramento.
La svolta cinese frantuma questi due capisaldi, aprendo una falla incontenibile nel pensiero, prima ancora che nel sistema economico, statunitense. L’intelligenza artificiale diventa un prodotto come altri, dove il processo prevale sulle materie prime, e la capacità di ottimizzare il lavoro artigianale può compensare il ritardo negli assetti finanziari e tecnologici. La Cina sembra dire che può riprodurre anche nell’economia materiale il suo miracolo realizzato nell’industria manifatturiera, in cui ha riprodotto a basso costo intere filiere di prodotti.
Ma anche l’Europa può trovare, in questa nuova realtà, la sua grande chance: diventare il grande orchestratore dell’artigianato di qualità dei sistemi digitali, esattamente come nell’abbigliamento o nell’arredamento ha resistito alla concorrenza cinese. La chiave sta proprio nell’open source, una strategia di condivisione che ovviamente muta le condizioni economiche di sfruttamento della proprietà dei codici, scambiando una grande capacità di addestramento e collaudo dei sistemi intelligenti, a costi bassissimi, con una condivisione e compartecipazione nelle sue applicazioni.
Un’opportunità che diventa politica. Se il governo italiano aveva spostato lo schema trumpiano, quello di usare la proprietà dei sistemi digitali come una clava che puniva la concorrenza, ora l’opposizione potrebbe rilanciare una visione radicalmente diversa. L’Italia, per le affinità nel campo dell’artigianato più complesso ed elaborato, potrebbe diventare un vero Guandong europeo, impegnando il suo popolo di programmatori e ricercatori, considerati fra i migliori sul mercato, in un nuovo design delle intelligenze artificiali. Questo implica che le grandi amministrazioni locali, come regioni e città, diventino gli impresari di questo processo, ripensando anche il modello di partito e di apparato pubblico alla luce di questa nuova opzione, che mette in prima linea nuove figure sociali e distretti territoriali. Dal farmaceutico ai nuovi materiali, dall’assistenza sanitaria alla pubblica amministrazione, si annuncia una nuova stagione.
Ci vorrebbe una politica che la sostenesse e un partito che la rappresentasse. Ne conosciamo qualcuno?
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